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Le armi, i cittadini e lo Stato – di Pio Eugenio Fontana

Già pubblicato nel Corriere del Ticino. Articolo riprodotto con il consenso dell’Autore.


Il Popolo svizzero ha ribadito la sua volontà di mantenere l’esercito e la protezione civile di milizia, scongiurando così il rischio di ritrovarsi inerme in caso d’aggressione armata e di catastrofe naturale. L’entità dei no all’abolizione dell’obbligo di servire ha sorpreso  tutti e ha dimostrato la saggezza di gran parte dell’elettorato, ma non deve indurci ad ignorare la situazione di grave precarietà, in fatto di uomini e di mezzi, in cui versa il nostro esercito dopo decenni di tagli e risparmi.

Anche perché il fronte elvetoclasta, sprezzante del volere popolare, è già al contrattacco con l’iniziativa volta ad impedire l’acquisto dei nuovi aerei da combattimento, invero indispensabili per ridare un minimo di credibilità alla difesa nazionale. Per non parlare della prevista massiccia riduzione degli effettivi, dell’eliminazione già in corso della munizione dell’artiglieria e delle nuove norme restrittive sulle armi che le Camere federali, spinte dalla consigliera  Sommaruga, rischiano d’approvare in piena violazione di quanto deciso dal Sovrano in occasione della votazione sulle armi del febbraio 2011. Norme destinate a sconvolgere il concetto del libero cittadino-soldato, per secoli attore primario della sicurezza nazionale ed ora considerato un criminale potenziale, i cui dati personali sensibili, sanitari e militari, verrebbero registrati in una banca dati informatica liberamente accessibile alle autorità, che sulla base di essi deciderebbero chi è degno di ricevere un’arma d’ordinanza e chi no.

Sarebbe, questo, un ulteriore passo verso l’instaurazione di uno Stato penalcarcerario che, non più dedito alla difesa dei cittadini dalle minacce provenienti da eventuali Paesi ostili e dalla criminalità, identifica il nemico nel cittadino stesso ed implementa delle «norme securitarie» il cui vero scopo è riaffermare la sua autorità e quella della classe politica a scapito delle libertà e dei diritti individuali. Un processo involutivo gravissimo, che ha già minato alla radice le cosiddette grandi democrazie occidentali e che sta minacciando pure la nostra.

Proprio recentemente ho partecipato ad una cena cui erano presenti alcuni ufficiali di polizia (persone che, peraltro, conosco e stimo per la serietà e la dedizione che dimostrano nello svolgere la loro funzione) e, parlando dell’opportunità d’instaurare un registro delle armi, essi mi hanno ribadito la loro convinzione di dover «controllare» quante e quali armi sono detenute nelle nostre case. Il tempo a disposizione non ci ha permesso d’approfondire l’argomento ma quando ho chiesto per quali ragioni dovrebbero farlo, le risposte mi sono parse indicative di un pericoloso malinteso che mi sembra urgente chiarire.

Premesso che detto registro si è dimostrato totalmente inutile per ridurre il crimine violento in qualunque Paese sia stato applicato (il Canada, per esempio, vi ha appena rinunciato dopo aver sprecato centinaia di milioni di dollari pagati dai contribuenti), in quanto gli unici a dichiarare le armi sono i cittadini onesti che non delinquono, il punto più importante è un altro. La nostra democrazia è nata ed è cresciuta sul principio che sono i cittadini a delegare alle istituzioni dello Stato il potere e le funzioni necessarie per favorire la convivenza civile, la sicurezza pubblica e, più in generale, il buon andamento della nazione. Si tratta, quindi, di una concessione che il Sovrano fa a coloro che devono servirlo e non viceversa, e lo fa a condizione che tutto funzioni bene, riservandosi il diritto di ritirarla.

Ciò vale in particolare per il monopolio della violenza legale che confidiamo alle forze dell’ordine, delegando loro uno dei più importati diritti naturali: quello di difendere la nostra integrità fisica e materiale da ogni attacco ingiusto. Sulla base di queste premesse, non sono le autorità a dover sorvegliare la cittadinanza ma esattamente il contrario. E ciò vale anche, e soprattutto, quando si parla di armi perché, da quando esistono, chi le possiede detiene il potere. Non per nulla, in Svizzera, sin dalla fondazione, i liberi cittadini possiedono le armi e detengono il potere. Non per nulla, nel 2011, il Sovrano ha deciso di continuare a custodire a casa dei militi l’arma d’ordinanza e di rifiutare la registrazione generalizzata delle armi private, così come, nel 2013, di plebiscitare l’obbligo di servire nell’esercito di milizia.

Chi va contro queste decisioni, Simonetta Sommaruga in testa, va contro le regole e le tradizioni sui cui si basa la nostra democrazia e calpesta i valori in cui la maggioranza dei cittadini ancora crede. Cittadini che potrebbero anche decidere di non potersi più permettere dei servitori che vogliono diventare padroni.

dr. Pio Eugenio Fontana, presidente di Libertà e Valori.ch

Relatore

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