Innovazione: c’è chi vince e c’è chi perde
I compiti a casa per la politica
Le domande indirizzate alla politica sono molteplici e l’urgenza di risposte impellente. Ci sono domande di carattere etico nell’ambito dell’intelligenza artificiale, ad esempio riguardo la privacy (pensiamo alle fotocamere su ogni robot), la mansione da assegnare ai robot (provate ad immaginare le conseguenze di un corpo di polizia robot), il grado di gestione e di sviluppo autonomo di robot (e se i robot sviluppassero un’intelligenza superiore alla nostra?). Ci sono poi le domande di carattere economico: quali prospettive ci sono per lavoratori con poca formazione o con formazione specifica che verranno sostituiti dalla robotizzazione, in primis dopo una certa età? Domande di carattere fiscale: come recuperare le tasse e i contributi sociali pagati per ogni lavoratore se esso viene sostituito da un robot? Domande di carattere redistributivo: come combattere l’aumento delle disuguaglianze in un’economia dove il capitale conta più del lavoro umano?
Lo scorso mese di febbraio il Parlamento europeo ha accettato di creare una legislazione ad hoc sulla robotizzazione, approvando il rapporto della deputata socialista M. Delvaux. L’introduzione di una tassa sui robot è stata però respinta dal parlamento, come noto a maggioranza borghese. Tassa che è stata proposta recentemente anche da R. J. Shiller (Cfr. https://www.project-syndicate.org/commentary/temporary-robot-tax-finances-adjustment-by-robert-j–shiller-2017-03), premio Nobel per l’economia nel 2013, e perfino da B. Gates, per il quale mancherebbe una risposta pubblica adeguata all’immenso e rapido cambiamento che causerà la digitalizzazione. Se a sostenere una tale tassa è il fondatore della Microsoft, nonché uomo più ricco della terra, forse anche i più scettici potrebbero prendere in considerazione l’auspicabilità e l’urgenza di una politica di redistribuzione della ricchezza prodotta dai robot, così come la creazione di un paracadute occupazionale (per esempio una riqualifica professionale) per i settori stravolti dalla digitalizzazione. Un’altra via, che eviterebbe l’arduo problema di dare una definizione a “robot” sarebbe semplicemente quella di prelevare e redistribuire delle quote dalla rendita dei capitali come sostenuto dall’ex ministro greco Y. Varoufakis in risposta a Gates (Cfr. https://www.project-syndicate.org/commentary/bill-gates-tax-on-robots-by-yanis-varoufakis-2017-02).
Il tema è caldo anche in Svizzera
Il tema è caldo anche in Svizzera. Agli inizi del mese, il consigliere nazionale socialista M. Reynard ha depositato tre postulati riguardanti la robotizzazione: uno per una definizione giuridica di robot, il secondo per una valutazione delle conseguenze a livello di assicurazioni sociali, il terzo per valutare l’introduzione di una tassa sui robot. Al parlamento di Ginevra si discute invece se tassare le casse automatiche dei supermercati.
E in Ticino?
È di inizio marzo la notizia che il DFE intende realizzare un centro di competenze per agevolare la digitalizzazione delle aziende ticinesi, appoggiandosi alla SUPSI. Riconosco senza dubbio l’importanza degli sviluppi tecnologici globali per l’economia ticinese, ma sarebbe opportuno interrogarsi su cosa possa e debba fare lo Stato per frenare la disoccupazione, per non perdere tasse e contributi alle assicurazioni sociali e per ridistribuire la ricchezza prodotta dai robot. Se la politica oggi non si muove, non si dovrà poi lamentare quando i perdenti di turno decideranno di riesumare il luddismo.
Andrea Ghisletta
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Articolo interessante, anche se il luddismo è il solito, ormai stantio, discorso che salta fuori per contestare coloro che mostrano scetticismo verso la cosiddetta schumpeteriana “autodistruzione creatrice”, (elegante e colto alibi di tendenza) tuttavia maldestra giustificazione degli sfracelli sociali nostri contemporanei. Quegli adattamenti che due secoli fa avrebbero avuto luogo nel giro di due generazioni, oggi si svolgono in pochi mesi. Quindi il rapporto col luddismo è totalmente… fuori tempo.
È invece un astuto espediente quello di far credere alla gente che la società possa funzionare al meglio lasciando i mercati liberi di scegliere «chi vince e chi perde». Sostenere codesta narrazione è un danno non solo per i cosiddetti “perdenti”, ma per l'intera società, perché convoglia energie verso sterili obiettivi demagogici piuttosto che indirizzarle concretamente per tentare di migliorare la condizione economica di tutti. Naturalmente, la miseria dei popoli non è un fatto casuale. È l'espressione di quei momenti storici, in cui i rapporti di forza tra ricchezza azionaria e lavoro sono completamente sbilanciati a favore della prima. I subalterni sono perciò un popolo organico alle finalità mercantili. Non sono quindi le “inevitabili” vittime delle innovazioni tecnologiche. Come si vuol far credere.
Il neoliberismo è un progetto delirante che fa perno sulla possessione integrale degli individui. Nell’utopia neoliberale si dà per scontata la nascita spontanea di una comunità di individui desiderosi di «avere». Il rapporto salariale è ridotto a rapporto strumentale “reductio ad utensilium” quindi superati termini quali “dignità” ed “equità”. Da qui il bando assoluto di ogni interferenza nelle forze del mercato.
Perfino prima di poter udire qualche sporadica e timida ammissione sulla più volte ricordata povertà occidentale di ritorno, c’è voluta la massiccia crescita dei cosiddetti populismi dell’anti-sistema, poi la brexit, poi ancora il trumpismo. Tonnellate di letteratura specifica, moderata, consapevole, preveggente sfornata in venti anni di sofferenti ricerche, non sono state in grado di muovere una foglia. Cancellate da una politica totalmente disinteressata ad assumersi i compiti necessari almeno al contenimento degli eccessi. Probabilmente la colpa più grave del populismo non mi sembra perciò quella di attentare alla democrazia rappresentativa, ma di concorrere a perpetuare la subalternità dei subalterni. Con metodi diversi.
@senzaquorum:disqus , ti ringrazio per il tuo commento.
Ho nominato il luddismo perché è l'esempio più efficace per ricordare che le rivoluzioni tecnologiche non sempre sono un affare win-win per tutti. Avrei potuto scrivere anche più addietro. Un caso interessante è quello capitato a William Lee, inventore nel 1589 della macchina per la produzione di calze da donna. Egli andò dalla Regina Elisabetta I a mostrare la sua invenzione. La regina gli rifiutò una patente, poiché temeva per l'occupazione dei propri sudditi.
Il paradosso è che i lavoratori sembravano essere più protetti nel 16 secolo rispetto ad oggi.
In questo caso non è il mercato, ma l'innovazione a rendere obsoleti certi mestieri. Come successo anche in passato. Ma per permettere a tutti di beneficiare dell'innovazione serve uno Stato forte, che sappia ridistribuire i profitti, che aiuti chi rimane senza occupazione. Io riconosco la povertà di ritorno in Europa e proprio a fronte di ciò invoco più giustizia sociale! Quello che dico è: se non ci sarà questo Stato forte a riequilibrare il benessere, allora non ci si potrà lamentare se le forze e i movimenti sociali si metteranno di traverso!
Buona Pasqua, Andrea
Non era una critica all’interessante articolo. Anzi.
Il mio riferimento era diretto alla subdola retorica imperante assai attiva nella difesa unilaterale di quel fantomatico libero mercato 4.0 inteso quale talismano salvifico, esclusivo e indiscutibile. Per cui il luddismo viene abitualmente contrapposto quale fasullo esempio comparativo: …un antico paradigma dal sapore reazionario. Così come ogni critica che volesse mettere in discussione anche quelle scelte neo-mercantili palesemente autodistruttive. Che si vuole invece dover essere assunte in toto, pena la scomunica.
In realtà tutto ciò sta minando il modello sociale europeo, e con esso l’assunto che il lavoro protegge dalla povertà. Sappiamo che dalla metà anni Settanta, perfino davanti a una delle più grandi rivoluzioni nelle tecnologie della comunicazione e del trasporto, il mondo occidentale ha conosciuto un rapido aumento della povertà.
Negli ultimi trent’anni la quota dei salari sul PIL è diminuita nella maggior parte delle economie nazionali: questo indica un peggioramento della condizione del lavoro di fronte al capitale,
Non per niente c’è chi si è spinto a definire la tanto decantata “distruzione creatrice” una narrazione ingannevole.
Un cordiale saluto. Auguri per il tuo impegno.