Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Il testo non impegna la redazione.
Un articolo lungo e complesso, che denota una sicura competenza

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Due settimane fa, giorno più giorno meno, il Consigliere nazionale Pirmin Bischof scendeva raggiante e con il pugno alzato in segno di vittoria dalla scalinata del Tribunale federale. E ne aveva ben donde. Lui e suoi compagni del PPD avevano appena vinto le loro cause contro il Consiglio federale ed ottenuto l’annullamento della votazione (persa) sull’iniziativa popolare contro la penalizzazione fiscale dei coniugi. L’Onorevole Bischof aveva poi persino una ragione in più degli altri di rallegrarsi, essendo egli in qualche modo il capofila della combriccola. Infatti il suo ricorso (numero di ruolo 1C_316/2018) precedette seppur di poco quelli dei suoi compagni.

Fu dunque egli il primo ad ottenere l’annullamento di una votazione federale nella storia della Svizzera? Ebbene no, poiché in merito alla medesima questione vi fu un altro ricorso, un solo che non fosse riconducibile al PPD, con numero di ruolo 1C_315/2018. Si dà il caso fosse il mio.

Ma non è questo il puntino che mi più mi premeva rimettere al suo posto. Ben altri sono stati omessi dai cronisti durante le ultime settimane e ci tengo a segnalarne tre.

1) La giurisprudenza del Tribunale federale in materia fiscale è stata ondivaga sull’arco dei decenni. Ciò ha permesso ai vari attori di servirsene a piacimento.

2) Le menzogne del governo sono superiori a quanto reso noto sinora, non tanto in fatto di numeri, ma quanto a intenzionalità e disprezzo del popolo.

3) La penalizzazione lamentata dal PPD è in buona parte dovuta a misure che il partito stesso ha favorito e condiviso in passato.

Converrà tuttavia cominciare con un’analisi strutturale della penalizzazione.

I coniugi possono essere penalizzati in fatto di imposta federale diretta e in rapporto alle coppie non sposate in pari condizioni economiche per due ragioni assai distinte: (a) primo, poiché essi sono imposti congiuntamente e non separatamente; e (b) secondo, ma solo qualora siano anche genitori, siccome il reddito individuale di almeno un genitore di una coppia non sposata è soggetta all’aliquota dei coniugati.

Le diverse aliquote determinano la penalizzazione: l’aliquota dei coniugati è sì inferiore a quella dei celibi a parità di reddito imponibile, ma nel primo caso esso è soggetto al cumulo dei redditi. I due effetti non necessariamente si compensano poiché le aliquote non sono finalizzate al riequilibrio (splitting).

Circa 138’000 coppie di coniugi (con o senza figli) sono penalizzate in virtù della prima ragione; ad esse si aggiungono altre 310’000 coppie di coniugi (con figli) penalizzate in virtù della seconda. Entrambi i gruppi sono numericamente in crescita. Va detto che gli altri due gruppi che stanno avvantaggiati dirimpetto ai suddetti sono pure diversamente numerosi, anche se piuttosto in rapporto inverso. I dati non sono quelli attuali, bensì quelli che avrebbero potuti essere messi a disposizione al momento della votazione (fonte: Consiglio federale, 2018).

Torniamo ora a mettere a posto i tre puntini.

1) La condotta del Tribunale federale. Spesso citata è la sentenza del 1984 (DTF 110 Ia 7) in cui fu dichiarata contraria alla Costituzione federale una legge cantonale, “nella misura in cui, nell’imposizione di redditi elevati, pregiudica senza un motivo sostenibile i coniugi rispetto ai concubini”. Più precisamente il Tribunale stabilì una soglia di penalizzazione massima ammissibile del 10%, o anche meno (“eine Mehrbelastung, unter Umständen bis zu gut 10%, die sich mit dem Gleichheitsgrundsatz nicht verträgt”). Punto di vista questo reiterato due anni dopo (112 Ia 311), oltretutto con l’aggiunta che il legislatore è tenuto a correggere le disposizioni entro tempi ragionevoli (“angemessener Frist”).

Poi la svolta. Nel 1992 (118 Ia 1) essa si annuncia in maniera quasi impercettibile e in un caso assai particolare (coppia di conviventi, due figli comuni, madre levatrice in formazione e detentrice della custodia dei figli, padre sostegno economico della famiglia). Il padre fece valere che, come celibe dinanzi al fisco, fosse penalizzato rispetto ad un coniugato, in quanto la legge allora vigente non gli concedeva deduzioni per i figli. Il Tribunale, pur osservando che tale era il tenore chiaro e univoco della legge e che la penalizzazione si sarebbe ribaltata nel suo contrario a conclusione della formazione della madre, antepose l’equità al diritto e ordinò all’autorità fiscale di venir incontro all’uomo, ma senza esigere una revisione della legge. Che però seguì comunque.

Due anni dopo (120 Ia 329) la svolta fu a tutto campo. Il Tribunale stabilì come una determinata distribuzione del carico fiscale non sia contraria alla Costituzione, se equa risultasse alla luce di un paragone tra gruppi di contribuenti (coniugati, celibi e coppie conviventi). Più precisamente disparità tra contribuenti di pari capacità economica che superassero il 10% sono tollerabili se rare. E ancor più lo sono, ossia meno rare possono essere le eccezioni, se si tratta di vantaggi anziché di penalizzazioni. Inoltre non vi è più soglia di penalizzazione che abbia carattere assoluto.

Il concetto di raro (“relativ seltene Konstellationen”) è sufficientemente vago da risultare perfettamente insindacabile. Una sua valutazione richiederebbe peraltro una conoscenza dettagliata delle distribuzioni di reddito per gruppi, cosa di cui non dispone neppure l’Amministrazione federale delle contribuzioni, e ciò per sua stessa ammissione. Inoltre strano a prima vista può apparire il distinguo tra vantaggi e penalizzazioni. A ben vedere è però esattamente quello che serve per sdoganare tanto l’imposizione secondo il dispendio quanto il privilegio fiscale dei conviventi con figli. Due tabù legislativi che, con buona pace di destra e sinistra, resistono fino ai nostri giorni.

Quello che tuttavia fa ancor più specie è come il Tribunale, riferendosi a gruppi (“Gruppen von Steuerpflichtigen”), abbia reintrodotto l’arcaico principio della responsabilità collettiva. Detto in soldoni: va bene che vi siano dei coniugi penalizzati se in compenso altri sono avvantaggiati. Aggiungo: un paragone diretto tra tutti i contribuenti, siano essi celibi o comunità liberamente costituitesi (coniugi), sarebbe assai più congruo con la più illuminata responsabilità individuale. Inoltre renderebbe superflue le stime della consistenza di gruppi e sottogruppi.

Infine giunse il tempo dei ripensamenti. Nel 2005 (131 II 710) il Tribunale sancì come la parità di trattamento di genitori celibi e coniugati fosse contraria alla Costituzione, poiché diverso è il numero di persone sostenute da uno stesso reddito. Nondimeno antepose il diritto all’equità e perpetuò il privilegio in virtù del tenore chiaro e univoco della legge. Quasi inutile aggiungere che la sentenza non indusse alcuna revisione della legge federale. Nel 2007 (133 I 206), statuendo sulle aliquote degressive del Canton Obwaldo, affermò la valenza individuale dell’equità fiscale (“verfassungsrechtlicher Individualanspruch auf Gleichbehandlung”). Nel 2010 (136 II 241), statuendo sul caso di un contribuente soggetto all’imposizione alla fonte, decise che l’assegnazione a tale gruppo di contribuenti non poteva vanificare il suo diritto individuale alla tassazione ordinaria ulteriore.

2) La condotta del Governo (ossia Consiglio federale, Dipartimento federale delle finanze e Amministrazione federale delle contribuzioni). Mi limiterò ad esporla nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale federale, anche siccome esso ancora non è interamente di dominio pubblico.

In data 15.06.2018 il Governo pubblicò nuove stime sul numero di coppie coniugate penalizzate in ambito di imposta federale diretta. Esse furono di molto superiori a quella di 80’000 coppie, ossia al numero comunicato in vista della votazione popolare. Spiegò la discrepanza con il fatto che le coppie con figli fossero state omesse per dimenticanza.

In data 14.09.2018 il Governo mandò al Tribunale federale una sua presa di posizione sui ricorsi. Ritrattò la versione dei fatti data in precedenza, affermando che la dimenticanza non riguardò la stima della votazione, ma un’altra intermedia alle due di cui sopra. Diede poi una nuova e a suo dire diversa rappresentazione dei fatti. Affermò in buona sostanza che il metodo usato per la stima della votazione teneva conto della penalizzazione del tipo (a) ma non del tipo (b) (in riferimento alla distinzione di cui sopra); la stima nuova invece di entrambe le penalizzazioni. Il Governo sostenne inoltre che l’uso del metodo vecchio, benché errato, non potesse essere oggetto di ricorso, siccome ormai consolidato (“etabliert”), tanto più che il metodo nuovo fu introdotto solo dopo la votazione. E meglio: che non potesse esserlo nella misura in cui l’errore fosse dovuto al metodo e che potesse invece esserlo tuttalpiù per quanto dovuto al mancato aggiornamento (80’000 anziché 138’000). Ma pure limitatamente a quest’ultima possibilità il Governo chiese il respingimento dei ricorsi, in quanto l’errore non era, sempre a suo dire, tanto grave da compromettere la legittimità della decisione popolare (“nicht als derart gravierend zu betrachten, dass die Legitimität des Volksentscheids infrage gestellt ist.”) Anzi, a sua difesa, valutò che gli svantaggi di un aggiornamento prevalessero sui vantaggi, poiché esso non avrebbe fatto altro che complicare il dibattito (“Da sich die Reformdiskussionen zur Ehepaarbesteuerung im Übrigen bereits über eine lange Zeit hingezogen und ständige Aktualisierungen die Vergleichbarkeit der Reformvorhaben tendenziell erschwert hätte, beurteilte die Eidgenössische Steuerverwaltung die Nachteile einer Aktualisierung höher als deren Vorteile.”) Non mi resta che esprimere un commosso grazie al Governo per il candore della sua confessione; quella cioè del suo scarso apprezzamento delle facoltà cognitive di tutti noi, suo devoto popolo.

Confutai poi le argomentazioni del Governo con le sue stesse parole. In particolare già nel Messaggio concernente la legge federale sullo sgravio fiscale delle famiglie con figli del 2009 esso stesso rilevò come la penalizzazione di tipo (b) fosse contraria alla Costituzione, e ciò sulla scia della sentenza 131 II 710 del 2005 di cui sopra. Il Governo non poteva quindi non sapere nel 2016 che il vecchio metodo di stima risalente al 2006 (con calcoli basati su dati fiscali del 2001) aveva fatto il suo tempo. In qualche modo la precedente sentenza 120 Ia 329 del 1994 (di cui sopra) potrebbe però averlo indotto a credere (a torto) di poter fare a meno di stime più precise.

Per completezza va detto che a mente del Governo i due metodi si distinguono secondo un criterio leggermente diverso da quello da me enunciato. Esso affermò (senza addurre prove) che entrambi tenessero conto della penalizzazione di tipo (b), benché diversamente. Più precisamente, il confronto di una coppia di genitori coniugati con una di genitori conviventi necessita di un’ipotesi riguardo a quale di quest’ultimi due benefici dell’aliquota coniugale. Secondo il metodo vecchio sarebbe quello con il reddito inferiore, secondo quello nuovo l’altro. Orbene, siccome l’imposta federale diretta è altamente progressiva il risultato effettivo rimane essenzialmente quello che dicevo. Ma vi è di più. Già nel 2006, e da parecchi anni, il beneficiario dell’aliquota coniugale era il genitore con il reddito superiore, e ciò sulla scia della sentenza 118 Ia 1 del 1992 (di cui sopra). Quindi il metodo vecchio non ha mai riprodotto fedelmente la penalizzazione né mai poteva dirsi consolidato.

3) La condotta del PPD. Nel Messaggio del 2009 (di cui sopra) il Consiglio federale rese attento il Parlamento sull’incostituzionalità dell’aliquota coniugale a favore di genitori che coniugati non sono. Nondimeno il Consiglio federale si guardò bene dall’infrangere un tabù e propose di non negarla. Il Parlamento lo seguì, rappresentanti del PPD compresi! E che sia ben chiaro: non si trattò di un compromesso come se ne devono talvolta fare in democrazia. Infatti il Consiglio federale propose perlomeno di non più imporre l’uso improprio di tale aliquota ai Cantoni, a 23 dei quali era sgradito; ma il PPD espresse la sua contrarietà già in fase di consultazione.

Perpetuando esso stesso l’incostituzionalità, il PPD ha conferito alla penalizzazione dei coniugi tutta quell’ampiezza che gli ha permesso di così drammaticamente indignarsi più tardi.

Ecco finalmente messi a posto alcuni puntini sulle i. Possano contribuire ad arginare il mare di balle che un nuovo dibattito presto ci riserverà. Già stanno arrivando. Il titolo del Blick che campeggia sopra la foto del buon Pirmin Bischof recita “Bundesgericht: CVP-Heiratsstrafe muss wiederholt werden”, ossia la penalizzazione (e non la votazione) è da rifare. Mai lapsus fu più freudiano, perché rivela quale a mente del Blick e di molti debba essere la traiettoria del dibattito.

Due precisazioni per concludere. Primo: non trarrei alcun vantaggio finanziario dall’abolizione della penalizzazione. Secondo: il materiale completo, che solo fa stato, è disponibile in rete (https://www.dropbox.com/s/wa2dv56c0nr87pp/beschwerde.zip?dl=0).

Gian Michele Graf