Ho pensato che fosse interessante contrapporre all’opinione del maître à penser della destra liberale un’opinione tipicamente di sinistra, per creare in un certo senso un contraddittorio. E proprio oggi Sergio Roic, scrittore e socialista tutto d’un pezzo, mi manda il suo contributo. Mi affretto a pubblicarlo, con un’avvertenza. Tettamanti commenta tutti i principali partiti, uno dopo l’altro: Lega, PLR, PPD, PS, Verdi, UDC per terminare con la questione del consigliere federale ticinese. Roic si dedica soltanto a due partiti: la Lega e il suo.
Partiamo allora dai veri vincitori delle recenti cantonali, la Lega dei Ticinesi, un movimento “flou” regionalista e di selezione etnica, giacché dice e ripete in continuazione di voler favorire i ticinesi più o meno doc nella vita pubblica e politica, per quel che riguarda la stessa attività politica (leggere Quadri per credere) e via andare. Il successo della Lega, naturalmente leader della destra nel caso di un maggioritario in Ticino, si deve a una società, la nostra, ipermediatizzata che consente ai leghisti e ai loro potenti mezzi di comunicazione di recuperare ampiamente l’handicap di non presenza sul territorio di antenne politiche locali. I leghisti parlano, mentre gli altri (a volte) organizzano. I leghisti rivendicano, criticano, ridicolizzano – poi alcuni di essi vestono i panni “ministeriali” per recuperare un po’ di credibilità – ma offrono al pubblico ticinese tutta una serie di visioni, più che altro, gradite alla popolazione: un Ticino staccato dal resto del mondo, autonomo ed autogestito; l’assenza o la forte riduzione di pericolosi stranieri, che essi siano asilanti o frontalieri; il benessere acquisito dallo storico comparto bancario (che tuttavia è in crisi per ragioni geopolitiche e non per scelte più o meno volontarie). Si potrebbe andare avanti all’infinito o quasi nell’elencare le rivendicazioni e i sogni settimanali dei leghisti, ben descritti da Sergio Morisoli in una recente opinione sul “Corriere del Ticino” come “leghismo inconscio dei ticinesi”. Insomma, secondo Morisoli i ticinesi, o almeno una forte percentuale di essi, sarebbero predisposti al leghismo che, in tutta semplicità, significa un forte rivendicativo ed escludente regionalismo. Questa è la loro ideologia e si tratta di un’autentica ideologia, e molto forte e radicata per giunta. Ma come condurrebbero i leghisti leader della destra il Ticino? E verso quali traguardi? Probabilmente lo condurrebbero come al momento attuale, ovvero appoggiandosi alla loro vincente ideologia esclusiva ed escludente nella società (“il Ticino ai ticinesi”, “prima i nostri”…) e mettendosi nelle mani di più o meno abili amministratori di marca liberale (non necessariamente tutti appartenenti al partito liberale…) e/o liberista nel solco dell’attuale politica/situazione sul mercato del lavoro ticinese, che essi criticano solo la domenica non offrendo soluzioni vere dal lunedì al venerdì.
In opposizione a questo “leader del non cambiamento” ci sarebbe, in una situazione di maggioritario, un altro leader, quello del centrosinistra, ovvero il tanto bistrattato Partito socialista. Che esso sia in crisi è indubbio, ma che possa avere ancora una notevole forza propulsiva politica lo è altrettanto, soprattutto in un sistema maggioritario che gli consentirebbe di organizzare attorno a sé le forze del centro responsabile [questa espressione è bizzarra e mi colpisce, la domanda da 100 milioni essendo: chi o che cosa è… il centro irresponsabile?, ndR] , della sinistra estrema e anche, forse, una cospicua costola del partito liberale, quella radicale. Tutto questo è possibile? Sì, se si decidesse, in ambito socialista, a percorrere la strada di un autentico progetto di società di centro-sinistra appoggiandosi da una parte alle associazioni d’area e al pensiero economico keynesiano (maggiori salari e maggiori diritti ai lavoratori per rilanciare il consumo individuale) e dall’altra all’ampia costellazione ecologista-anticapitalista che rivendica un ragionato ritorno ai valori del territorio se non proprio a quelli della terra tout court nell’ottica di arginare gli intenti speculativi di concern internazionali senza volto e pure quelli di molte aziende irresponsabili. Ma è davvero possibile e realizzabile riunire un ventaglio così ampio di idee e atteggiamenti? Certo che lo è, o meglio, dovrebbe esserlo, perché questa è l’unica chance della sinistra e del centro democratico di avere qualcosa da dire a proposito dei destini del cantone. Insomma, la sinistra e il suo centro di riferimento devono essere tanto ampi quanto possibile per riuscire ad avere un impatto reale sulle scelte di sviluppo cantonale. Un’idea di federazione delle sinistre e del centro responsabile (non quella “scissionista” di Cavalli, naturalmente, che è tutt’altra cosa) potrebbe riuscire a vincere delle elezioni maggioritarie con un Partito socialista alla testa del gruppo solo se, ovviamente, quest’ultimo si facesse un esame di coscienza serio e approfondito aprendo al dibattito al suo interno e con tutte le forze contigue, rinunciando a posizioni preconfezionate e a volte lontane dall’attuale vita ticinese (una posizione più possibilista al dialogo con l’UE in merito all’accordo di libera circolazione ma anche più rivendicativa per quel che riguarda le regole del mercato del lavoro è davvero auspicabile) e offrendo anche ai dirigenti delle altre formazioni ribalta e peso politico in un’atmosfera di dialogo/collaborazione che non vuol dire appiattimento ma crogiuolo di idee per un progetto di società capace di disegnare una “gauche plurielle”, l’unica in grado di imporsi
È proprio in questo ambito e secondo queste logiche che si potrebbe profilare anche il candidato ideale ticinese per il Consiglio federale, una necessità oggi più che mai onde poter contare qualcosa in Svizzera. E allora, invece dell’economicista Sergio Ermotti sostenuto da Tito Tettamanti in un’ottica della politica come prolungamento del discorso aziendale (ho avuto modo di confrontarmi, durante la mia esperienza “lombarda”, con idee del tipo “la democrazia va affidata alle camere di commercio” et similia, che con la democrazia come la conosciamo oggi non hanno nulla da spartire), propongo due autentici politici, uno per ogni schieramento, da gettare nell’arena politica svizzera. Quello della destra potrebbe essere Fabio Regazzi, imprenditore anch’egli, ma ben più a contatto con la politica e le richieste e i bisogni dei cittadini di un Ermotti, quello della sinistra mi auspico invece che possa essere l’ottimo sindaco federatore e aggregatore di Bellinzona, Mario Branda.
Sergio Roic
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Vabbè... d'accordo con l’analisi di Roic sulla… analisi di Morisoli (“Ma la Lega vincerà ancora”). Tuttavia per simmetrie ideo-logiche ci metterei pure quella di Giuseppe Sergi (“Bilaterali, socialisti e sindacati”).
Due recenti riflessioni “nostrane” (Morisoli/Sergi) interessanti; che non significa necessariamente doverle condividere.
Certo i liberisti dell’establishment insistono (fanno perno) sulla questione del debito pubblico, sulla competizione economica, sulla formazione meritocratica, sulle necessarie… disuguaglianze. Un “fallace” impianto teoretico che ha sedotto una moltitudine indigena di votanti. Nel mio piccolo ritengo tuttavia che sarebbe tempo di “ponderare” attentamente le… diciassette contraddizioni di David Harvey. In effetti l’obiettivo neoliberista non è quello di rilanciare l’economia ma piuttosto quello di ridurre (in favore di un demagogico individualismo) il "senso di responsabilità collettiva, quindi della sua espressione politica: lo Stato socialdemocratico.
La “cura” neoliberista è stata somministrata in questi ultimi vent’anni proprio per spostare il reddito del lavoro (salari e investimenti) al profitto azionario. Nulla più di una subdola distopia in cui la MISERIA è parte integrante del sistema. In realtà la finanza ha assunto il ruolo di sistema (quindi un ruolo politico) al posto di… finanziare (eventualmente) la crescita industriale, finanzia se stessa. Per cui essa diventa egemonica riducendo, dove lo ritiene necessario alla sua sopravvivenza, perfino i principi di democrazia.
Con l’avallo (eccoci!) delle socialdemocrazie che pagano (appunto!) ”la scelta di avere determinato la linea politica di molti Stati europei”. Il tutto viene servito tentando di demagogicamente i “perdenti” che ⟪non vi sono alternative!⟫. Ecco che la subordinazione del lavoro ai mercati è cosa fatta, spacciata per razionalità, efficienza, autoregolazione. Proprio come “condensato” nella bellissima metafora usata da Camilleri (“la forma dell’acqua”) e riproposta proprio oggi da Françoise Gehring sul CdT.
Magari leggersi (fresco di stampa) “Problemi in paradiso” di Slavoj Žižek, per constatare l’inganno neocapitalista. Cito Žižek perché qui in TL già qualcuno l’ha fatto, prima del sottoscritto. A ben donde.
Il problema quindi è il finanzcapitalismo e la soluzione è… come uscirne. Come si pone la Lega basta osservare come… si è già posta. Come si pongano i socialisti (anche nostrani) sarà interessante vedere. Dilemma allettante. Mi astengo da pronostici. Perché come diceva il saggio… le previsioni sono una difficile arte, specialmente se riguardano il… futuro.