Follie e aberrazioni dei giudici d’oltre oceano
Come in un romanzo di Grisham (e forsanche di più)
Le multe orrende a grandi banche europee da parte di giudici che non so se impazziti, o furfanti, o ladroni, mi hanno richiamato alla memoria fatterelli di tempo fa. Le banche colpite dagli strali degli implacabili censori, rette a loro volta da furfanti e malfattori, pagano imperturbabili migliaia e migliaia di milioni, che sono miliardi e miliardi, continuando imperterrite a distribuire (per i loro dirigenti: a distribuirsi) boni personali di mio a due cifre e rifilando ai milioni e milioni di loro piccoli o piccolissimi e poveri azionisti il conto delle loro malefatte. L’ammontare delle multe sembrerebbe lasciato al libero arbitrio dei giudici e della burocrazia che li attornia. Paribas, per fare un esempio, aveva accantonato nel 2013 1,1 mrd di dollari per fronteggiare la minaccia che incombeva su di lei. Pochi giorni fa ha dovuto inghiottire un rospo da 8,83 mrd, una somma tale da metterne a rischio la sopravvivenza.
Anni fa, non ricordo quanti, un gruppo di fumatori colpiti da cancro del polmone, intentò una cosiddetta “azione di gruppo” al produttore di sigarette Philip Morris. Che il fumare potesse essere nocivo a quel tempo lo sapevano già, e da anni, anche i bambini non ancora partoriti. Siccome era anche risaputo che nessuno ha mai obbligato qualcuno a fumare, era logico pensare che il giudice (unico) avrebbe mandato i promotori della causa a quel paese. Invece no, in prima istanza arriva una condanna salatissima al risarcimento di non ricordo esattamente quanti miliardi di dollari, comunque parecchi. Di che fare ampiamente arcimilionari gli eredi presenti o futuri degli incauti aspiratori di fumo. Come sia andata a finire non so, perché la Philip Morris non mancava dei mezzi per valersi di intere tribù di celeberrimi principi del foro e, se strettamente necessario, di far pressione (ungere è un’espressione che non mi piace) dove conveniva.
Ma ricordo perfettamente un altro caso di sentenze demenziali, perché quando accadde ero impegnato nella mia formazione di cofochirurgo (chirurgo dell’orecchio, la cofosi essendo la sordità). Una ricca ereditiera americana, affetta da otosclerosi (una malattia dell’osso dell’orecchio, non guaribile e nemmeno curabile, che conduce ad una forma di sordità cui si può ovviare con un intervento chirurgico sulla catena degli ossicini che trasmette le vibrazioni acustiche dal timpano alla coclea o chiocciola) si era rivolta per l’intervento ad un celebre professore di New York. A quei tempi, e probabilmente anche oggi, i luminari ospitavano spesso colleghi altrettanto illustri per assistere al loro intervento e impararne o discuterne la tecnica, mentre per i semplici assistenti o per gli studenti l’operazione veniva trasmessa su schermo televisivo. Lo specialista di New York il giorno dell’intervento aveva come ospite un altro luminare, di Los Angeles. Ad un certo punto l’operatore chiese al suo illustre collega se approvava la sua intenzione di proseguire l’intervento con una determinata tecnica. L’ospite annuì. L’intervento, che aveva in teoria un alto grado di riuscita, del 98% (il 100% di successi in medicina non esiste), purtroppo non ebbe esito positivo.
I legali della ricca ereditiera intentarono una causa per danni, il giudice, malgrado l’assenza di prove di errore professionale, decise un risarcimento di alcune centinaia di milioni, non ricordo quanti, ma una somma pazzesca. Il giudizio fece il giro di tutte le cliniche ORL del mondo, suscitando apprensione e ilarità. Perché, mi domanderai, amico lettore, ilarità nel caso di un intervento chirurgico non riuscito? Perché quel giudice, oltre alle centinaia di milioni di risarcimento inflitti all’operatore (pagati però dall’assicurazione, che a sua volta impone premi assicurativi orripilanti al chirurgo), inflisse anche l’obbligo di rimborso di 1 milione di dollari all’ospite di Los Angeles per aver risposto con un sì alla domanda dell’operatore sulla scelta della tecnica chirurgica adottata. Il risultato fu che i premi assicurativi per i rischi professionali legati alle attività chirurgiche salirono alle stelle, e con loro i prezzi degli interventi chirurgici, a quel tempo negli USA liberamente contrattati tra paziente e medico.
Un chirurgo ticinese formatosi a Basilea, ma emigrato e attivo a New York, un Dottor Noseda di cui non ricordo il nome, mi disse che per far fronte ai premi assicurativi era stato costretto a quadruplicare le sue tariffe minime per ogni tipo di intervento. Un’altra conseguenza indecente di queste sentenze demenziali ad opera di giudici che senza volerlo si proclamano come “Fachidioten” fu che alle uscite degli ospedali si accalcarono frotte di avvocati in attesa di pazienti dimessi, per domandare loro se avevano subito interventi chirurgici. Proponevano allora una causa al chirurgo, a proprie spese e con qualsiasi pretesto, previo accordo di cessione della metà dell’indennizzo ottenuto in caso di successo della pratica. Un comportamento illecito che già stava trovando imitatori anche nel nostro paese, ma fortunatamente subito bloccato dagli ordini professionali che lo stigmatizzarono come contrario alle norme deontologiche della professione.
Le aberrazioni sono sempre dannose. Quelle degli ordini giudiziari e degli avvocati più di tutte le altre.
Vuoi, amico lettore, una (ulteriore, ma sono quasi quotidiane) conferma del giudizio negativo sui giudici (impazziti, furfanti o ladroni, ho scritto qui sopra)? Proprio quest’oggi, 5.7.2014, i media informano che il giudice unico statunitense Tom Griesa, chiamato a decidere sul contenzioso tra Argentina debitrice e gli hedge funds americani creditori, ha sentenziato in favore di questi ultimi, che hanno alla guida un tale Paul Singer. Il ministro dell’economia argentino, Axel Kicillof, ha definito “folle” la sentenza (confermando il mio “giudici impazziti”), perché in pratica condannerebbe l’Argentina al fallimento quando invece è in grado di far fronte ai suoi impegni e ha solo bisogno che le si conceda una dilazione dei pagamenti. Per il giudice Griesa, ha detto ancora il ministro Kicillof, il presidente dei fondi Paul Singer, palesemente favorito dalla sentenza, “è come Madre Teresa di Calcutta”.
Ulteriori ragguagli sulle attività “benefiche” di questo Paul Singer, tipico esponente della schiatta più intelligente dei visi pallidi, sono stati pubblicati su www.ticinolive.ch.
Gianfranco Soldati
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Purtroppo è risaputo da molto tempo che, dove entrano legislatori e giudici, molte volte escono la razionalità ed il buon senso. Non dimentichiamoci - come si dice in inglese (buon senso = common sense) - che "Common sense is the least common of senses"; in spagnolo: "El sentido común es el menos común de los sentidos"; traduzione "forzata" all'italiano: "Il senso comune (= buon senso) è il meno comune dei sensi".
Purtroppo dobbiamo metterci in testa che:
(1) negli USA è tutt'ora molto generalizzata la mentalità dei cowboys, no, che mi scusino i cowboys, dei pistoleros (raccomando vedere i vecchi film western);
(2) molte volte, dove entrano legislatori e giudici escono il buon senso e la razionalità;
(3) "Common sense is the least common of senses" oppure - in spagnolo-: "El sentido común es el menos común de los sentidos" oppure - traduzione forzata all'italiano-: "Il senso comune (= buon senso) è il meno comune dei sensi".