Lunedì notte, 1.27. Uno studente d’origine armena, Alex Minassian, 25 anni, chiuso e introverso, senza apparenti legami religiosi, si lancia a bordo di un furgone sulla strada principale di Toronto, tra Yonge Street e Finch Avenue East, centrando i passanti a uno a uno.
Le pattuglie arrivano, armate, e fermano il furgone a un chilometro di distanza dalla strage. L’autista killer scende, il poliziotto gli intima di stendersi a terra, questi gli risponde di sparargli in testa. Vuole morire? I poliziotti lo arrestano.
E’ disarmante pensare come il killer sia riuscito a colpire nonostante nello stesso momento fosse attivo uno scudo di sicurezza per la riunione ministeriale del G7 in svolgimento a 30 km dal luogo dell’attentato.
Il primo ministro canadese, Justin Trudeau, non si lascia andare a dichiarazioni improbabili, rimanendo fermo solo sull’esprimere solidarietà alle vittime.
Presumibile tuttavia il legame del killer con Elliot Rodger, attentatore di Santa Barbara nel 2014, suicidatosi dopo la strage, divenuto idolo di molti terroristi. Minassian aveva infatti espresso frasi d’adulazione nei confronti di costui.
Forse elementi isolati, senza connessione, forse invece legati da un filo invisibile a noi, concittadini di folli, abitanti di un mondo impazzito, in balìa della follia dei suoi stessi abitanti.
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