Il 20 e 21 settembre 2020 – anniversario della Presa di Roma attraverso la Breccia di Porta Pia del 1870 – si vota per “il taglio dei Parlamentari”.
Il quesito del Referendum cui i cittadini italiani sono tenuti a rispondere “Si” o “No” è il seguente:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?»
L’economia riuscirà a far breccia contro lo sperpero? La parsimonia entrerà finalmente, attraverso via Nomentana, nella Città Eterna, per redimerla del suo essere una meretrice, svenduta alla corruzione di troppa, inutile, rappresentanza? È molto difficile.
In primis, poiché il “No” è prevalente: per esempio, la Lega si pone favorevole al “SI”, ma tra il suo elettorato, la maggioranza propende (e lo manifesta, senza tanto curarsi del segreto elettorale, sui social, terren battuto ormai dalla propaganda politica clandestina e non) per il No. Il motivo? L’elettore teme di non essere abbastanza rappresentato in Parlamento. Poco importa se poi tra i Parlamentari si scovano i furbetti che, nonostante il profumato stipendio da 15 mila euro al mese, chiedono pure il bonus da 600 euro: furbetti che, se non fosse stato per codesto “errore del loro commercialista”, manco avremmo saputo della loro esistenza.
Già, in Parlamento ci sono troppe persone, di cui si ignora l’esistenza, ma di cui non si dovrebbe ignorare lo stipendio. Propendono per il “Si” ovviamente il Movimento Cinque Stelle, reduci del fotofinish del loro egregio rappresentante catturato in espliciti atteggiamenti caldamente passionali con la propria fidanzata al mare, nonché il Partito Democratico mentre la propaggine di quest’ultimo, Italia Viva, si pone come indecisa: davvero strano, visto che tra i suoi fondatori conta Matteo Renzi, proprio il propulsore del Referendum del 2016 per il cambio costituzionale, che si schiantò miseramente. Ora, Renzi, non vuole più cambiare.
Sono per il “No” nettamente tutti i partiti che di per sé hanno poca rappresentanza, Più Europa di Emma Bonino (sarà dura fare propaganda europeista abortista, senza più rappresentanza), Sinistra italiana (come proporsi ancora Comunisti, al giorno d’oggi, se si sarà soltanto poi fantasmi?), Unione di Centro (di certo a Casini piange il cuore al pensiero di lasciare l’amata trentennale poltrona), Rifondazione Comunista e i Verdi.
Nonostante l’ovvietà della ragione del porsi per il “No” dei piccoli partiti (temono, in pratica, di perdere la poltrona, anche se, ovviamente, la chiave con cui fanno passare il rude messaggio è la nobilitante ragione del “rappresentare meno il popolo”), il popolo pare bene intortato, cos’altro, d’altra parte, aspettarsi, dal popolo italiano? Soltanto una nuova breccia potrebbe portare una bersagliera scossa nel cuore di una Roma ormai soffocata dall’oro.
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Questa riforma è demagogica e inutile. Abbassare semplicemente il numero di parlamentari non cambierà una virgola al (dis)funzionamento della politica italiana. La qualità del parlamento, finchè i parlamentari saranno scelti dai capipartito e non dagli elettori con le preferenze, non aumenterà di certo. E la rappresentanza non è un capriccio del quale si possa non tener conto.
Ah, e comunque il sì vincerà facilmente.