Ovviamente, tale funzione la esercita anche con le obbligazioni di Stato e quando le finanze dello stesso vanno male, senza nessuna remora dichiara che il re è nudo. Tutto ciò non piace alla politica che non ama la trasparenza e giudizi neutrali che mettano in evidenza i suoi errori. I governanti sanno di non poter fare a meno completamente del mercato e allora cercano di condizionarlo, renderlo in certi settori inoffensivo, in una parola non permettergli di essere totalmente libero.
Ad esempio le banche centrali tengono da anni i tassi di interesse a livelli artificialmente bassi, ormai attorno allo zero. A parte punire il risparmio, ciò falsa la concorrenza tra gli operatori e distorce il mercato. Ditte decotte sopravvivono grazie a un sussidio indiretto, operazioni rischiose e dubbie vengono intraprese, i soldi si indirizzano verso investimenti immobiliari che si giustificano solo perché le ipoteche hanno un prezzo politico. Stati oberati da debiti sarebbero in fallimento se dovessero pagare un interesse di mercato, e non quello artificialmente ridotto, sulle proprie obbligazioni.
Se poi uno Stato fallisce come la Grecia la politica decide che non è vero e chiama ristrutturazione l’obbligo di accettare al posto dei crediti nuove obbligazioni con una perdita del 75% sul capitale e con scadenze prolungate nel tempo. Grazie alla decisione della Banca nazionale svizzera di ancorare a 1,20 il corso del franco all’euro, le industrie svizzere di esportazione fruiscono di una sovvenzione indiretta, che poteva essere giustificata per l’emergenza, ma non è concepibile duri indefinitamente. Ne vengono svantaggiati tra l’altro gli svizzeri che importano. La lista degli esempi potrebbe continuare a lungo ma quel che ci preme è dimostrare le distorsioni che questa politica provoca sui mercati.
Un esempio scioccante di perversione riguarda appunto le Borse ormai influenzate dall’invasione di campo di Governi e banche centrali. Più di una volta la Borsa di New York è scesa all’apprendimento di notizie congiunturali positive. Vale a dire la reazione contraria a quanto ci si sarebbe dovuto aspettare. Ma ormai non contano più i dati economici, conta la reazione a questi dati da parte del potere. Se l’economia va bene si teme che la politica riduca le flebo, i propri interventi, magari aumenti un po’ i tassi, diminuisca la enorme liquidità immessa sul mercato. In tal caso un’economia in affanno, dopata, rischia di non più farcela ed ecco che, in previsione di ciò, la Borsa scende.
La politica dei tassi zero riduce il costo per obbligazioni statali come per quelle di società private. L’accettazione di tassi inadeguati per fragili Stati europei debitori è basata sulla convinzione che la politica dell’UE, come già fatto, finirà per far assumere in solido i debiti anche dei più malandati. Per le obbligazioni delle imprese private il mercato accetta tassi che non coprono il rischio, perché non conta più tanto la solvibilità, ma la convinzione che visto lo stato dell’economia, banche centrali e Governi non potranno che continuare a calmierare il costo del debito.
Le iniezioni di migliaia di miliardi di dollari e euro nel mercato falsano i rapporti e portano a prezzi irrealistici azioni, immobili e opere d’arte. Non è vero, si sostiene, che non c’è inflazione, esiste una paura che porta a investire a prezzi fuori mercato in beni che si presume saranno meno colpiti da una tremenda inflazione generale attesa da alcuni economisti e conseguente alla perdita di fiducia nella moneta. Queste riflessioni possono essere contestate o meno, essere frutto di reazioni eccessive, di previsioni che in parte non si realizzeranno. Ma una cosa è certa, come la fisica anche il libero mercato ha le sue leggi. Distorcerle è impossibile e illusorio, continuare a violarle pericoloso.
Tito Tettamanti
(pubblicato nel CdT, riproposto con il consenso dell’Autore)
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Verissimo: "[La] politica ... non ama la trasparenza e giudizi neutrali che mettano in evidenza i suoi errori." Purtroppo è verissimo, purtroppo si osservano molti "nemici nascosti" della nostra democrazia diretta di stampo elvetico proprio fra i politici e i funzionari pubblici...
Falso: "[La Borsa] non conosce né stati d'animo né sentimenti." La letteratura sulla Finanza comportamentale è piena di esempi su come stati d'animo e irrazionalità (gli "animal spirits" di Keynes) operano in Borsa...
Si potrebbe risolvere il tutto con un “cinguettio”, oppure con due banalità:
a) “Strécia dal bütèr oppure Wall Street? Questo è il problema!”
b) “L’articolo “C’era una volta il mercato”: ottimo… marketing!”
Così tanto per cercare di aiutare… ul mercaa dal bütèr, preferisco… allargare il cinguettio. O le banalità. Ed è anche un vero peccato che sul CdT (influente e maggior quotidiano cantonale) a quanto mi co(n)sta, nessuno degli addetti abbia replicato in modo esauriente allo scritto mercantile. Con tutti gli “economisti” che circolano nel Cantone, manco uno che prenda carta e penna. Anche solo perché molti sanno che le cose non sono propriamente come nei termini descritti.
Ritorniamo ai mercati. Detto tra noi sarei meno preoccupato se ci fossero ancora quelli della “Strécia dal bütér”: vai lì, vedi, confronti e prendi (acquisti) ciò che realmente ti serve. Ricevi della merce e sborsi due denari e fors’anche meno. Per un etto di burro, ad esempio. Paghi il lavoro del casaro. Fine e finalità della contrattazione, del baratto.
Tutt’altra dinamica negli “altri” mercati, quelli più “esotici” dove invece si tende a “giocare” col prezzo del burro, per esempio. E del grano (inteso nel senso più ampio) e della farina, del cacao e del mais. Proprio come si fa “speculando” sulle commodities alimentari. E il casaro/coltivatore manco riceve un grazie. E se il gioco si fa duro c’è il rischio che il burro manco lo ricevi, perché per guadagnarci si fa finta che sia scarso.
Che i mercati poi debbano funzionare addirittura da “giudice” mi inquieta assai. Proprio perché quando i mercati (non quello di Via Pessina, gli “altri” in Wall Street) agivano indisturbati e i “governanti” (come pure molti “governati”) furono “cloroformizzati” dal neoliberismo rampante, se ne son viste di cotte e di crude. Per cui quella che viene considerata “giustizia” dei mercati è, in altre parole, una tipica “giustizia” autoreferenziale. Che i “governanti/governati” (finalmente!) tentino (senza grande successo, per altro) di “rendere inoffensivi certi settori”, mi sta anche bene. Purché lo si faccia sul serio.
L’alternativa “della libertà”, sappiamo, è di poi ritrovarsi sballottati tra una bolla e l’altra proprio come quella all’origine dei disastri finanziari. Sommovimenti a cui oggi devono far fronte i famosi “sudditi” della finanza internazionale perfino valutati nell’ordine del 99 per cento della popolazione.
Ma ben sappiamo che perfino tutto ciò non ha modificato in maniera fondamentale le pratiche finanziarie d’ispirazione liberista. Per cui tutto l’articolo (non me ne voglia l’Avvocato) mi sembra iperbolico rispetto alle minime conseguenze determinate dai timidi interventi elencati. Se confrontati con i risultati attuali, per “rendere certi settori inoffensivi” ci vorrà ben altro.