La nostra banca, per sostenere il tasso di cambio fisso con l’euro a 1,20, ha dovuto stampare quasi 500 miliardi di franchi. Era prevedibile, una quantità di economisti o anche solo di persone dotate di buon senso lo pensava e lo ha scritto, che non potesse continuare all’infinito su una strada così pericolosa perché sarebbe inevitabilmente sboccata in un precipizio senza possibilità di salvezza. Indispensabile quindi la brusca frenata del 15 gennaio. Gli speculatori e gli hedgefonds che l’hanno prevista, e non sono stati pochi, quel giorno hanno intascato miliardi a dozzine. Di carta straccia come sono le monete di moda, d’accordo, ma che hanno pur sempre un potere d’acquisto. Il partito socialista, solitamente depositario di una ragionevolezza(?) che gli altri non hanno, e la richiesta di adesione pura e semplice all’UE ne è prova irrefutabile, questa volta la lezione non è riuscito a capirla, e reclama adesso a gran voce il pronto ritorno ad un tasso di cambio fisso, credendo o supponendo di mostrarsi particolarmente furbo limitandolo a 1,15. Il loro ex presidente Peter Bodenmann fino a 2 mesi fa reclamava addirittura un innalzamento dell’asticella a 1,40, cosa ben comprensibile dal suo punto di vista, perché utile ad attirare clienti europei di zona euro nel suo albergo di Briga, e quel che conviene al suo albergo non può non convenire a tutta la Svizzera. Né lui né il suo partito hanno però capito che le leggi dell’economia, e anche quelle della politica monetaria, sono quel che sono e non tengono in alcun conto i pii desideri di questa persona o quel partito. Provvedimenti politici che vanno contro queste leggi producono danni che un giorno o l’altro si devono pagare. E si pagano, anche se non si vuole.
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La Weltwoche dà i numeri (le percentuali) Statistiche internazionali, dalla “Weltwoche”, sempre utili per rendersi conto delle reali proporzioni delle cose:
Percentuale di stranieri nella popolazione, al 31.12.2012: Lussemburgo 42,6, Svizzera 27,7, al secondo rango, la Svezia, che si tende a presentare come lo Stato più accogliente in Europa, 15,5, al quarto posto dopo Lussemburgo, Irlanda e Austria per quel che concerne l’UE, Italia, al 22esimo posto con il 9,4%, il paese che riceve più immigrati di tutti, ma che velocemente come li riceve li “sbologna” subito via, in genere agli altri, in particolare a noi. Per dire solo dei nostri confinanti, Germania con 13,3%, Francia l’11,9, quasi tutti magrebini delle ex colonie, Austria il 16,2, dell’Italia ho già detto.
Abschottung, il nostro imperdonabile peccato I nemici dell’UDC cianciano e blaterano di nostra chiusura (“Abschottung” in tedesco) verso gli altri, sarebbero lieti di un 100% anzi di un 200% di stranieri, naturalmente tutti con diritto di voto e di eliggibilità, acquisiti con tanto di carta d’identità già al confine al momento dell’entrata. O esagero? No, non esagero. Letteralmente, un portavoce del Fondo nazionale per la ricerca, si è espresso così: “La Svizzera si sta avviando sulla strada della separazione dall’Europa (Die Schweiz schickt sich an, von Europa abzuschotten)”. Incredibile ma vero, è lo stesso Fondo nazionale che ha pubblicato uno studio secondo il quale la Svizzera ha la più alta percentuale mondiale di ricercatori stranieri, il 57%, USA 38% e Germania 23%, tanto per dare un’idea. 78% (2013) dei nostri ricercatori hanno un’esperienza internazionale.
Immigrazione annuale nel 2012 in percentuale della popolazione:
Svizzera, primatista mondiale, con l’1,6%. Seguono, dall’1,2 in giù, Norvegia, Australia, Nuova Zelanda. Canada e USA, paesi classici di immigrazione, stanno tra i “viennent ensuite” con rispettivamente lo 0,7 e 0,3%. Giappone 0,1%, la Cina e l’India stanno con il Messico, ad un brillante 0%.
Percentuale di studenti stranieri nelle nostre università, nel 2013:
Poli di Losanna 52,9, uni di Ginevra 40, poli di ZH 35,9, uni ZH 18,3, uni Berna 18, tutte con una forte crescita per rapporto al 2006.
Tutte queste cifre possono annoiare, lo so, ma aprono gli occhi sulla realtà delle cose.
Gianfranco Soldati
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