Estero

La Svezia ammette di aver sbagliato: “Non abbiamo fatto abbastanza”

 

La Svezia ha fatto parlare molto di sé nelle ultime settimane per la sua decisione di non adottare misure restrittive per contenere il coronavirus. A differenza degli altri paesi europei la Svezia si è limitata a chiudere parzialmente le scuole e le università e ha vietato assembramenti oltre 500 persone, ma le misure non si sono spinte oltre.

Uffici aperti, mezzi di trasporto stracolmi e ristoranti pieni. Nessun altro paese industrializzato del mondo ha agito in questa maniera e la condotta della Svezia ha attirato non poche critiche. Adesso il paese nordico deve affrontare le dure conseguenze delle sue scelte poco prudenti. “Non abbiamo fatto abbastanza” ha dichiarato il premier svedese Stefan Löfven in un “vergognosamente” tardivo mea culpa. Contagi e morti aumentano in modo esponenziale e ora, lo stato nordico da sempre esempio di welfare, è costretto a ricorrere a misure estreme per evitare il collasso di quel sistema sanitario che tutto il mondo invidia sin dagli anni Trenta. Le autorità sanitarie svedesi hanno dichiarato che da ora in poi le cure per COVID-19 non potranno essere automaticamente garantite a persone che hanno più di 80 anni e 60-70enni con malattie pregresse.

Intanto, la Svezia non ha ancora annunciato il lockdown e non ha fatto passi avanti nell’approvazione del progetto di legge per concedere poteri eccezionali all’Esecutivo in modo che questo possa imporlo. Ma il premier continua a promettere: “Mi sembra ovvio che sotto tanti aspetti non abbiamo fatto abbastanza. È per questo che abbiamo adottato una strategia di sicurezza nazionale che ha a che fare con tutto, dall’approvvigionamento idrico alla sicurezza informatica”. Ma di fatto ancora nulla è cambiato: bar e ristoranti restano aperti, i mezzi pubblici continuano a trasportare folle di persone nell’ora di punta. Le scelte della Svezia sono in netto contrasto con quelle dei suoi vicini e infatti la Norvegia, la Finlandia, la Danimarca e l’Islanda hanno deciso di chiudere le frontiere con il “vicino ribelle”, per la prima ma volta nella storia della Comunità nordica.

La situazione ora non può che peggiorare. Soprattutto considerando  il fatto che negli ultimi anni il sistema sanitario svedese ha subito un cambiamento strutturale con la sua parziale privatizzazione e la conseguente diminuzione del numero dei letti in terapia intensiva. Dei soli 300 disponibili, 79 sono ancora liberi. Una volta esauriti i posti “se una persona viene colpita dal COVID-19 la decisione su ricovero e cura dovrà essere basata non solo sull´età anagrafica ma anche su quella biologica” ha annunciato il Karolinska Institutet.

MK

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