Hanno perso: Trump; l’establishment politicamente corretto; il Partito democratico.
Unica soddisfatta, la Borsa.
Primo perdente Trump, che visto il suo carattere non lo ammetterà mai e darà la colpa a brogli elettorali. Trump non mi è mai piaciuto sin da quando era uomo d’affari, ma gli vanno riconosciuti vitalità e impegno battagliero oltre ad un indubbio carisma. La sua sconfitta non è per nulla umiliante considerando il modesto distacco dall’eletto. I 71 milioni di voti che ha ricevuto non possono non far riflettere.
La più clamorosa delle sconfitte l’ha subita però quell’establishment americano, nel quale si trovano riuniti i poteri forti del Paese alleati con il mondo intellettuale, molto progressista, molto politically correct e che ha la propria punta di diamante nelle università e nei media. Per quattro anni hanno condotto la campagna contro Trump, non volendo riconoscere la sconfitta del 2016, considerando il risultato di allora un’onta per il Paese che andava lavata, un incidente di percorso dovuto all’ignoranza beota di parte degli elettori.
Per quattro anni con atteggiamenti che superavano la critica politica per esondare nell’attacco personale intriso spesso da faziosità si è impostato un confronto nei termini tipici di chi si crede portatore della verità: da un lato il bene (loro), dall’altro il male assoluto (Trump). Hanno preso un abbaglio e sono incorsi in un errore grave per degli intellettuali; non hanno capito che il problema non era Trump, ma il già esistente disagio e la frattura nel Paese. Il risultato mortifica l’establishment e conferma che ci sono due effettive Americhe che esistevano prima di Trump, che semmai ha approfittato della situazione.
L’impegno e la concentrazione dei ceti intellettuali su problemi legittimi ma minoritari li ha distratti dalla realtà del Paese. Nelle elezioni del 2016 può aver giocato a favore dell’eletto il fatto di essere un candidato relativamente sconosciuto politicamente. Ma ciò non è più il caso dopo un quadriennio da presidente con tutte le intemperanze caratteriali, gli atteggiamenti umorali, le fantasie, la discutibile gestione COVID, pur non dimenticando i risultati positivi della sua politica, che sarebbe da sciocchi negare. La campagna durata l’intero quadriennio e condotta dai più importanti canali mediatici non ha avuto l’esito sperato e si è rivelata errata.
Perdenti in modo umiliante i sondaggisti e in più per la seconda volta. O sono inadatti al loro mestiere, o non conoscono sufficientemente gli States o forse più probabilmente sono parte integrante di quell’establishment che non accetta la sconfitta del 2016 e hanno confuso i desideri con la serietà dei pronostici.
Perdente, riguardo alle speranze, il Partito democratico. Puntava alla maggioranza nelle due Camere. Si ritrova con meno deputati alla Camera dei rappresentanti (ma sempre in maggioranza) e prevedibilmente in minoranza al Senato. In caso di conferma di tale quadro ancora più perdente la sinistra dei democratici che aveva condizionato il suo appoggio al candidato dell’establishment con impegni programmatici pesanti. La situazione parlamentare darebbe una facile scusa al presidente Biden (che probabilmente non ne sarebbe dispiaciuto) di sottrarsi agli impegni assunti in considerazione della mancata maggioranza.
In un Congresso quale quello che si sta delineando sarà utile la decennale dimestichezza di Biden con le stanze del potere ed i corridoi per accedervi. Ha l’esperienza per come trattare con il coriaceo coetaneo Mitch McConnell, capo dei repubblicani al Senato, l’avversario, a suo tempo, più temuto dal presidente Obama.
Unica soddisfatta la Borsa, i corsi sono inizialmente aumentati visto che il risultato elettorale risicato permette di prevedere che non ci sarà il paventato aumento pesante delle tasse, vi saranno politiche di spesa meno inflazionistiche (i repubblicani quando non sono al governo si ricordano dei loro principi), e perdono peso le tentazioni politiche di possibili nazionalizzazioni.
Tra i perdenti rischia di esserci la Svizzera. Il direttore della Camera di Commercio Svizzera-USA ritiene improbabile che con l’amministrazione Biden si possa concludere un accordo commerciale con gli USA, già ben avviato con la precedente Amministrazione. Infine, come perdenti ci sono molti cittadini di altri Stati, dato che un’America divisa, lacerata, con una classe dirigente e ceti intellettuali incapaci di comprendere e gestire tali realtà, resta chiaramente indebolita nell’assumere il suo ruolo nel mondo.
Tito Tettamanti
Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata
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Convivenza impossibile tra chi abita l’attico e sorride perfino dell'abbrutimento sociale derivante anche dall’anomia latente, e chi “dal basso” subisce, e non ha ascolti, perché non dispone della dialettica forbita e nemmeno di media accoglienti. Non resta loro che rifarsi nei “famigerati social”. Si potrebbe con l’iniziare a considerare la società non tanto vaticinando un utopico empireo ma partendo dal più concreto pianterreno. Cioè: realtà e considerazione. Proposito ingenuo? Indubbiamente. Lo dico per ...urbana chiarezza.
Anche il comune cittadino che non ha mai simpatizzato con l’ex-presidente, sa perfettamente che la promessa (del neo-presidente) di riunificare un Paese fondamentalmente diviso percorre concetti assai demagogici. Esisterebbe, si narra, una cittadinanza consapevole delle trappole mentali bipartisan. Troppo marginale per essere registrata.
Perché i cittadini di quel Grandepaese, come molti altri abitanti delle tramontanti lande occidentali, vivono da separati in casa. Da tempo. Ovverosia l’occidente è diviso tra coloro per cui il mercatismo mondializzato è già sin d’ora un’opportunità e per chi non lo sarà mai. Così come per le varie Confederazioni, giù fino ai nostri remoti distretti.
“I poteri forti alleati con il mondo intellettuale che hanno la loro punta di diamante nelle università e nei media” (cit) non sono disposti ad accettare nemmeno una lecita contestazione del loro modo di condurre i giochi. L’hanno fatto finora con il cosiddetto “soft” power (campagne di sensibilizzazione, alias: feroce propaganda di condizionamento). Ciò che ha permesso agli impazienti grandi media di poter finalmente titolare con rassicuranti slogan tipo: “vittoria della ragione” / “ha vinto il buon senso” / “fine dei suprematismi”.
Così com’è dottrina il presupposto secondo il quale indebolendo le “comunità nazionali” si metta piede in uno sconfinato e planetario paradiso progressista. Quel “flusso-multi-qualcosa” che è proprio l’essenza che si vuol somministrare all’urbe e all’orbe attraverso l’assunto di un futuro migliore che ha che fare, tuttavia, con l’astrologia. (Parole e concetti assai resistenti che si vorranno sopravvissuti perfino alle nostre minute latitudini “liberali” novembrine in modalità multi …mediali.)
Nelle grandi realtà cosmopolite viceversa si dovrà attraversare un infinito, conflittuale e insidioso territorio di purificazione tribale. Ma l’operazione globalizzatrice del multi-tribalismo-errante è in corso e la si vuole accelerare. Whatever it takes. Non è un caso che si parli soprattutto alle tribù dei giovani urbanizzati …Erasmus dipendenti (che si specula non abbiano ancora letto “la questione irlandese” del barbuto Karl… saggio di Treviri) non certo agli agricoltori del Minnesota “so …stanzialmente concreti” - comunque fuori gioco - quindi poco inclini a elogiare qualsivoglia astratta accelerazione.
« Tra i perdenti rischia di esserci la Svizzera », dice Tettamanti.
Non per le ragioni che ha esposto, ma ritengo che più che un rischio si avvicini alla certezza, visti i precedenti. Nelle ultime due amministrazioni democratiche si sa bene cosa è successo; le calunnie e gli insulti sul tema degli "averi ebraici" durante la presidenza Clinton e le calunnie e gli insulti sul tema della "lotta all'evasione fiscale" della presidenza Clint... ehm, Obama. Con il Consiglio Federale a dimostrare regolarmente la proverbiale e celeberrima "fermezza nel cedimento" e vari ambienti sedicenti progressisti a fare da grancassa alle accuse statunitensi, per trarne vantaggi personali, partitici o... europei.
Alla vigilia delle elezioni USA del 2016 ricordo che esponenti vicini ai Clin... ehm, ai democratici cominciarono a dire che il fatto che la Svizzera emettesse banconote di grosso taglio favoriva la criminalità. Non se ne parlò più, data la sconfitta subita alle elezioni, ma non è affatto da escludersi che entro uno o due anni questo tema, probabilmente assieme ad altri, verrà ripreso con lo stesso vigore e con gli stessi toni con cui vennero condotte le "operazioni" precedenti.