Questo interessante articolo è un tipico articolo “a tesi”, si propone cioè di dimostrare qualcosa. Completamente convincente, lo dico, non è: in esso i “buoni” sono troppo buoni e i “cattivi” (sempre gli stessi!) troppo cattivi. All’autrice del pezzo si potrebbe obiettare che, se i “cattivi” non avessero avuto almeno una parte di ragione, i “buoni” non avrebbero fatto la fine che hanno fatto.
Un articolo impegnato e ricco d’informazione. Lo propongo con piacere ai lettori di Ticinolive. (fdm)
In Italia sono decenni ormai che il popolo non vota a favore di qualcosa o qualcuno, ormai si vota contro tutto e tutti. Se è data voce e spazio a nuove forze politiche non perché convinti della loro efficacia, ma per non dare nuovo ossigeno ai partiti di sempre. Possiamo dire con storica ragione che “votare contro” serve solo a perdere il contatto con la realtà e peggiorare le cose.
Sia chiaro, lamentarsi è più che un diritto, è un dovere. Il popolo deve essere sovrano e i malcontenti espressi devono essere la cartina di tornasole dell’apparato politico tutto. E, allo stesso modo, è normale che davanti a situazioni di disagio si risponda con un atteggiamento distruttivo al quale, però, deve seguirne uno costruttivo e proattivo. Ed è qui che trovano spazio realtà come quella di Swissleg, azienda (startup) nata all’USI che fornisce protesi di alta qualità a prezzi contenuti, particolarmente apprezzate negli scenari bellici e nei paesi economicamente deboli. Un’altra azienda da osservare con attenzione è Newscron, anch’essa “made in Lugano”, che sta dando una mano all’editoria tradizionale e che, oltre ad avere attirato finanziamenti privati per un milione di franchi, sta conquistando mercato e mercati (è già tradotta in cinque lingue e siamo solo all’inizio).
Tutto ciò aiuta a riflettere sulla situazione attuale: l’economia cambia in fretta, così come cambiano in fretta gli assetti economici e politici. Il mondo non è più diviso in Oriente e Occidente, è diviso in standard di vita orientali e occidentali: in Cina ci sono 100milioni di persone che vivono “all’occidentale”, diversi Paesi dell’area islamica – orientali per definizione – sono in realtà molto più occidentali di quanto si creda, con standard di vita alti, PIL elevati e infrastrutture di tutto rispetto. Taiwan ha il miglior sistema sanitario al mondo, le cui spese sono peraltro interamente coperte dallo Stato.
A rafforzare questa tesi c’è il Prodotto Interno Lordo (PIL): l’Oman, per citare un esempio di Paese orientale solo per definizione, ha un PIL pro-capite di 44mila dollari, il Qatar supera i 100mila. Quello svizzero è di circa 80mila dollari, mentre quello USA è di circa 53mila dollari.
Gli scenari cambiano, così come cambia quello elvetico. C’è bisogno di una nuova economia che funga da volano a quella attuale: gli istituti di credito risentono sia delle norme sempre più stringenti sia della congiuntura, l’industria soffre a causa della concorrenza extra-elvetica e gli scambi commerciali tra Stati diversi non possono aiutarla in eterno. Ridurre tutto ciò al problema del frontalierato significa sminuire il problema e sviare verso un nemico terzo le responsabilità che oggettivamente vanno ricercate tra le mura domestiche. Il problema dei frontalieri non riguarda le persone, ma gli equilibri tra Paesi, che sono donne suscettibili da corteggiare con timore reverenziale e delicatezza. La bilancia commerciale tra Italia e Svizzera parla di cifre in crescita, ovvero la Svizzera esporta molto Oltreconfine e, a ranghi inversi, la piccola Patria di Guglielmo Tell è il quarto importatore del “made in Italy”. Gli scambi miliardari tra i due Paesi, secondo l’ottica dell’interesse supremo delle economie nazionali, rende ben poca cosa il problema del frontalierato e, da solo, spiega perché il blocco dei ristorni è una pistola caricata a salve.
Immaginate ora un tessuto economico, in Ticino, in cui lo Stato (che già si prodiga in questa direzione) stringe sinergie con incubatori (organizzazioni che permettono agli imprenditori di sviluppare le proprie idee) come quelli dell’USI e della SUPSI e che diventa terra fertile per le startup ad alta vocazione tecnologica. Il Ticino è terra splendida anche da questo punto di vista: collegamenti ferroviari e su ruote, infrastrutture di altissimo livello, ramificazione della banda larga praticamente ovunque, intelligenze di tutto rispetto, come nel caso di Swissleg e Newscron. Per non contare le pressoché infinite possibilità offerte dall’Internet delle Cose, dai processi di digitalizzazione (di cui anche lo Stato del Cantone Ticino ha forte bisogno) e dalla disponibilità di persone del calibro di Roberto Poretti (del Centro di Promozione Start-up dell’USI) e Sergio Nicolò di Startups.ch, entrambi conoscitori della realtà ticinese ed entrambi impegnati sul fronte dello sviluppo della neo-imprenditoria.
Tutto ciò, oltre a rinvigorire le attività correlate, si pensi alle banche che possono proporre ai piccoli risparmiatori nuove forme di investimento in società locali ad altissimo potenziale, può permettere allo Stato di concepire una serie di pacchetti che aiuti le neo-aziende a patto che queste assumano solo residenti. Ciò è possibile perché le aziende ad alto potenziale tecnologico e innovativo hanno bisogno risorse uomo di alto profilo, e in Ticino ce ne sono tante, tantissime.
Il grosso freno posto a queste possibilità viene proprio da quei politici che dimostrano, ogni giorno, di essere discosti dalla realtà e di essere più vecchi di quanto l’anagrafe riporti: quando Mauro Dell’Ambrogio ha aperto le porte ad Horizon 2020 con un finanziamento minimo, alcuni partiti si sono schierati contro il “fuco”, senza valutare che il programma europeo è dotato di 70miliardi di euro da riversare nelle casse di quei Paesi che vogliono investire nella ricerca e nell’innovazione.
Nei prossimi mesi il Ticino dovrà scegliere, e il riferimento non è solo alle votazioni di aprile. Allora si potrà scegliere se dare voce a quei partiti che si sputano addosso veleni senza riuscire a formulare una soluzione plausibile, oppure dare voce a chi si adopererà per tracciare la strada che porta alla crescita.
Un ultimo dato: la Regione Autonoma di Trento, molto attenta alle startup e ai rapporti tra finanziatori (pubblici o privati), incubatori e cosa pubblica, ha un tasso di disoccupazione di 5 punti inferiori a quello nazionale. Pretendere che questo risultato sia stato ottenuto solo grazie alla politica a favore delle startup è ovviamente fuorviante, ma fare finta che sia frutto di un caso fortuito è da pazzi. Da notare anche che Trento e il trentino sono zone geograficamente svantaggiate.
Giuditta Mosca
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