VILLA CONTRO GOBBI, UN BEL MATCH
È sabato e in città incontro una donna, una mia conoscente. Una donna importante (non voglio dire chi è). Una vita di lavoro, responsabilità pesanti, ligia alla sua professione e al partito, politicamente corretta. Parliamo, per forza, del caso del giorno: il battibecco a distanza tra il giudice Villa e l’on. Gobbi. Esordisco con un’osservazione banale (non sottovalutate le osservazioni banali, aiutano molto!). “Loro hanno sempre giocato all’attacco ma adesso, con grandi responsabilità istituzionali sulle spalle, sono costretti talvolta a difendersi. E possono anche farlo maldestramente”.
A questo punto la mia interlocutrice mi sorprende dicendo: “Quei bilaterali non si sarebbero dovuti firmare!” Penso che il mio udito ormai incerto mi abbia ingannato, perciò le domando di ripetere. “Hai capito benissimo. È stato un errore”. “Abbiamo barattato la possibilità di concludere grossi affari, un pacco di soldi per pochi fortunati, con il nostro diritto di controllare e sorvegliare, con la nostra sicurezza, con la tutela delle nostre frontiere. Adesso non c’è più niente da fare, perché abbiamo firmato”.
Sono allibito e ho quasi perso la facoltà di parlare. Questa donna non è (non è più?) politicamente corretta. La guardo bene: è lei, non c’è dubbio. Piccolina, gli occhiali, la sciarpina, la faccia furbetta. Incredibile. Adesso però tocca a me. “Ma chi ha detto prima queste cose, che tu adesso dici?” Tace. “Il tuo partito?” (che non svelo). Tace. “Non vorrai dirmi che il popolo (ciò che io penso da lungo tempo) è stato deliberatamente ingannato?” Tace e mi guarda con aria mesta. È arrivato il bus. (Siamo alla pensilina Botta che – dice mia moglie – è brutta di giorno ma bella di notte).
(sequitur)