Consegnati i ricorsi contro le leggi sulla dissimulazione del volto
L’obiettivo del ricorso era anche didattico. Lo abbiamo scritto con le nostre forze e con l’aiuto di una terza studentessa, Sofia Pino. Volevamo metterci alla prova nelle nostre conoscenze e crescere, “scontrandoci” con il sistema istituzionale. Non siamo avvocati ed era la prima volta che affrontavamo un ricorso. La battaglia per la democrazia comincia anche da qui, non sta solo nei contenuti di ciò che abbiamo scritto. Laddove il legislatore pretende che il cittadino osservi facilmente le leggi, allora anche l’accesso a un ricorso per violazione dei diritti umani dovrebbe essere facile.
Abbiamo scoperto difficoltà procedurali, lingua complessa e routinière, costi elevati. La logica del processo è completamente professionalizzata, sebbene il parlamento che fa le leggi non sia composto di soli giuristi.
Ci siamo impegnati, ma alcuni punti ostacolano la vittoria:
Il TF potrebbe decidere di non entrare in materia, poiché c’è una garanzia federale che tutela la norma costituzionale ticinese votata dal popolo tre anni fa. A questa obiezione rispondiamo che la garanzia federale in realtà non è totale e il legislatore ticinese comunque la ha oltrepassata.
Il TF potrebbe allinearsi alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla legge francese. Noi rispondiamo che quella sentenza parla solo di donne che portano il burqa. Noi invece contestiamo la violazione della libertà di espressione delle idee politiche, di autodeterminazione informativa, di manifestazione, di riunione, di movimento, economica, nonché del diritto ad avere un giudice, della violazione della forza derogatoria del diritto federale, del diritto ad un trattamento uguale e del divieto di arbitrio.
Mai abbiamo preso posizione a favore di un velo religioso, cattolico o mussulmano che sia. Abbiamo sempre scritto nella nostra posizione di cittadini ticinesi, laici, militanti progressisti.
Il TF potrebbe comunque decidere che il nostro ricorso va respinto a prescindere da quanto scritto qua sopra. In quel caso i motivi possono essere due: o abbiamo fatto degli errori giuridici, o semplicemente il Tribunale federale ritiene che sia arrivato il momento di abbandonare il diritto liberale per entrare nell’epoca del “diritto della paura” (cit. Cass Sunstein).
In ogni caso, se non riusciremo a vincere, ci scusiamo con tutti quei cittadini che credono nella libertà, nella solidarietà, nella legalità, nel diritto a comunicare senza che lo Stato li censuri preventivamente. Abbiamo provato in tutti i modi a dire che non è vero che “il rispetto di un vivere comune da noi prevede il vedersi in faccia”. Perché coprirsi il volto è talvolta necessario, fosse solo per dare la chance a chi sarebbe represso di esprimersi, o per comunicare qualcosa spersonalizzandosi. Non è sempre teatro, non è sempre religione, non è sempre carnevale. Talvolta il vivere assieme è un’alchimia complessa e gli apprendisti stregoni ticinesi non lo hanno minimamente preso in considerazione, banalizzando il concetto stesso di relazione sociale.
Respingiamo con forza la critica di chi ci dice che non stiamo difendendo le donne. Siamo a favore della parità di genere e contro l’oppressione. Questa legge però non difende le donne, mentre viola i nostri diritti democratici. Anzi, rilanciamo: l’autorità crei in via Nassa un museo sull’emancipazione femminile! Farebbe bene alla consapevolezza del ruolo della donna in Ticino e non metterebbe in discussione nessun diritto democratico di noi cittadini laici ticinesi.
Un ultimo appunto: nel ricorso non abbiamo contestato la violazione della CEDU. Chiediamo che un tribunale svizzero giudichi in base al solo diritto svizzero nazionale. Staremo a vedere.
Filippo Contarini, Martino Colombo
Pubblicato su ticinotoday.ch il 7 maggio 2016 e riproposto con il consenso dell’Autore
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