Scuola: quello che l’iniziativa non dice – di Stefano Steiger

Ripreso da OPINIONE LIBERALE con il consenso della testata

 

Domenica 28 settembre saremo chiamati alle urne per decidere del destino dell’iniziativa popolare sulle scuole comunali, lanciata nel 2009 dalla VPOD. Un’iniziativa che ha anche dei meriti, lo riconosco, tanto che alcune proposte, quelle sensate e ragionevoli, sono già state colte da Governo e Parlamento.

Ridotto all’osso il messaggio degli iniziativisti è semplice e ammiccante. Gli stessi infatti affermano: «Lo dicono tutti, anche gli studi internazionali, con classi meno numerose l’apprendimento dei ragazzi migliora. E poi, vuoi mettere, per conciliare lavoro e famiglia servono mense e doposcuola ovunque».

Semplice e ammiccante quel messaggio, ma pure fortemente parziale, dunque fuorviante. Quello che infatti viene sottaciuto è che alle elementari il Ticino presenta da almeno un decennio un numero medio di allievi per classe inferiore al dato nazionale e che la nostra scuola dell’infanzia è considerata un modello per tutta la Svizzera.

Quello che non si dice è che anche a livello di numero massimo da noi la situazione è totalmente paragonabile con il resto della Svizzera, basti infatti pensare che alle nostre latitudini lo stesso è 25 e nella stragrande maggioranza dei Cantoni si situa tra i 24 e i 28 allievi. Quello che si omette di evidenziare è che gli studi internazionali confrontano classi di 15 allievi con classi con più di 30 allievi, non trattano certo dell’incidenza di uno o due allievi in meno mediamente. Insomma e a meno di sostenere che i ragazzi ticinesi hanno bisogni accresciuti rispetto al resto della Svizzera, il numero di allievi per classe è un falso problema a sud delle alpi, già solo perché da noi le classi sono meno numerose che altrove.

Proprio per questo, al posto di marginali ma costose riduzioni del numero massimo di allievi per classe, il nostro Parlamento ha dato luce verde alla proposta PLR-PPD, che permette, sia alle elementari che alla scuola dell’infanzia, di far capo alla figura del docente d’appoggio in caso di necessità. Perché il semplice buon senso e l’esperienza fatta in questi anni, ci dicono che se una classe non è facile da gestire e presenta qualche deboluccio di troppo, è certamente meglio affiancare al docente titolare un docente d’appoggio, così che tutti possano venir seguiti ancor più attentamente, piuttosto che togliere un allievo qui, per aggiungerlo là.

Ma veniamo al secondo capitolo, quello di mense e doposcuola senza se e senza ma. Nessuno, proprio nessuno, nega che simili servizi, seppur secondari rispetto al compito educativo della scuola, costituiscano un aiuto importante alle famiglie per permettere di conciliare i bisogni lavorativi con quelli famigliari. Però scusate: mi sono preso il tempo di leggere il censimento delle mense e dei doposcuola del 2011, accorgendomi che nei casi dove questi servizi mancano il principale motivo è l’assenza di richiesta da parte delle famiglie.

Insomma, anche qui, prima di generalizzare andando a innaffiatoio, spendendo senza criterio e creando servizi anche dove non serve, non è forse meglio trovare soluzioni elastiche e puntuali? Non è forse meglio seguire la strada indicata dal Governo che, invece di quanto proposto dall’iniziativa, si orienta ad esempio verso un ulteriore sviluppo dei servizi di refezione e doposcuola alle elementari in maniera sinergica ma disgiunta dal sistema scolastico? La risposta, per un liberale, è fin troppo evidente.

Concludo. Il 28 settembre saremo chiamati a votare su un’iniziativa che costa assai, tra i 30 e i 40 milioni di franchi annui di gestione corrente (senza contare gli importanti costi di edilizia scolastica), ma che in termini di benefici lascia perplessi. Investire nella scuola e nella formazione è uno dei compiti più alti della politica. Farlo con testa impone però, soprattutto quando le casse di Cantone e Comuni piangono, di guardare ai reali bisogni, di chiedersi quali sono i veri benefici di una riforma, questo senza farsi incantare da semplici slogan. Per questo, il 28 settembre, il PLR invita a votare di no all’iniziativa della VPOD sulle scuole comunali.

Stefano Steiger, granconsigliere PLR

 

 

Relatore

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  • Presso una buona parte di popolazione esiste una tendenza di fondo che volontariamente (pochi ma determinati) e purtroppo inconsapevolmente (molti ma distratti) è predisposta al varo di un sistema scolastico neoliberista: un concetto mercantile anglosassone.

    A che cosa mira tale tendenza? Presto detto. Ad una lenta ma costante spoliazione finanziaria della scuola pubblica per renderla fragile sul piano competitivo, così da migliorare le opportunità di una “formazione” privatistica. Il fine ultime del sistema educativo neoliberista è quello di considerare la formazione scolastica, senza alcuna mediazione, come un’impresa produttrice di “capitale umano”. Una formazione selettiva finalizzata ad allinearsi alle leggi di mercato e a un “generico” concetto di manodopera “adattata” al profitto economico. Una scuola che si occupi di “selezionare” quelle capacità che l’economia ritiene e riterrà necessarie in quel preciso momento.

    Ne è conferma la stucchevole, retorica e spocchiosa diatriba sull’introduzione dell’inglese a discapito delle lingue nazionali. Una partita persa (quella delle seconde lingue nazionali francese e italiano) proprio perché la scelta dell’inglese è un “must” economicistico.

    Così come si è già imposto e s’imporrà ulteriormente l’inglese sulle lingue “economicamente” deboli, prima o poi s’imporranno altri contenuti, altri stili educativi, altre materie “forti sul piano economico” a discapito di altre ritenute a “furor di popolo” secondarie e “improduttive”.

    Una Scuola pubblica integrativa, che rispetti le soggettività, che abbia uno sguardo particolare verso i più deboli e per di più “pagata dal contribuente” è ormai considerata come un ostacolo al disegno neoliberale: quindi si farà di tutto per a) indebolirla, oppure b) “neoliberalizzarla”.

    Ecco quello che non dicono quelli che sono contrari a ulteriori investimenti nella Scuola pubblica.

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