Ricevo e volentieri pubblico questo articolo, che non impegna la redazione.
Formulo una sola osservazione. Nell’imminenza della conclusione dell’Accordo di libera circolazione molte voci si levarono per denunciare il rischio di DUMPING SALARIALE che minacciava il Paese, e in particolare il Ticino. Non furono ascoltate. I loro argomenti furono minimizzati, le loro gravi preoccupazioni spazzate via con noncuranza.
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NOTA. Ticinolive è un portale aperto, i contributi esterni sono graditi, alla sola condizione di soddisfare requisiti minimi di qualità. Tutti possono scriverci: anche i fautori dell’Unione europea. Anzi, sarebbe bene che talvolta lo facessero.
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POST SCRIPTUM (sabato mattina). Ho trovato in Facebook questo post di Fabio Schnellmann, granconsigliere e candidato PLR al Municipio di Lugano: “Alle future multinazionali che vogliono installarsi sul nostro territorio, al rilascio della licenza va fatta firmare una clausola con la quale si impegnano ad assumere almeno il 50% di personale indigeno (alcuni Cantoni già lo fanno). Vero, pagano comunque le imposte ma ora è prioritario creare posti di lavoro”.
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DETTO TRA NOI (mi confido, mi piace). Mi domando se iniziative così scoperte e “pacchiane” non abbiano un fine sostanzialmente provocatorio.
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Questo accade a causa della libera circolazione delle persone e di una classe politica di partiti storici che non ha nessuna intenzione di aiutare la nostra gente. Il mercato del lavoro ticinese è da anni confrontato con enormi patologie, quali il frontalierato senza limiti, il dumping salariale, la sostituzione dei residenti con italiani. Il voto del 9 febbraio è stata la dimostrazione lampante che il 70% dei ticinesi non vuole più la libera circolazione delle persone e vuole tornare ai contingenti: il numero di frontalieri in Ticino sta crescendo sempre di più, se non si interviene per fermare questa invasione, andrà sempre peggio. Invece PLR/PPD/PS, fautori delle frontiere spalancate a favore dei frontalieri, continuano ad ignorare il problema e a dire “non si può fare nulla” o “gli impegni con l’Europa vanno mantenuti”. No, così non si può più andare avanti: la gente è stufa di queste scuse provenienti dai partici storici e di chi sta alla testa del DFE, che tra l’altro, quando era sindaco di Sant’Antonino ha fatto arrivare nel suo comune una multinazionale in cui il 90% dei lavoratori sono frontalieri e che offre salari improponibili (2’300.- lordi) per un residente.
La Levi’s di Bioggio, il cui CDA è composto da due italiani, un tedesco e un francese, è solo la punta di un iceberg. In Ticino negli ultimi anni si sono insediate imprese che non stanno dando lavoro ai ticinesi, generano traffico, distruggono il tessuto sociale. Sono quindi ridicole e false le affermazioni della presidente di Ticino Moda (una ex Consigliera di Stato PLR, avulsa dal mondo reale) secondo cui le imprese che operano nel settore della moda sono “aziende che creano valore aggiunto, posti di lavoro e un importante indotto”. Non è assolutamente vero: sono aziende che assumono frontalieri, generano traffico, non creano alcun indotto (un piccolo esempio: molti frontalieri il cibo se lo portano da casa). Non c’è da stupirsi di tale dichiarazione dell’ex politica PLR: questo partito, vicino al mondo economico e alle imprese che assumono frontalieri, è il principale responsabile della disastrosa situazione che viviamo in Ticino e sta pure cercando di sabotare il voto del 9 febbraio. Per non parlare dei sindacati, che non difendono più (se mai lo hanno fatto) i lavoratori ticinesi.
Vedere annunci di lavoro discriminatori come quelli della Levi’s è triste e offensivo verso tutto il popolo ticinese. La libertà economica non deve essere illimitata, se essa danneggia il nostro popolo. Perciò attuazione immediata del voto del 9 febbraio, contingenti e obbligo per le imprese di dare la precedenza ai residenti. Il lavoro va dato prima alla nostra gente. E che certi annunci di lavoro non si vedano mai più.
Aron D’Errico – Movimento Giovani Leghisti Locarno
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Lamentismo sinonimo di Capitalismo? Ebbene proprio mi sembra. Proprio perché «perspicaci osservatori» ebbero a dire in tempi non sospetti (senza «se» e senza «ma») che l’economicismo (era) è da considerare come un bolide in corsa, con (oppure senza) il doppio tubo. Anzi se ne fa un tubo di tutti i tubi. Andrà a sbattere? Non si sa! Probabilmente sì. Ma per ora corre, corre e corre sul treno (poco) e su gomma (tanto).
Il capitalismo non è perfido per volontà dichiarata. Lo è per la natura stessa della sua logica predatoria prima, e parassitaria dopo. Cioè cresce, funziona e prospera quando trova un organismo dal quale ricavarne nutrimento: consuma gli uomini e i loro territori. Ma come ogni parassita arrischia di distruggere l’organismo di cui si nutre. Per cui già sappiamo, da tempo, che il sistema economico integrato se ne infischia assai dello «specifico» territoriale.
Veniamo all’articolo. L’ennesimo… pianto? Sarebbe ora di iniziare a comprendere che il Ticino (oltre che essere il cantone... salame alla swizzzra) vada considerato nella sua unica funzione cosmopolita: «un’espressione geografica» seducente per i fattori stessi che l’articolista ritiene -viceversa- negativi. La ristretta diottria del periscopio mercantile inquadra il TI quale a) terra «elvetica» (con tutti i suoi {per ora sufficienti} cliché: sicurezza, stabilità, snellezza burocratica) e b) confinante con una regione (Lombardia) formidabile fornitrice di manodopera qualificata a costi concorrenziali. Sfido chiunque a non ritenere tale condizione capitalisticamente ottimale. Durerà? Durerà finché un’altra terra (vicina oppure lontana) non offrirà le stesse oppure migliori condizioni mercantili. Utilizzato un territorio si può comunque cercarne e trovarne degli altri dai quali poi continuare ad estrarre sostentamento: un nuovo invidiabile pascolo… florido e accogliente.
E via di questo passo fino… all’apocalisse. Ciò detto mi vien d’aggiungere che, tutto sommato, non esiste un… capitalismo moderato. Chi resta fuori spera che con l’aiuto dello Stato possa tirare a campare fintanto che qualcosa cambierà. Il disastro è che anche (soprattutto?) chi ne vittima è perennemente convinto che… lo stato sia il problema e il mercato sia la soluzione. Tragico.