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“Non rubare” diventa, in politicamente corretto: “Sarebbe bene che tu non rubassi”

“Prima i nostri!” – Il controprogetto è una tattica priva di strategia (titolo originale)

Ho chiesto a Wikipedia (e ad altri vocabolari) la conferma di due cose che sapevo già, ma cui una rinfrescatina non ha fatto male: le definizioni di strategia e di tattica. Una strategia – ho trovato – è la descrizione di un piano d’azione di lungo termine usato per impostare e successivamente coordinare le azioni tese a raggiungere uno scopo predeterminato. Una tattica è un metodo utilizzato per conseguire degli obiettivi. In altre parole, la strategia risponde alla domanda: “Che cosa mi propongo di fare?” La tattica, invece, mi dice “Come devo fare ciò che mi propongo”.

A mio modo di vedere, questi due termini militari possono essere perfettamente applicati alla legislazione. La strategia dell’iniziativa “Prima i nostri!” è chiara: vuole che, inserendo nella Costituzione cantonale i princìpi della priorità indigena e della lotta al dumping salariale che automaticamente ne farebbe seguito, all’autorità venga imposto un obiettivo vincolante in questo senso. Superata la fase strategica con l’accettazione popolare dell’iniziativa, a governo e parlamento toccherà poi elaborare una tattica (come raggiungo questo obiettivo?), sotto forma di legge d’applicazione. In che misura sarà incisiva ed efficace, dipenderà sì dal margine di manovra concesso dal diritto superiore (Costituzione e leggi federali), ma anche dalla volontà politica di chi sarà chiamato a fare i compiti. Infatti, fintanto che Berna non avrà elaborato una legge d’applicazione dell’articolo costituzionale 121a (approvato da popolo e cantoni il 9 febbraio 2014), e che le leggi cantonali rimangono nei termini di quest’ultimo, non si può invocare un diritto superiore tuttora inesistente. È quindi legittimo pensare che ci sia uno spazio di manovra ben maggiore (non ci vuole molto) del classico “a sa po’ mia” con il quale a Bellinzona si è inclini a liquidare certe proposte sgradite, scaricando il barile su Berna o Losanna. Quindi, facciamo un passo alla volta. Dapprima fissiamo la strategia, poi penseremo alla tattica.

Il controprogetto invece, non ha una strategia. Raccomanda la priorità indigena, auspica che venga applicata, ma non impone niente. È un po’ come se nei dieci comandamenti non fosse scritto “Non rubare” o “Non uccidere”, bensì “Sarebbe bene se non rubassi” oppure, alla pari di un pacchetto di sigarette, “Uccidere fa male alla salute”. Lo scopo è solo quello di combattere l’iniziativa fingendo di sostenerne i postulati ma, in realtà, cercando di tagliarle l’erba sotto i piedi deviandone i potenziali consensi su una proposta che declama (subdolamente) gli stessi princìpi. Ai sostenitori del controprogetto – che sono poi gli stessi scesi in campo a suo tempo contro l’iniziativa federale del 9 febbraio – non importa se questo non otterrà il necessario 50% dei votanti, a loro va benissimo lo status quo, cosa che otterranno se verranno bocciate ambedue le proposte. Gli autori del controprogetto passerebbero tranquillamente al vaglio della macchina della verità, quando affermano che è direttamente applicabile: non applicando niente se non vuoti auspici, l’affermazione non fa una grinza.

Intendiamoci, nessuno ha mai affermato che l’applicazione dell’iniziativa sarà tutta rose e fiori, specialmente considerando che buona parte di chi sarà chiamato a elaborare la legge d’applicazione farà di tutto per contrastarla (le remore ad applicare l’articolo costituzionale federale insegnano), ma essa fornirà perlomeno gli strumenti necessari – ossia una base legale incontestabile – per affrontare concretamente il problema del frontalierato, della disoccupazione e della priorità indigena. Anche l’iniziativa si appoggia a “Bottom up”, ma non nel senso “dal basso all’alto” che gli dà la proposta Ambühl. Bottom in inglese significa anche deretano. Approvando l’iniziativa (e non il controprogetto, mi raccomando) il popolo ticinese darà un imperioso ordine ai politici ticinesi: “Bottom up!”, che in buon dialetto si traduce “Sü ul cüü (da la cadrega)!”. Per i politicamente corretti: “Datevi da fare!”.

Eros N. Mellini

Relatore

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