“La miseria umana a Parigi è notevole”
Il professore luganese racconta le sue (poco piacevoli) esperienze in una “Ville Lumière” degradata
La situazione è abbastanza ben delineata: a Place Stalingrad e nelle vicinanze c’è un giro di trafficanti che la polizia ha difficoltà a controllare e un giro di poveracci disperati che ne sono vittime. Spesso uno di questi disperati tossici adocchia le persone a cui potrebbe sottrarre dei soldi, le ferma domandandogli (quasi educatamente) del denaro, ma poi passando rapidamente a vie di fatto; tra l’altro questi tossici presi dalla disperazione hanno una forza notevole.
L’episodio che mi riguarda: io questa mattina al passaggio di Place Stalingrad per andare al lavoro, alla richiesta di soldi ho deciso di allontanarmi rapidamente correndo. Benché “relativamente” allenato, sono stato seguito per 150 metri da uno di questi poveracci che formulava varie minacce e insulti. Questa volta, un’auto della Polizia di passaggio è intervenuta fermando il malcapitato il quale andava pure sostenendo che io ero stato razzista non dargli dei soldi.
Francesco Russo
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La testimonianza del prof. Rossi è la realistica fotografia del vissuto della popolazione normale. Purtroppo chi possiede le chiavi decisionali e informative non vive la stessa realtà. Il dirigente amministrativo oppure il politico di rango lasciano il loro appartamento situato in un quartiere residenziale chic, protetto dalla polizia privata, e percorrono con mezzi sicuri e discreti il tragitto, a corto raggio, che li separa dall’invisibile parking interno alla torre amministrativa in cui svolgono una parte del loro lavoro. Con gli stessi mezzi di servizio, dall’asettico ufficio con vista sulla città, raggiungono lo scalo aeroportuale, oppure le prime classi dei tgv per gli spostamenti a lungo raggio. Quindi un vissuto ben diverso da chi prende ogni giorno il popolare metrò passando per… Place de la Bataille de Stalingrad. L’astuto gioco dell'informazione ufficiale è quello di far credere che la criminalità NON abbia una relazione diretta con le condizioni sociali. Il fanatismo è stato spesso ricordato come causa per tentare una rapida spiegazione della violenza agita. Se così non si facesse si dovrebbe accettare l'idea di dover metter mano alle pesanti ineguaglianze che ne sono evidentemente il bacino d'incubazione. Troppo difficile parrebbe il necessario e inderogabile agire sulle cause piuttosto che periodicamente rintuzzarne le tragiche conseguenze. Quindi si nascondono i fatti oppure si fanno ricadere le responsabilità sulle spalle del… deviante di turno. Il professor Rossi avrà certamente letto gli illuminanti testi di Michel et Monique Pinçon. À suivre. Anzi à lire.
1) Se uno delinque... è colpa della società. Questa l'ho già sentita. È veramente fantastico. Se lo faccio... non è MAI colpa mia!
2) Il professore (mio amico personale) si chiama Francesco Russo.
Mi scuso con il prof. Russo e con la redazione per l’errore involontario. Chiedo venia.
Per quanto attiene alle colpe della società, ebbene non è certo “minimodire” l’unico sostenitore di tale, ormai assodato, concetto. Le statistiche parlano chiaro. Certo, sappiamo che 63 statistiche su 100 sono inventate… compresa questa.
Tuttavia la devianza segue una logica ferrea. Si sviluppa e attecchisce in condizioni economiche, educative e familiari ben definite. Veri e propri fattori sociali: residenza in quartieri periferici con alti tassi di disoccupazione, quindi condizione di pesante emarginazione, spesso sfociante in incarcerazioni premature.
Si potrebbe continuare specificando ulteriormente l’irrisolto problema tra urbanistica e criminalità, ciò che ha permesso di coniare il triste concetto di “città a più velocità”, intendendo con questo una stratificazione sociale se non addirittura una vera e propria apartheid di reddito. In concreto: l’edificazione di isole residenziali privilegiate oppure l’abbandono di quartieri ormai diventati ghetti d’emarginazione esistenziale. Un percorso economico sostanzialmente ideologico subdolamente attuato. Evitare di accettare queste verità è nascondersi dietro a un dito. Pericolosamente.