dal portale www.blognews24ore.com
Arabia Saudita, Qatar, Venezuela e Russia hanno firmato martedì un accordo per congelare la produzione di petrolio ai livelli di gennaio. In un primo tempo, l’accordo non era stato sostenuto dall’Iran, ma a seguito di una visita dei ministri di Irak, Venezuela e Qatar a Teheran, il ministro iraniano del petrolio, Bijan Namadar Zanganeh, ha dichiarato che il suo paese è favorevole a ogni misura atta a far aumentare i prezzi.
Dal 2014, il prezzo del petrolio è sceso di circa il 70 % e oggi si trova attorno ai 28-29 dollari al barile. Molti paesi produttori si trovano in gravi difficoltà, come il Venezuela, che rischia addirittura l’emergenza umanitaria.
La reazione dei mercati finanziari è stata tiepida, i trader temono che l’accordo non venga rispettato da tutti i paesi produttori. Si tratta comunque di un accordo importante, che potrebbe segnare la fine del crollo del prezzo del greggio.
E’ poco probabile che la Russia e l’Arabia Saudita, nemici sul fronte siriano, lo rispettino ma quello che conta è il segnale dato dai sauditi. Era infatti stata l’Arabia Saudita, che viene considerata la banca centrale del petrolio, a innescare il crollo dei prezzi, ordinando il mantenimento dei livelli di produzione nel 2014, probabilmente per danneggiare Russia e Iran.
Questa ‘guerra del petrolio’ ha avuto effetti drammatici anche sui mercati finanziari. Gli stessi sauditi registrano un deficit storico e, alla ricerca di fondi, prevendono di privatizzare una parte della società petrolifera nazionale Aramco.
Probabilmente, l’Arabia Saudita ha deciso ora di congelare la produzione ai livelli di gennaio perché ha raggiunto l’obiettivo di intralciare il settore del petrolio di scisto americano, che necessita di almeno 80 dollari al barile per assicurare la propria redditività. Le società americane di questo settore che ancora non hanno fatto fallimento, impiegheranno 2-3 anni per sormontare le difficoltà attuali, causate dal crollo dei prezzi.