Primo piano

Uova di Pasqua, galline e tartarughe – di Tito Tettamanti

L’Avvocato è un uomo potente e il suo senso dello humour è spiccato. Questo pezzo del Primo Aprile ha suscitato parecchie risate e molta ammirazione. Pensiamo, tuttavia, che nella sua lotta al “mostro burocratico” egli sia (come qualsiasi altro mortale) destinato a soccombere.

Possiedo due galline. È per questo motivo che qualche settimana fa ho ricevuto una cortese e ben formulata lettera dal Dipartimento delle finanze e dell’economia, Divisione dell’economia, Sezione dell’agricoltura. Alla lettera era allegato un formulario di quattro pagine fitto di numeri di codice e domande per il rilevamento obbligatorio dei dati del settore agricolo. Come d’uso oggigiorno, in considerazione del fatto che leggi, regolamenti, formulari sono sempre più complicati, amabilmente sono state allegate due pagine di spiegazioni.

Se penso che lo scorso anno la Confederazione ha mandato in procedura di consultazione un blocco di ventisei previste ordinanze e regolamenti relativi alla realtà sanitario-alimentare di ben 2.000 (duemila!) pagine con altre 200 (duecento) pagine di spiegazione, mi considero fortunato. Correttamente sono stato informato che i dati da me forniti potrebbero servire alle seguenti istanze: amministrazioni cantonali d’agricoltura, statistica e veterinaria (lotta alle epizoozie), Uffici federali dell’agricoltura, di statistica, dell’ambiente, Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria, Regia federale degli alcool, Ufficio federale dell’approvvigionamento economico del Paese, Amministrazione federale delle dogane, TSM Fiduciaria Sagl, laboratori cantonali e Banca dati sul traffico di animali. Scorrendo la lista delle divisioni, uffici, organizzazioni, non ho potuto fare a meno di pensare ai politici dei cosiddetti partiti borghesi che sono all’origine di questa inflazione di leggi che crea sempre maggiore necessità di interventi statali e quindi di burocrazia con relativi costi (non parlo dei deputati della sinistra che sono coerenti con le loro idee). Mi sono chiesto: ma questi politici ci prendono per i fondelli, ci considerano tutti deficienti, oppure, molto più grave, non si accorgono neppure dell’incoerenza e dei danni che fanno?

Impressionato ho, come si dice e si usa oggigiorno, aperto un tavolo di concertazione con le mie due galline. Ho cercato di spiegare loro la situazione geopolitica ed economica odierna a mo’ di introduzione e poi ho aperto il dibattito. Sono stato deluso per l’unica domanda rivoltami dalle galline, che è stata: il nostro mangime, se ci notifichi, è sempre sicuro e inoltre assicurato da te? (Dello Stato si fidano di meno). Alla mia risposta affermativa ha fatto seguito un atteggiamento di totale disinteresse per ogni ulteriore aspetto.

Per non chiudere il dibattito ho chiesto alla gallina dall’occhio più vivace perché alcune di loro in altri pollai non facevano uova. Mi ha risposto che erano quelle impegnate a pensare per dare una risposta alla domanda: è nato prima l’uovo o la gallina? Maldicente e pettegola mi aggiunse che non avrebbero mai trovato la risposta perché in tal caso avrebbero dovuto ricominciare a fare le uova.

Ho messo in discussione l’idea che lo Stato mettesse una tassa sull’uovo: indifferenza totale, tanto la tassa la paghi tu. L’ipotesi che questi rilevamenti potessero portare alla raccolta cantonale delle uova con successiva ridistribuzione dopo i necessari tempi burocratici e con una tassa di prelievo del mezzo uovo ogni due uova ha pure lasciato le mie galline indifferenti: tanto, hanno commentato, noi mangiamo il mangime non le uova. Era evidente in loro la psicosi da Bilaterali, panico e terrore per quel che si potrebbe perdere, dimenticando quanto invece si contribuisce.

Casualmente assistevano alla discussione anche le mie due tartarughe. Le tartarughe parlano poco ma hanno uno sguardo molto severo. Comunque la più anziana mi ha detto di non pensare di rompere loro le scatole. Il nutrimento se lo procuravano autonomamente nel mio orto, talvolta fregando l’insalata che mi piace e che si inviasse pure qualsiasi controllore europeo, confederale, cantonale, tanto si sarebbero nascoste talmente bene, come fanno anche con me, che mai le avrebbero potute trovare. Dagli intendimenti espressi mi è parso di intravvedere una evidente simpatia delle tartarughe per l’economia sommersa. La mia indignazione per l’apatia delle galline stava raggiungendo livelli massimi quando ho fatto qualche riflessione su di noi umani, sui nostri atteggiamenti, aspirazioni, impegno, ho fatto anche qualche paragone. Ho dovuto riconoscere che per finire siamo simili alle galline, comprensibile visto che apparteniamo ormai entrambi alla regolatissima e protettissima categoria degli animali da cortile.

Tito Tettamanti

(pubblicato nel Corriere e riproposto con il consenso dell’Autore)


Relatore

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  • C’era una volta una comunità di galline produttrici di ottime uova… Proprio così inizia la storiella trovata per caso tra le pagine di un burocratico accordo cartaceo.

    «C’era una volta una comunità di galline produttrici di ottime uova. Non propriamente uova d’oro, tuttavia uova ben fatte, sane e nutrienti. Uova che potevano essere vendute nei vari mercati conosciuti. L’allevatore grazie alla vendita costante e duratura di questo prodotto “perfetto” si era arricchito abbastanza velocemente. Inoltre era ben consapevole del fatto che le uova venivano prodotte dalle galline. Come spesso le galline stesse - un tempo solidali- sapevano ricordargli.

    Sì certo, l’allevatore era molto abile nel trovare i mercati disposti a comprare le uova, ma aveva anche capito (intelligentemente) che migliorando la vita delle galline avrebbe indirettamente migliorato anche la qualità delle uova. Quindi aveva parafato degli accordi “qualitativi” con tutti gli altri colleghi, migliorando anche la sicurezza e il benessere di ogni singolo pollaio. Tutti questi miglioramenti necessitavano di continui incontri con gli altri allevatori. Bisognava investire tempo e denaro ma i risultati erano l’alta qualità e il benessere di tutti.

    Ecco che un giorno un allevatore che si teneva ben informato, seppe dell’esistenza di pollai con così poche recinzioni che permettevano perfino l’uso minimo di mangime. Raccontava a tutti gli altri con toni entusiastici, che in codesti pollai le galline erano disposte a produrre le uova (un po’ meno belle, per la verità) per una misera manciata di granaglie. Accettavano questo ‹scambio› (le galline) perché costrette dalla consapevolezza che la loro vita produttiva valesse poco anche perché tenute costantemente in balìa delle volpi. Fuori da ogni pollaio v’era scritto in caratteri ben visibili: “Una manciata di becchime per la tua sopravvivenza”. Anzi, correva voce che, in qualche caso, erano le volpi stesse chiamate a gestire i pollai in sostituzione degli allevatori che si occupavano esclusivamente dei ricavi.

    Da quel giorno, come sappiamo, il mondo degli allevatori gioca ormai solo d’astuzia. Il ricorso alle volpi (indigene oppure esotiche) viene usato per tenere i pollai in un continuo stato di paura. Paura inoltre “implementata” con il uso della continua sostituzione di galline «viziate dal sindacalismo» (qualcuno dice) con galline pronte a nutrirsi con minore quantità di mangime. La faccenda funziona così bene che il fenomeno si è “globalizzato” a tutti i pollai del mondo. Si sono così cestinati tutti i vecchi (ormai inutili) accordi burocratici, finite nell’oblio le lunghe trattative, via le stupide recinzioni così da permettere alle volpi di gestire direttamente tutti i pollai (galline comprese) con il solo accordo tacito (tra volpi e beneficiari) di produrre più uova possibili al minor costo possibile e… e così vissero tutti felici e contenti. Beh, per la verità non proprio tutti.»

    Che dire? Fortunatamente non tutti gli uomini non sono… polli! Così ognuno ha (ancora) il diritto di raccontare le proprie storielle.

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