Catullo, l’innovatore della poesia latina, che introdusse l’amore anziché la politica, la satira anziché l’odio, la vita, anziché la morte. Catullo, così transalpino eppur così integrato nella jeunesse dorée della Roma bene del I sec a C, che introdusse termini celtici quanto nuovi (e di successo! Si pensi alla parola basium, divenuta la nostra “bacio”) nell’altisonante latino urbano, così satirico e aggraziato, leggiadro nella sua ironia, amante spassionato, fedele e commosso amico del fratello precocemente scomparso.
Catullo, colui che portò la grecità in Roma, la leggera musa saffica, travolta dall’amore a prima vista (ricordate il ille mi par esse deo videtur? ovvero:”mi par essere un dio, colui che ti siede accanto, poiché sostiene il tuo sguardo senza crollare, come invece farei io, che brucio d’amore per te”), colui che cantò l’amore, nella sua spontaneità, nella sua vitalità.
Non visse qui, dicono gli archeologi: la villa (sterminato sito archeologico, in cui le colossali volte rimaste si confondono alla pietra “fresata” fungente da cava, che si stagliano contro l’azzurro terso del cielo) è di datazione posteriore. Poco importa, qui si ritrova la romanità connessa alla celticità, la classicità alla natura, il passato scomparso alla vita presente.
Giungete, da ogni dove, e vi ritroverete qui, amanti pellegrini del bello, e dell’eterno.
Chantal Fantuzzi
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