A 30 anni dalla Caduta del muro di Berlino, tra discorsi della cancelliera Angela Merkel (“troppe le vittime del comunismo”) e del presidente Steinmeier (“siamo oggi uniti grazie alla voglia di libertà dei Paesi dell’Est”), e tra musiche, concerti, show ed esibizioni barie, ci si rende conto di una storia riscritta dal popolo.
Uno spettacolo definito “crossmediatico” quello che vede le più alte cariche di Stato celebrare un evento voluto dal popolo, che dimostra l’impatto (gonfiatosi con gli anni) che la Storia può avere sulle menti dei popoli di nazioni (ormai allo sfaldo).
Il Muro di Berlino fu costruito il 20 novembre del 1961, in una sola notte. Misurava dai 30 centimetri ai due metri, a seconda dei punti; tagliò, inizialmente in mattoni, poi rafforzato col cemento armato, di netto la città, passando anche attraverso case e finestre. Circondava Berlino ovest per impedire che spie nemiche entrassero nella Berlino Est dalla Berlino Ovest. Ma soprattutto per impedire ai Berlinesi dell’Esr di fuggire all’Ovest!
Fu fatto costruire dalla Germania Est, come linea di confine tra la zona sovietica, e tra la zona della Germania sotto l’egemonia Francia, Regno Unito e USA.
Rimase una “cortina di ferro” sino al 1989, provocando la morte di circa 133 persone, tutte dell’Est Europa, che provarono a scavalcarlo, invano. Catturati dalla DDR, i fuggiaschi furono in seguito anche assassinati.
La notte tra l’8 e il 9 novembre 1989, a 30 anni esatti da oggi, dopo che il governo della Germania Est annunciò che sarebbero state permesse le visite tra le due Germanie, i cittadini della Germania Est, presi dall’entusiasmo, presero a demolire il muro, senza essere fermati dalle guardie di confine: il muro crollò sotto i colpi di piccone e fu preso d’assalto da cittadini dell’Est che con canti, balli e brindisi, penetravano nella “Germania ricca”, quella sotto l’egemonia dell’Ovest.
Il muro fu in seguito demolito con un’attrezzatura industriale, e alcuni dei suoi pezzi vengono distribuiti tutt’oggi come souvenir, pur essendo spesso dei falsi.
Il 13 giugno 1990, un anno e mezzo dopo, la riunificazione tedesca, simboleggiata dalla caduta del muro, politicamente e concretamente potè dirsi attuata.
I concerti si terranno sotto la porta di Brandeburgo, resa visibile grazie proprio alla caduta del Muro, trent’anni fa.
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Sulla caduta del Muro di Berlino servirebbe una seria riflessione. Meno celebrazione e più analisi politica. Spesso si dimentica che l’armata rossa dette il più grande contributo alla sconfitta dell’armata tedesca senza il/la quale la storia sicuramente sarebbe stata diversa. Ciò non giustifica alcunché, ma permette, semmai, di meglio comprendere lo spirito del tempo. Fatta questa telegrafica ma doverosa premessa sarebbe pure opportuno riflettere sul “nostro Mondo Libero” non solo come lo si vende nella propaganda mediatica martellante globalizzata ma, e soprattutto, nella sua realtà concreta.
Sembrerebbe quasi simmetrico che all’universalità proclamata dei “diritti umani” (primato dichiarato ad alta voce in contrapposizione alle miserie dell’oltrecortina) corrisponda, invece e purtroppo, la “globalizzazione dei sistemi inumani” determinati dal paradigma mercantile del… progresso. Un presente tuttavia prigioniero delle sue stentoree promesse che non riesce più giustificare la distruzione che - nella vita reale - determina. La cosiddetta onda verde è lì per ricordarcelo. La contraddizione sta nel rapporto ormai insostenibile tra gli scopi enunciati e gli esiti devastanti della propria azione. Il problema è che, nella storia progressista, un treno ne nasconda un altro e così ci si ritrova regolarmente a fare i conti con le conseguenze che non s’immaginavano.
Il capitalismo contemporaneo non si arricchisce come l’artigiano o il contadino della “mitica letteratura liberale” in proporzione al lavoro che fa, ma in ragione del lavoro gratuito degli altri, ai quali viene negata tutta la gioia del benessere. Trovo perfino che ci sia del sadismo ripeterci ogni giorno, ad esempio, che i cosiddetti super manager guadagnino trecento, quattrocento volte più di un normale salariato. Insomma non ne capisco lo scopo: che cosa si vuole ottenere? Un istintivo rancore? Una ingiustificabile rassegnazione?
Lì probabilmente si annida la perfida colpevolizzazione di chi non può raggiungere lo standard della ricchezza tracotante, tipica di coloro che credono di avere il compito di imporre ai propri simili come devono vivere. L’illusione, che liberismo economico, quello politico, così come la libera circolazione di merci, dei capitali, delle persone e la cosiddetta “libertà”… dei consumi (… relativa al proprio reddito) possano convivere senza confliggere, è la stessa che ci sollecita ad accettare un sistema che non serve ai bisogni degli uomini, se non quella di renderli perennemente sudditi. Ho letto da qualche parte che un ministro tedesco ebbe a dire a proposito della caduta del Muro:” Quel giorno finì la Guerra fredda ma il mondo divenne più freddo”.
Sulla caduta del Muro di Berlino servirebbe una seria riflessione. Meno celebrazione e più analisi politica. Spesso si dimentica che l’armata rossa dette il più grande contributo alla sconfitta dell’armata tedesca senza il/la quale la storia sicuramente sarebbe stata diversa. Ciò non giustifica alcunché, ma permette, semmai, di meglio comprendere lo spirito del tempo. Fatta questa telegrafica ma doverosa premessa sarebbe pure opportuno riflettere sul “nostro Mondo Libero” non solo come lo si vende nella propaganda mediatica martellante globalizzata ma, e soprattutto, nella sua realtà concreta.
Sembrerebbe quasi simmetrico che all’universalità proclamata dei “diritti umani” (primato dichiarato ad alta voce in contrapposizione alle miserie dell’oltrecortina) corrisponda, invece e purtroppo, la “globalizzazione dei sistemi inumani” determinati dal paradigma mercantile del… progresso. Un presente tuttavia prigioniero delle sue stentoree promesse che non riesce più giustificare la distruzione che - nella vita reale - determina. La cosiddetta onda verde è lì per ricordarcelo. La contraddizione sta nel rapporto ormai insostenibile tra gli scopi enunciati e gli esiti devastanti della propria azione. Il problema è che, nella storia progressista, un treno ne nasconda un altro e così ci si ritrova regolarmente a fare i conti con le conseguenze che non s’immaginavano.
Il capitalismo contemporaneo non si arricchisce come l’artigiano o il contadino della “mitica letteratura liberale” in proporzione al lavoro che fa, ma in ragione del lavoro gratuito degli altri, ai quali viene negata tutta la gioia del benessere. Trovo perfino che ci sia del sadismo ripeterci ogni giorno, ad esempio, che i cosiddetti super manager guadagnino trecento, quattrocento volte più di un normale salariato. Insomma non ne capisco lo scopo: che cosa si vuole ottenere? Un istintivo rancore? Una ingiustificabile rassegnazione?
Lì probabilmente si annida la perfida colpevolizzazione di chi non può raggiungere lo standard della ricchezza tracotante, tipica di coloro che credono di avere il compito di imporre ai propri simili come devono vivere. L’illusione, che liberismo economico, quello politico, così come la libera circolazione di merci, dei capitali, delle persone e la cosiddetta “libertà”… dei consumi (… relativa al proprio reddito) possano convivere senza confliggere, è la stessa che ci sollecita ad accettare un sistema che non serve ai bisogni degli uomini, se non quella di renderli perennemente sudditi. Ho letto da qualche parte che un ministro tedesco ebbe a dire a proposito della caduta del Muro:” Quel giorno finì la Guerra fredda ma il mondo divenne più freddo”.