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L’incredibile ipotesi di Celio – Il pensiero (sconvolgente) del giorno

FRANCO CELIO  “Al giorno d’oggi un partito come il Plrt ha ancora motivo di esistere? In questo contesto, non dovrebbe essere tabù neppure l’ipotesi (dico bene: “ipotesi”) di un eventuale scioglimento, dato che gli “scopi sociali” all’origine della sua nascita (libertà di pensiero e di stampa, scuola pubblica, separazione Stato-Chiesa, libertà di domicilio, di impresa ecc.) sono stati sostanzialmente raggiunti. In ogni caso, meglio sciogliersi che vivacchiare dissanguandosi a poco a poco”.

* * *

Le conseguenze della perdita del seggio agli Stati sono – com’era facilissimo prevedere – pesanti. La fine del PLR ? Non è una bazzecola! Quello che Celio non dice (ma che sa benissimo) è che il “Partitone” è stato sì un insieme di ideali, azione politica e presenza istituzionale ma è stato anche – e per un tempo lunghissimo – il gestore prioritario del potere nella nostra società, dispensatore delle cariche e delle prebende. “Non si muove foglia che il PLR non voglia”.

Questo non è né un bene né un male, ma un semplice fatto. Sono cose che non si cancellano in un lampo; sarà (se avverrà) un mutamento profondo, nulla sarà più come prima.

* * *

Il vecchio leone Celio ha voluto provocare? Evidente. Che cosa vuol dirci con la sua provocazione? Che la reazione del partito alla disgrazia (diciamo pure: a una serie di disgrazie) è stata del tutto insufficiente. Ha ragione da vendere.

Un sondaggio e un workshop? Senza dimenticare un team di coaching. L’inglese fa così chic!

 

Relatore

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  • Mi permetto una riflessione a margine del teorema esposto da F. Celio.

    E non lo faccio… celiando…
    Ricerche e studi di vario genere hanno tentato di indicare quali potrebbero essere gli elementi necessari a un contesto democratico per permettergli di offrire maggiori garanzie di stabilità. Ne è venuta fuori una lista di ragioni interessanti iniziando dalle garanzie della integrità personale, quindi l’esclusione di conflitti violenti, poi la sicurezza economica, il grado di protezione sociale, una giustizia ben amministrata, infine un’identità “emozionale” condivisa da legàmi anche basati sul senso di appartenenza, di fiducia reciproca, di gradimento dei successi comuni, di volontà di collaborazione tra i cittadini.

    Si narra tuttavia che altri studi, pure specifici, siano riusciti a dimostrare, nella realtà politica attuale, la presenza di non meglio precisato “teorema dell’elettore medio” che si basa sul presupposto secondo il quale vengono approvati solo quei programmi in grado di suscitare il favore della maggioranza degli elettori. Di conseguenza solo una notevole capacità di disturbo della minoranze ignorate potrebbe determinare dei cambiamenti importanti. Sul grado e la natura del disturbo non è dato a sapere: «dove vi è il maggiore, il minore decade», dicevano un tempo.

    Consideriamo infine anche, sulla base di una “Storia” che nulla parrebbe insegnarci, il movimento “fanatici e compiaciuti” vinca le elezioni con il 50.1%. Per fanatici fate voi: metteteci gli irredentisti rapati, oppure il bolscevismo nostalgico, il radicalismo religioso, il movimento anarchico radical-chic, il gruppo-anti-Gini (nel senso del coefficiente), i white trash, il raggruppamento anti-tasse, il centrismo estremo, i residenti inquieti, il partito delle sardine, oppure quello degli squali. Insomma guardiamoci attorno.

    Ecco che i numeri, le proporzioni, il numero di preferenze… la quantità insomma, assumono un’importanza determinante relativamente al mantenimento o il superamento di un determinato contesto politico. Soprattutto se reso vulnerabile da pesanti errori della politica cosiddetta ordinaria. Proprio perché la politica – oltre l’indispensabile livello qualitativo (alcuni dicono assai carente) di chi la esercita – alla fin fine è (anche) fatta di soli numeri

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