Michael Sfaradi
Considerando però che in passato, sia nei regimi di stampo fascista o nazista quanto in quelli di stampo comunista, le vignette sono state il mezzo preferito per incanalare l’odio di massa verso le minoranze, per non farsi strumentalizzare dal potere è necessario che certi limiti non vengano superati.
Il popolo ebraico, lasciatemelo scrivere, è probabilmente quello che più di ogni altro ha sentito, e continua a sentire, questo odio che si riaffaccia ciclicamente e che troppo spesso viene pompato proprio da certa informazione ormai non più di nicchia.
Con il tempo l’antisemitismo è diventato antisionismo e, con la coscienza smacchiata da un semplice sinonimo, in troppi negli ultimi anni, sdoganati da un andamento che ha interesse a mantenere uno stato di tensione continua, si sono permessi di arrivare a livelli di istigazione tipici delle dittature del passato.
E con questo non mi riferisco al concorso della vignetta antisemita sponsorizzato dal governo degli Ayatollah, concorso che se la memoria non mi inganna è stato vinto in varie edizioni proprio da vignettisti italiani.
Nel tempo il Popolo Eletto, bisogna pur sopravvivere, è riuscito a sviluppare un sesto senso che aiuta a riconoscere nelle battute dei comici, nelle barzellette o nelle vignette, che sono il tema di questo articolo, quando c’è la battuta che ha come fine una risata o quando dietro a quello che dovrebbe essere uno scherzo o una presa in giro si nascondono invece delle gocce di veleno.
Dando uno sguardo al passato ricordiamo che le vignette di Forattini, che con Israele non è mai stato tenero, suscitarono proteste perché già si sentiva che i limiti del buongusto stavano per essere scardinati. In particolare quella del 3 aprile 2002 su “La Stampa” che raffigurava un carro armato israeliano, contrassegnato con la stella di David, mentre punta il cannone verso una mangiatoia nella quale un bambino impaurito, identificabile in Gesù per via dell’aureola sul capo, esclamava: “Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!”.
Ma ciò che nel 2002 fece scalpore è niente in confronto a quello che abbiamo visto negli ultimi anni, Vauro docet.
Un pezzo alla volta, l’istigazione ha preso il posto della satira fino all’esilio completo.
Le due vignette apparse nei giorni scorsi su uno dei più importanti quotidiani statunitensi, il New York Times, altro non sono che la punta dell’iceberg di un odio che viene costantemente alimentato in tantissimi modi.
La vignetta antisemita di António Moreira Antunes, del N.Y. Times
Poco conta che poi, sotto la spinta delle proteste, la vignetta che raffigura il presidente Trump che con gli occhiali da non vedente viene portato a spasso da un cane guida con le fattezze di Netanyahu sia stata ritirata. E fa ancora più rabbia che il direttore e tutti i caporedattori abbiano scaricato le loro responsabilità dando la colpa al disegnatore. Chiunque abbia lavorato anche nella più stupida delle redazioni sa che nulla viene pubblicato senza l’autorizzazione di un responsabile.
C’è un aspetto però in questa vicenda che è ancora più grave, la vignetta in questione, lo si può vedere dalle immagini allegate a questo articolo, riprende nelle fattezze il tema dell’ebreo che porta a spasso il potere, già usato durante le peggiori dittature.
Quando scrivo di onestà intellettuale intendo proprio questo: è onesto disegnare e pubblicare oggi una vignetta che riporta un tema del genere? Sicuramente no. È mai stata pubblicata, dal New York Times o da altra grande testata, Fox esclusa, una vignetta così dirompente contro il presidente durante gli otto anni di presidenza Obama? Credo proprio di no e temi per attaccarlo, anche pesantemente, ci sono stati. Uno per tutti il mancato aiuto all’Ambasciatore Stevens durante l’attentato di Bengasi in Libia.
Altra vignetta antisemita di António Moreira Antunes
Se c’è una selezione a monte su cosa dire e cosa no, su chi attaccare e chi no, l’informazione, anche nelle democrazie più solide, è vittima di un’autocensura che trasforma i media liberi in megafoni di propaganda e la storia ci insegna che propaganda di regime e antisemitismo vanno sempre a braccetto.
Il New York Times, e questo è risaputo, è la bibbia della sinistra statunitense e un attacco antisemita come quello messo in atto con la pubblicazione della vignetta è, per certi aspetti, ancora più grave. Dalle destre nostalgiche è facile aspettarselo, e quando succede i megafoni urlano con decibel impazziti, mentre quando arrivano dalle sinistre liberal, quelle dall’anima candida e immacolata perché portatrici della verità, della cultura e del progresso, debbono necessariamente essere sempre classificate come, magari pesanti, ma sempre critiche.
Nella gente comune, invece, il sesto senso ebraico di cui ho scritto precedentemente ha raggiunto il limite di guardia. Per questo è giusto dire che non esiste solo un antisemitismo di destra post fascista ma anche di sinistra che segue ancora le linee guida di chi vorrebbe distruggere Israele modello soviet supremo, e che quest’ultimo, anche se qualcuno tende a sopportarlo e pochi hanno il coraggio di dirlo, va combattuto con la stessa forza con la quale si combatte ogni tipo di antisemitismo.
Perché l’odio verso il popolo ebraico, da qualunque lato arrivi, non potrà mai godere di alcuna certificazione Kosher.
Michael Sfaradi
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