Bloccando l’accesso a Twitter, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan si spara in un piede, scrive Alev Scott nel quotidiano britannico Financial Times : “Per me questo spettacolo evoca una partita di videogiochi fra un nonno e il suo nipote.
Una battaglia imbarazzante, considerando l’esperienza e la capacità ben diverse dei due giocatori.
Non è tanto una questione di età, quanto piuttosto di energia e di stato d’animo. Gli utenti di Twitter sono generalmente cittadini avidi di informazione, vogliono saperne di più su quanto li circonda e si trovano a loro agio in un forum di opinioni e di scambio.
Erdoğan ha prodigiosamente mancato il bersaglio. E’ riuscito solamente ad attizzare i rancori e la propagazione di voci incontrollate.”

Invece di twittare, il presidente Gül farebbe meglio a difendere le libertà civili

Nella notte fra giovedì e venerdì della scorsa settimana, il governo turco ha deciso di bloccare l’accesso a Twitter.
Un divieto che molti turchi hanno subito aggirato attraverso trucchi tecnici, causando anche un utilizzo record del social network nel paese.
Anche se il presidente Abdullah Gül ha criticato la mossa del governo del premier Erdoğan, farebbe meglio a impegnarsi di più per i diritti fondamentali, scrive il quotidiano turco Radikal : “Invece di reclamare presso il primo ministro, il presidente cerca di normalizzare la situazione scrivendo il seguente messaggio :’Siccome i cittadini riusciranno comunque ad accedere a Twitter, questo blocco è assurdo’.
Ma agendo in maniera illegale, il governo ha bloccato un sito web senza tener conto dei diritti e delle libertà garantiti dalla Costituzione. … Ecco l’atteggiamento della Turchia del XXI. secolo. La giustizia non esiste. O meglio, manca una giustizia che corrisponde ai valori europei e internazionali.”