Iniziativa Antiburqa – Come votare il 22 settembre – di Alberto Siccardi

 Alcune considerazioni importanti

il 22 settembre 2013 vi sarà in Ticino una votazione sull’iniziativa popolare (meglio nota come iniziativa “antiburqa”) che chiede di introdurre nella Costituzione cantonale il divieto di circolare nei luoghi pubblici con il volto coperto.

Come noto il Gran Consiglio, pur essendo d’accordo sul principio, ha deciso di contrapporre a questa iniziativa un suo controprogetto che pure chiede di introdurre il divieto, ma solo in una legge e non nella Costituzione.

 Al momento di votare, i cittadini si troveranno di fronte una scheda con tre domande :

1)      Volete accettare l’iniziativa?

2)      Volete accettare il controprogetto?

3)      Domanda suppletoria :  nel caso in cui sia l’iniziativa e sia il controprogetto venissero accolti, quale testo deve entrare in vigore : il testo dell’iniziativa o il testo del controprogetto?

Chi è favorevole al divieto di circolare con il volto coperto dovrebbe innanzi tutto votare SI alle prime due domande, in modo da essere sicuri che in un modo o nell’altro il divieto venga introdotto. Poi alla terza domanda potrà decidere se preferisce l’iniziativa o il controprogetto (a questa terza domanda non si risponde con un SI o con un NO ma mettendo una CROCETTA  nella casella accanto alla proposta che si vuol sostenere): ovviamente il comitato dell’iniziativa vi invita a mettere la crocetta nella casella “pro” iniziativa.

– Perché è importante , nella terza domanda, votare  per l’iniziativa e non per il controprogetto?

Perché con l’iniziativa il principio del divieto di girare con il volto coperto viene iscritto nella Costituzione cantonale e dunque non potrà più essere modificato senza una votazione popolare. Con il controprogetto invece il divieto viene iscritto in una legge e potrà essere modificato in ogni tempo dal Gran Consiglio senza più una votazione popolare (a meno che qualcuno lanci un referendum contro le eventuali modifiche). Non è un timore infondato: il Partito socialista, ad esempio, ha già annunciato in Gran Consiglio che se il controprogetto dovesse entrare in vigore presenterà una proposta di modifica che avrà come effetto quello di “allentare” il divieto…(capita la fregatura?).

– E perché è importante che chi è favorevole al divieto voti  SÌ alle prime due domande?

 E’ importante per non spaccare in due il fronte dei favorevoli al divieto : ciò che andrebbe a vantaggio di chi invece avversa il divieto e voterà NO alle due prime domande. Difatti se i favorevoli al divieto si spaccassero in due e alle prime due domande votassero una parte SI al controprogetto e NO all’iniziativa e l’altra parte NO al controprogetto e SI all’iniziativa, questi voti potrebbero annullarsi a vicenda e paradossalmente sia l’iniziativa e sia il controprogetto potrebbero essere bocciati anche se i favorevoli al divieto fossero complessivamente assai più numerosi dei contrari (in tal caso non avrà più importanza la terza domanda, che vale solo nel caso in cui le due proposte fossero approvate).

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Troverete altre informazioni e argomentazioni a favore del divieto sull’opuscolo informativo allegato al materiale di voto che riceverete in questi giorni, nonché sul sito www.ilguastafeste.ch, ove fra l’altro potrete leggere una lunga intervista (in francese) fatta a Giorgio Ghiringhelli dalla scrittrice belga  Anne Lauwaert  e apparsa nel maggio scorso su un giornale online  che si batte contro l’islamizzazione della Francia (Riposte laique).

dr. Alberto Siccardi, membro del Comitato d’iniziativa

Relatore

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  • Burqa sì o burqa no? Un problema inventato
    Da "Il Corriere del Ticino", 17.04.13

    di MICHELA DELCÒ PETRALLI (deputata dei Verdi in Gran Consiglio)

    Il Gran Consi­glio deve decidere se vietare l'occul­tamento del volto nei luoghi pub­blici. La proposta è stata formulata con un'iniziativa popolare costitu­zione promossa da Giorgio Ghi­ringhelli, con lo scopo evidente e di­chiarato di vietare il burqa e il niqab. Il Consiglio di Stato e la maggioranza della Commissione parlamentare propongono di declassare la norma dal rango costituzionale a quello legi­slativo. Nemmeno così, tuttavia, il divieto convince. Mi hanno insegnato che il compito di ogni avvocato è pri­ma di tutto difendere le libertà perso­nali dall'ingerenza dello Stato. Quan­do lo Stato limita queste libertà deve giustificarne la necessità. Il bene che intende proteggere deve prevalere sui nostri diritti fondamentali e la misu­ra proposta deve essere l'unica in grado di tutelare tale bene.
    Governo e maggioranza commissio­nale si riferiscono, implicitamente, all'esigenza di riconoscibilità per au­mentare la sicurezza durante dimo­strazioni, riunioni e manifestazioni pubbliche. Ciò sarebbe assolutamen­te difendibile in diritto, poiché in tal caso il mascheramento potrebbe esse­re indizio di offensività. Ma la legge proposta oltrepassa tali ambiti e isti­tuisce un divieto generalizzato di co­prire il volto in tutti i luoghi pubblici. Questa estensione mi sembra immo­tivata e sproporzionata e quindi lesi­va dei diritti personali nonché con­traria alla politica di integrazione.

    Non esiste un'esigenza di sicurezza o di ordine pubblico che possa giustifi­care tale imposizione. Quale indizio di offensività si può ravvisare in chi passeggia per le strade o va a fare la spesa? D'altra parte è ormai risaputo che il volto è un fattore di identifica­zione assolutamente fallace, ed è per questo che il riconoscimento ottico e le impronte digitali hanno da tempo sostituito la fotografia. Il divieto as­soluto non è nemmeno l'unica solu­zione per proteggere l'ordine pubbli­co o la sicurezza. Già oggi la polizia dispone di sufficienti strumenti legali per l'identificazione delle persone; dove mancano, si stanno preveden­do. Ne è un esempio il Concordato per prevenire la violenza durante le manifestazioni sportive che il Gran Consiglio ha appena approvato. Non credo nemmeno all'effetto preventivo o dissuasivo di tale misura. Non sarà la paura di una contravvenzione a fermare chi intende violare il diritto penale, rischiando una pena ben più severa di quella proposta con la mo­difica di legge.

    Quella del terrorista che si muove sot­to il burqa o il niqab è una leggenda metropolitana. Che bisogno c'è di na­scondersi sotto una tenda se le bombe moderne si possono nascondere nel fazzoletto o nella borsetta? Ci sono mai stati in Svizzera e in Ticino epi­sodi di violenza nati sotto il burqa? Questa legge sarà applicata coerente­mente a tutti i cittadini? Quale ga­ranzia di parità di trattamento ci of­fre? Dovremo rinunciare alla moda dei grandi occhiali da sole? Al cap­pello calato sugli occhi, al foulard o alla sciarpa d'inverno?
    Saremo tutti puniti, o puniremo solo le donne mu­sulmane? Gira e rigira la proposta di legge, che la si voglia di rango legisla­tivo o di rango costituzionale, finirà con l'applicarsi a loro soltanto. È quindi una legge discriminatoria, che ci mette in aperta opposizione a una cultura diversa dalla nostra e in con­trasto con la politica di integrazione e accoglienza. Qual è allora il bene da difendere?

    Vi è chi sostiene che il burqa sia lesi­vo della dignità e dei diritti della donna, altri ritengono che il burqa impedisca l'integrazione. Per quale ragione ci si preoccupa della dignità delle donne musulmane e non anche della nostra dignità? L'uso che fac­ciamo in Occidente del corpo delle donne,
    esponendolo a pezzi e bocco­ni, come quarti di macelleria, non è forse lesivo della dignità delle donne?L'anoressia e la chirurgia estetica a cui molte donne ricorrono per con­formarsi ed appiattirsi sullo stereoti­po maschile della bellezza femmini­le, non è forse conseguenza di una società sessista che oggettivizza le donne e offende la nostra dignità? Dove finisce la libertà della donna occidentale di scegliere che uso fare del proprio corpo e dove inizia la dominazione maschile? Secondo quale criterio solo le donne musul­mane devono essere salvate?

    Per non parlare di un altro stereotipo che è quello di sostenere che le donne indossano il burqa perché costrette. Non nego che anche in Europa vi sia­no casi di costrizione, ma ci sono an­che donne che lo portano volontaria­mente per una questione di identità culturale. Già soltanto questa consta­tazione è giuridicamente sufficiente per impedirci di imporre una limita­zione della libertà personale.
    Se si vuole veramente difendere la li­bertà delle donne di decidere se co­prirsi o no il volto sono altre le misu­re da adottare. L'unica disposizione dell'iniziativa che andava in questo senso, prevedendo una sanzione per chi obbliga la donna a portare il velo integrale, è stata invece tolta nel pro­getto legislativo proposto dalla mag­gioranza. Si è salvato solo il divieto del burqa e la punizione per chi lo porta, ma si è rinunciato a punire chi obbliga le donne a farne uso.
    Anche l'equazione Islam-burqa è fuorviante. La maggior parte delle donne musulmane, fuori e dentro l'Europa, non indossa il burqa. Si tratta di argomenti controproducenti, che rafforzano gli stereotipi dell'Islam come cultura intrisa di valori incom­patibili con i nostri e della donna musulmana sottomessa e discrimina­ta. Come sostengono molte studiose del mondo musulmano l'emancipa­zione della donna musulmana può avvenire mediante l'uso del velo, o mediante il suo rifiuto, poiché il velo può avere un significato personale se­colare o religioso, può rappresentare tanto la tradizione, quanto l'emanci­pazione e la lotta.
    Dovremmo chiederci se un divieto as­soluto favorisca l'integrazione. Il mio timore è che simili divieti non possa­no che sortire l'effetto opposto a quel­lo dichiarato, vale a dire la scompar­sa della donna dallo spazio comune e pubblico, a maggior ragione se co­stretta da altri a indossare il burqa. L'integrazione è un processo recipro­co che non impone alle altre culture un appiattimento sul nostro modo di vivere. Non possiamo decidere cosa è meglio per gli altri sulla base di una visione etnocentrica L'integrazione implica sforzi ben più ampi e artico­lati che con il divieto assoluto non hanno nulla a che vedere.
    l'unica con il Burqa in Ticino
    La Gran Bretagna, dove si stima che le donne velate siano centomila, ha rifiutato il divieto e scelto la tolleran­za. Per quale ragione in Ticino, dove l'unica donna velata apparsa in pub­blico era quella che si portava in giro l'iniziativista, dovremmo scegliere l'intolleranza? Quale ragione pesa di più nella nostra tradizione democra­tica: la difesa della libertà personale o la paura del diverso?

  • Puoi mettere il burqa in ArabiaSaudita, e magari anche se ti va qualche altro velo, quando deciderai di fare il grande passo di provare per un po di tempo i grandi privilegi che la legge islamica garantisce alle donne, alle minoranze, atei, agnositici e quant altro.

    Nel caso tu sia un uomo, pensa a tua moglie e alle tue figlie.

    Nel caso tu non abbia nulla da fare, ma la bocca piena di aria, nasconditi dietro le grandi parole della tolleranza, del politicamente corretto, biancaneve e quello che preferisci.

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