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Lo scontro di culture – di Tito Tettamanti

Incendio di Notre-Dame, 15 aprile 2019 – foto Wiki commons (Cilcée) – https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.en

Osservando ciò che sta succedendo nel mondo viene spontanea l’affermazione: si stava meglio quando si stava peggio. Infatti, durante la guerra fredda (1947-1991) il regime bipolare, con gli Stati liberal-democratici protetti dalla forza economica e militare degli USA da un lato e il blocco delle dittature comuniste dominate dall’Unione Sovietica con il contorno di satelliti dall’altro, ha assicurato stabilità. La disponibilità di armi atomiche atte a distruggere il mondo da parte dei due poteri egemoni ha permesso per anni il ragionato equilibrio della dissuasione. Sul piano economico il sistema capitalistico ha permesso una impressionante produzione di benessere, quello burocratico-statalista-centralista comunista ha garantito miseria originando l’implosione del blocco sovietico. Ma ciò non ha avuto quale conseguenza l’universale supremazia politica del sistema delle democrazie liberali, la consacrazione della pax e lex americana, accettate durante lo scontro ideologico per convenienza, ma il risorgere di un mondo multipolare che era stato messo a tacere dalle paure della guerra fredda.

Al posto dell’Unione Sovietica è riaffiorato il suo nucleo, la Russia, umiliata dalla perdita di 25 milioni di russi rimasti nelle altre repubbliche, con chiare caratteristiche zariste, con un personaggio come Putin, con una presenza importante della Chiesa ortodossa che settant’anni di vessazioni da parte del comunismo ateo non sono riusciti ad estirpare dal popolo e dalla cultura. La fase di apparente imitazione del sistema occidentale ha avuto termine con l’aspro discorso di Putin del 10 febbraio 2007, alla conferenza sulla sicurezza di Monaco. Una dura critica all’architettura della sicurezza mondiale come concepita dall’Occidente.

Una Cina che ha ripreso le sue caratteristiche millenarie dell’autoritarismo e della preminenza del collettivo sull’individuale. Il partito più attento ai piani economici per lo sviluppo che alla lettura di Marx, rappresenta oggi la continuazione delle tradizioni millenarie dei mandarini incaricati da sempre di gestire lo Stato. Contrariamente ai tempi di Mao torna a prevalere la competenza, rimangono il deferente atteggiamento verso l’autorità ed il richiamo continuo alla preminenza di una cultura in atto da 4.000 anni.

Il mondo arabo, diventato favolosamente ricco dopo lo choc del petrolio degli anni ’70, grazie alle sue possibilità economiche, delle quali l’Occidente è stato tributario, passato dal cammello alla Rolls Royce, è dominato da dinastie di origine tribale che hanno nell’islamismo la giustificazione del proprio potere (come nella storia i sovrani per grazia del volere divino). Un mondo arabo frustrato per il mancato aggancio con la modernità ha originato il terrorismo islamista a titolo di rivalsa.

In India Nehru, seguito dalla figlia Indira Gandhi e dai di lei successori, ha cercato di modernizzare il Paese introducendo il socialismo fabiano di stampo inglese. La spinta si è esaurita e il potere è oggi nelle mani di un partito che è riuscito a rappresentare i sentimenti ed estremismi religiosi delle varie correnti induiste.

La Turchia, dopo la parentesi laica dovuta ad Atatürk, è tornata, con Erdogan, ad una visione islamica della società aspirando a un ruolo e una presenza nel Medio Oriente, e sullo scacchiere internazionale, che rievoca le glorie dell’Impero ottomano. Non esita ad impegnare il suo esercito in violazione dei suoi obblighi con la NATO. Mi auguro che le anime belle di europei, con gracili nozioni di storia e geografia, che volevano spalancare le porte dell’UE ai turchi, si siano ravvedute. Tutto ciò prova che gli scontri in atto non sono solo economici, problemi di dazi e concorrenza, ma hanno profonde radici culturali che riaffiorano prepotentemente rappresentando concezioni politiche e della società antitetiche.

In questo quadro dove si situa l’Europa? Se nella raffigurazione del mosaico ho cercato di attenermi ai fatti, evitando previsioni e giudizi, per quanto concerne la società europea non posso astenermi dal dire che vedo l’Europa perdente negli scontri in atto e futuri. Conseguenza anche di un atteggiamento diametralmente opposto a quelli degli altri grandi contendenti delle guerre di cultura in corso. La costruzione di un illusorio pacifismo basato su continue concessioni. Prendendo l’UE quale espressione ufficiale dell’Europa constatiamo l’impegno a dimenticare le nostre radici cristiane (culturalmente innegabili), ad ignorare e contrastare la ricchezza delle differenti identità che ci caratterizzano, a non difendere, quasi fossero una colpa, i valori europei dell’individualismo. Purtroppo in Europa soffriamo di oikofobia, quella patologia che fa sì che ci si vergogni di noi stessi, del nostro passato, di quello che abbiamo realizzato, pronti ad ogni occasione e genufletterci chiedendo scusa a chiunque ed in qualsiasi caso. Dimentichiamo tutto ciò che gli europei hanno dato al mondo, nel progresso civile, scientifico, economico, nel campo della cultura, pur compiendo come tutti gli altri attori della Storia colossali scellerataggini. Mentre le altre culture avanzano appoggiandosi sulle proprie radici noi vogliamo creare il futuro nascondendo e negando il nostro passato, avendone perso il rispetto. Chi non ha rispetto di sé non può pretendere quello degli altri.

Tito Tettamanti

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata

* * *

Russia, Cina, mondo arabo, India, Turchia… Tettamanti lascia da parte gli USA. Come li valuta, oggi, dopo Obama e sotto Trump? Sarebbe interessante saperlo!

Egli è pessimista sull’Europa e noi siamo pessimisti con lui. La vede perdente perché non ha più la forza di combattere per dei valori nei quali non crede più. Si avvolge in un “illusorio pacifismo basato su continue concessioni”. Il declino è doloroso e inevitabile. 

Noi la vediamo, l’Europa, vecchia, abulica e demoralizzata. Forse il maître-à-penser non ci darebbe torto.

 

Relatore

View Comments

  • (…) differenti identità che ci caratterizzano …quasi fossero una colpa, i valori europei dell’individualismo. (…) T.T. dixit.

    Direi che uno dei “valori” che caratterizzavano (e che rendevano attrattiva) l’Europa, intesa (anche) come continente, non sia (stato) l’individualismo (una caratteristica invece maggiormente presente oltreatlantico) ma quel sistema di protezione sociale (welfare) che ha tentato - appunto - di contenere i danni dell’individualismo nascente, oggi imperante, e che si manifestano anche con un crescente degrado sociale.

    L’occidentalismo (se mi posso permettere il termine) è stato bruciato dall’individualismo che è l’antitesi di quel minimo tuttavia necessario concetto di coesione civile. Il legame funzionava fintantoché fosse assicurata una certa ricchezza diffusa.

    Ora la ricchezza si è concentrata ai piani alti della scala sociale, la classe media si è frammentata e il popolo rimasto disilluso non vede (non sente) la necessità di difendere un concetto (l’occidentalismo) che non gli restituisce più l’idea di un benessere concreto.

    Un contratto fatto sui sette denari (il guadagno, il successo, la ricchezza. ) non regge in assenza dei denari, per cui il discorso retorico sui (presunti) “valori” non funziona più. Senza dover sorbirsi lo choc delle civiltà narrato da Huntington, basterebbe leggersi alcuni testi apparsi di recente per ...“arricchire” la povertà della mia sintesi.

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