Lo stato sociale, così come è concepito nel nostro paese, è l’arte di rendere i cittadini dipendenti dallo stato impiegando i loro soldi per far fronte alle spese sociali.
[Gianfranco mi ha mandato il suo pezzo da Tenerife – a proposito, come te la passi, vecchio pirata? – senza titolo, e allora ce l’ho messo io. C’è una cosa che mi fa paura più di tutte le altre. È questa perdita continua, progressiva, implacabile di libertà. Mia e di ogni altro uomo. In certi momenti, neppure ce ne accorgiamo. In altri, essa assume ai nostri occhi un’evidenza assoluta. E ci atterrisce.]
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I banchieri centrali del mondo moderno, da Alan Greenspan in poi, sono diventati una specie di semidei (plurale di semidìo, nell’antichità classica eroi o divinità minori, nei tempi moderni individui caratterizzati da atteggiamenti di altezzosa e presunta superiorità). Da parecchi anni si riuniscono a ferragosto sul loro olimpo (adoperiamo i vocaboli nel loro significato precipuo, ne va della sanità del discorso, insegnava Romano Amerio! Devoto e Oli: olimpo: luogo corrispondente all’idea di superbia e di privilegio, talvolta con una sfumatura di sdegnosa intransigenza). Una località sulle Montagne Rocciose, Jakson Hole, soprannominata “Davos dei banchieri centrali”, nel Wyoming. Si incontrano con specialisti universitari per partorire poi i loro “pronunciamenti”, attesi dai protagonisti del mercato come fossero quelli della Sibilla. Quest’anno hanno deliberato su “Nuova stima delle dinamiche del mercato del lavoro”, per ricercare le cause del fatto che, 5 anni dopo la grande recessione del 2008/09, il mercato del lavoro negli USA sia ancora in piena crisi, anche se lo è molto meno che negli stati periferici dell’UE. Janet Yellen, presidente della Federal Reserve (Fed, banca centrale degli USA, proprietà privata (!) di grosse banche e grandi banchieri delle note famiglie) ha impressionato gli astanti con un lungo discorso traboccante di “da una parte” e di “d’altra parte”, nel senso del parlare per non dire. Constatazioni oggettive e stime affidabili consigliano, per risolvere il problema della disoccupazione, di lasciare tempo al tempo. I primi prudenti aumenti dei tassi di interesse da parte delle banche centrali non dovrebbero arrivare prima del secondo semestre del 2015, a dipendenza di quel che sarà lo sviluppo del mercato del lavoro. Fino a quel momento la politica monetaria resterà espansiva. Mario Draghi ha insistito su quello che è oramai diventato il suo cavallo di battaglia: la necessità impellente e improcrastinabile delle riforme strutturali.
Riforme qui, riforme là, la riformite, “refugium peccatorum”, regna sovrana. Ashoka Mody, fino a poco tempo fa responsabile presso il Fondo monetario internazionale (FIM) per l’Europa, adesso economista indipendente, ha messo a fuoco il problema: “Il riformare, così come ce lo propinano le élites europee, è un auspicio privo di contenuti”.
Una sola personalità, adesso presidente della banca centrale dell’India, ha parlato chiaro: Raghuran Rajan, che già nel 2005 aveva osato, rara avis, criticare il “grande” Alan Greenspan, mettendo in guardia contro l’insensata espansione del sistema finanziario e guadagnandosi i sorrisi beffardi dei colleghi adulatori dei potenti (una razza che sopravvive felice, opulenta e beata a tutte le crisi). A Jackson Hole non era purtroppo invitato, ma un paio di giorni prima del simposio americano ha rilasciato un’intervista al “Financial Times”, madre di tutte le pubblicazioni sul tema finanze: “Per compensare le insufficienze dei politici si sono attribuite responsabilità enormi ai banchieri centrali. Mia preoccupazione è che non abbiamo a disposizione abbastanza mezzi per poter far fronte a queste responsabilità e che non abbiamo il coraggio di dirlo. Cerchiamo perciò di affilare le armi disponibili, e questo può diventar causa di un aumento dei rischi insiti nel sistema finanziario”.
Che i rischi stiano effettivamente aumentando lo abbiamo sotto gli occhi, a meno di appartenere alla schiera degli euroforici che non vogliono vedere.
Informazioni riprese da un articolo di Andreas Höfert, economo responsabile di UBS Wealth Management, sulla “Weltwoche” del 2 ottobre 2014.
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Le grandi enciclopedie, quelle che hanno fatto la storia della cultura occidentale (per le altre culture non posso esprimermi per mera ignoranza mia) sono oramai morte o condannate a breve. La più rinomata di tutte, l’Encyclopaedia Britannica, è morta all’età di 244 anni nel 2012. La Brockhaus tedesca, nata a metà del 19esimo secolo, ha rinunciato quest’anno 2014 ad aggiornamenti e ristampe. In Francia il “Grand Larousse Encyclopédique”, in Italia la “Treccani” e in Spagna l’”Enciclopedia Universal Ilustrada” si dibattono tra gli scogli di un mare in tempesta.
A condannarle a morte è stata un’enciclopedìa attualmente adolescente, cresciuta però con incredibile velocità, già diffusa in tutto il mondo, opera di collaboratori volenterosi e impegnati, talora però interessati più a diffondere la loro visione delle cose e a difendere propri interessi, anche tramite vera e propria disinformazione, che non a propagare la verità scientifica, storica o etica. Un enciclopedìa a nome Wikipedìa, praticamente gratuita e disponibile istantaneamente su semplice richiesta.
Le vecchie, gloriose e costose enciclopedìe venivano solitamente vendute, oltre che nelle librerie, da professionisti ambulanti. Dopo tanti altri (l’arrotino, il mugnaio e l’impagliatore di sedie, per citarne qualcuno che ho ancora vissuto nella mia infanzia) ancora un mestiere che scompare.
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I dirigenti della BNS, con tutta l’accozzaglia dei politici che ne condividono interessi e potere, sono scesi in campo per terrorizzare i cittadini sugli effetti devastanti che avrebbe l’iniziativa per la salvaguardia dell’oro nazionale e di un minimo di copertura aurea per la nostra moneta, attualmente cartacea quanto l’euro o il dollaro, il che significa che abbiamo una moneta non solo di carta, ma di carta straccia.
Qualcuno, un paio di settimane fa, se ricordo bene Rudolph Strahm, ma non sono sicuro, ha posto una domanda, fornendo al contempo una risposta. “Qualcuno può dirmi cosa saranno tra 20 anni il dollaro, l’euro o il franco? Io so cosa sarà l’oro tra cento anni: sarà oro”. Un domanda-risposta che annienta le argomentazioni degli avversari dell’iniziativa sull’oro prima ancora di poter essere formulate.
Gianfranco Soldati