Pubblicato nel Corriere del Ticino del 16 novembre e riproposto con il consenso dell’Autore.
Tito Tettamanti, maître à penser del capitalismo non folle (espressione da noi coniata all’istante) sviluppa attualmente una grande attività pubblicistica. Guarda vorremmo dire con apprensione a certe decisioni importanti che il popolo svizzero dovrà prendere, si sente implicato in prima persona (e questa è un’ottima cosa) ed è pronto a “dare una mano” ai suoi affinché la Svizzera non cada nel socialismo (un pochino dev’essere già successo).
La Svezia è un paradiso in terra, il trionfo della socialdemocrazia umanitaria dalla culla alla bara? Non per l’Avvocato (che qui non è Agnelli). Guardate come la fa a pezzetti.
Salvo brevi interruzioni, sino al 2006, la Svezia ha avuto Governi socialisti. Sfortunatamente, cecità ideologiche, teorie utopistiche, massimalismo, la frenesia statalista ad un certo punto hanno avuto la meglio in Svezia sul buonsenso riformista e sulla moderazione. Le aliquote fiscali sono salite attorno al 90% (conseguentemente, contribuenti con alti redditi, demotivati, si sono limitati a lavorare alcuni giorni alla settimana, con evidente perdita anche per l’economia del Paese), il rigido controllo degli affitti e le gravose norme per la costruzione hanno creato una carenza di appartamenti. Chi si annunciava per poter affittare un appartamento comunale a Stoccolma sapeva di dover attendere 15 anni ed oltre.
Lungaggini anche nel sistema sanitario. Statistiche che dimostrano come i medici avevano dimezzato il numero di pazienti visitati giornalmente perché (dicevano) assorbiti dal lavoro amministrativo imposto da regole assurde. Le farmacie di proprietà dello Stato. Conseguenza, un peggior servizio con una farmacia ogni diecimila abitanti, contro le 4 o 5 in Paesi come Francia e Spagna. Un mercato del lavoro ingessato che confessava ufficialmente in quegli anni una disoccupazione del 6% ignorando un 3% di occupati in programmi pubblici e di formazione, come pure l’assenteismo preoccupante e il notevole numero di invalidi e di prepensionati.
Il sindacato più importante del Paese ammetteva che la vera disoccupazione era vicino al 20%. Su 9 milioni di abitanti, al lavoro erano 3,5 milioni di cui 1 milione negli impieghi pubblici. Un 60% della popolazione adulta risultava in un qualche modo assistita o sovvenzionata dallo Stato. Conseguenza: la Svezia dal quarto posto tra i Paesi più ricchi del mondo, è scesa al quattordicesimo.
Nel 2006 il Governo è passato al Partito conservatore, eletto sulla base di un programma volto a fermare il declino originato dalle politiche dei Governi socialisti. Le spese statali sono state ridotte dal 67 al 49% del PIL. L’aliquota fiscale massima è stata ridotta dall’84 al 57%, l’imposizione delle società dal 26,3 al 22%. Oltre a ciò una serie di imposte patrimoniali, sulle donazioni e sull’eredità, sono state annullate. Il debito pubblico, che nel 1993 era al 70% del PIL, nel 2010 è sceso al 37% e da un deficit annuale dell’11% si è arrivati a un risultato positivo (0,3%).
Il sistema pensionistico è stato rivoluzionato e si è passati alla soluzione contributiva automaticamente adattabile in virtù delle aspettative di vita. Nell’educazione si è dato spazio alla concorrenza tra scuole private e pubbliche con il sistema dei voucher (tema già dibattuto ai tempi di Governi socialisti). Nel sistema sanitario, le iniziative private possono contare sullo stesso sostegno delle strutture pubbliche con vantaggi per la tempestività delle cure. Nell’elenco del reddito pro capite la Svezia con 55.158 dollari (Svizzera 79.033 dollari) è risalita all’ottavo posto.
La lezione che possiamo tirare dalle vicende svedesi è molto chiara. La tentazione di realizzare le proprie utopie ideologiche tramite la macchina dello Stato si è sempre rivelata costosa oltre che soffocatrice della libertà. Non vi è alternativa: la ricchezza per venir anche distribuita deve venir prima prodotta. Se noi dessimo seguito alle diverse iniziative della sinistra che vorrebbero trasformare la Svizzera introducendo la formula 1:12 permettendo allo Stato di limitare e controllare i salari, il salario minimo fissato pure dallo Stato, il salario di cittadinanza di 2.500 franchi per ogni residente in Svizzera senza produrre nulla (figuriamoci l’afflusso di stranieri), imposte ereditarie confiscatorie (20%) dopo aver pagato per una vita annualmente la tassa sul patrimonio, non potremmo che conoscere un declino pari a quello della Svezia prima del 2006.
Vogliamo commettere gli errori della Svezia? A parte l’irragionevolezza di un simile atteggiamento, saremmo poi capaci di cambiare Governo (non facile in Svizzera e con il nostro sistema) per rimediare agli errori ed alle pesanti conseguenze economiche negative?
Tito Tettamanti, finanziere
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Se l'Avvocato (concediamogliela la A maiuscola delle agenzie di rating...) in fondo se la merita, almeno per il costante soccorso offerto al libero mercato; se l’Avvocato, dicevo, insiste sull’argomento, ciò può anche significare che l'economia liberale necessità di immediati soccorsi. A ben guardare l'avv. Tettamanti è un esempio indubbio della forza che risiede negli influenti ranghi dell’economia finanziaria: tempo per scrivere, buone letture, cultura, competenza specifica, esperienza internazionale e... media pronti all’immediata pubblicazione. Con tali patrimoni alle spalle e ben difficile perdere consensi, eppure... eppure l'economia liberale ha perso molto del suo prestigio. Un'economia che meno di vent'anni fa poteva annunciare la superba vittoria sul sovietismo (sostenuta da potenti capitali, dai media di tutto l'occidente e dalle sicure simpatie popolari) oggi deve fare i conti con il malcontento generalizzato. C’è il serio rischio che iniziative come quella dell’uno dodici, raccolgano vasti consensi. Da qui la mobilitazione dell’intellighenzia dei mercati finanziari. In realtà c'era, e c'è tuttora, una parte dell'élite economica internazionale che non ha mai accettato la socialdemocrazia. Quel contratto sociale ottenuto dopo una lunga battaglia tra un capitalismo prepotente e le forze progressiste. È in fondo questa, l’essenza che unisce la configurazione politico-economica e che “indirizza” la “crisi” attuale: annullare il contratto sociale su cui si sono fondate le socialdemocrazie. Come la Svezia per esempio. Un modello della politica sociale nordeuropea da ridimensionare. La disoccupazione nei paesi europei è all'incirca di 30 milioni di persone. Perfino nella "ricca" Germania si calcolano 12 milioni di persone nell'indigenza. Quella che oggi viene illegittimamente e furbescamente chiamata "crisi" ha perso ogni relazione con "krisis", termine dal quale deriva. Oggi è fin troppo chiaro che molti lavoratori dei cosiddetti paesi avanzati semplicemente non servono: il capitalismo finanziario può crescere anche senza di loro. Per codesto modello economico essi sono solo un costo. È la conseguenza di una scelta che ha una sua terrificante logica. Una catastrofe che viene addirittura esibita in barba alle promesse iniziali della ricchezza per tutti. Una catastrofe che si vende con il colpevole preconfezionato in allegato: il basic bargain. Ed è questa la ragione dell'esibizione del disastro. Colpevolizzare il welfare per affossarlo in nome di una nuova fase capitalista, un capitalismo fondamentalista, rapace, selettivo, speculativo, egemonico e planetario, confezionato per riprendersi il potere senza se e senza ma.