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La tragedia di Marie e la punizione a vita – di Gianfranco Soldati

(fdm) Leggendo questo notevolissimo articolo dell’amico Gianfranco, pubblicato nel Corriere del Ticino di giovedì 23 maggio, pensavo con triste preoccupazione a un certo “buonismo feroce” che si ritrova – talvolta e troppo spesso – con le mani imbrattate di sangue.

Notizia preoc­cupante del 14 maggio 2013. Un ragazzo di 36 an­ni ha sequestrato una sua amica diciannovenne ed è in fuga. Nel lin­guaggio mediati­co si è fatta stra­da la moda di definire «ragazzi» i delinquenti fin sulla cinquantina, quasi a voler smi­nuire a priori la responsabilità per le loro malefatte. Sono ragazzi, non an­cora maturi e pienamente responsabi­li, giudichiamoli con la benevolenza riservata ai minorenni! Notizia rassi­curante del giorno dopo, rassicurante nel senso che quel che si presagiva è purtroppo accaduto: il «ragazzo» di 36 anni ha assassinato, probabilmen­te dopo averla violentata, l’amica di­ciannovenne. Sono cose tremende, ma la razza umana è fatta così: dalle combinazioni cromosomiche possono uscire discendenti tarati, che tali re­stano per tutta la vita, condizionati come sono dal loro genoma.

Aveva già colpito Sconvolgente invece la notizia che il «ragazzo» aveva già al suo attivo il sequestro, lo stupro e l’assassinio di una sua amica di 31 anni, nel genna­io 1998, a La Lécherette, quando lui aveva 22 anni (già allora il «ragazzo» era pienamente maggiorenne), motivo per cui nel 2000 era stato condannato a 20 anni di galera (ma le vere galere non ci sono più, sostituite da alberghi a 3 o 4 stelle). Nell’agosto 2012, dopo 20 anni di pe­na trascorsi in appena 12 anni, è stato «liberato» con assegnazione agli arre­sti domiciliari. Chiaramente, aveva ancora un domicilio, non so se in pro­prio o presso i genitori, che mossi da sentimenti viscerali, anche se naturali, sempre accolgono e proteggono il loro «ragazzo». A 22 anni un primo tremendo fatto criminale che da solo basta (e ne avanza, checché ne possano pensare o ne abbiano pensato gli addetti alle perizie psico-psichiatriche) per far ca­pire che siamo di fronte ad una perso­nalità sconvolta e pericolosissima.

Rieducazione e reinserimento? Mi fa drizzare il pelo sentir parlare, da alte personalità del campo giudi­ziario e carcerario, di rieducazione e reinserimento sociale. Sconvolte da un altro caso simile a quest’ultimo di Pa­yerne due semplici madri di famiglia hanno lanciato, circa dieci anni fa, un’iniziativa per l’internamento a vi­ta degli assassini maniaci sessuali: po­veri individui questi, lo concedo, e ammalati, ma irrimediabilmente ta­rati e quindi definitivamente pericolo­si. Le firme furono raccolte in pratica con il preponderante sostegno della destra, ma con facilità così irrisoria da garantire un largo successo in vo­tazione popolare. Consiglio federale e Camere fecero di tutto per ostacolare l’approvazione nelle urne, nel 2004, ma il risultato fu l’accettazione a schiacciante, non solo larga, maggio­ranza. Ancora Governo e Camere po­sero ostacoli, accampando problemi giuridici e di pratica applicazione. Su questa base anche le autorità giu­diziarie e carcerarie si distinsero nel tergiversare sull’applicazione della misura di internamento a vita decisa dal popolo. Loro hanno il compito sacro e sacrosanto di rieducazione e reinserimento. Per il momento di rein­serita abbiamo solo una seconda gio­vane donna, «reinserita» per sempre nella tomba.

Il risveglio delle coscienze Dopo questo ennesimo e prevedibile fatto di sangue si è subito scatenata la reazione indignata, plebiscitaria e «coccodrillacrimosa» da parte di quelli che non hanno la coscienza franca. Il Consiglio di Stato vodese, rappresentato sugli schermi naziona­li da Jacqueline de Quattro, ha deciso seduta stante l’apertura di un’inchie­sta, secondo la stessa procedura che si usa quando non si vuole risolvere un problema: si nomina una com­missione. Le interviste agli esperti fioccano co­me la neve, un responsabile non lo troveranno mai, la responsabilità è collettiva, diluita nella correttezza po­litica e nel buonismo imperante, tra personaggi che non hanno ancora ca­pito che il tempo di Cesare Beccaria (1738-1794) è definitivamente tra­montato. Lui non poteva sapere cosa fossero i cromosomi, e non conosceva altra causa di criminalità efferata che la miseria estrema dei suoi tempi.

Dolorosi precedenti Già in passato abbiamo fatto triste esperienza di assassinii a sfondo ses­suale perpetrati da individui tarati. Mi limiterò qui a ricordare il caso del ticinese d’oltre Gottardo Werner Ferra­ri, negli anni Ottanta (bambino as­sassinato, rilascio dopo pochi anni, altri tre bambini assassinati), ma i miei ricordi di delinquenziali recidive sono parecchi, anche se vaghi. Tempo fa ebbi una lunga discussione sul caso Ferrari con un giudice ticinese che sti­mo altamente, fatta astrazione dalla sua contrarietà alla massima pena, inammissibile per questi tarati sessua­li, ne convengo, ma necessaria per al­tri tipi di delinquenza. Ognuno rimase della propria opinio­ne, il giudice sostenendo che Ferrari era stato rilasciato sulla base dei di­sposti legali allora vigenti, io che an­che i disposti legali non giustificano decisioni che portano a morte certa bambini e giovani donne innocenti.

Irrimediabilmente pericolosi Il 17 maggio la consigliera di Stato vodese Béatrice Métraux, verde, con­cede un’intervista in esclusiva ai due principali quotidiani della sinistra, «Tages Anzeiger» e «Der Bund», e pro­clama che tutti i casi di individui por­tatori di braccialetti elettronici saran­no riesaminati. I braccialetti non «verranno mai più utilizzati per sor­vegliare individui così pericolosi». Rimango allibito, basito, sbigottito e atterrito: ci sono volute tante povere vittime innocenti per arrivare a capire che questi individui sono irrimedia­bilmente pericolosi per la loro stessa costituzione genetica, di cui non han­no colpa, ma che è quello che è. La sola soluzione possibile e indispen­sabile l’ha votata il popolo 9 anni fa: internamento a vita. Avrei preferito, e di molto, che la signora Métraux inve­ce di chiudere la stalla sbattendo la porta a buoi fuggiti il suo proclama lo avesse emanato nell’agosto 2012, quando seppe, e non può non averlo saputo, che il «ragazzo» era stato rila­sciato agli arresti domiciliari. Troppi nostri governanti credono di saperne una pagina più del libro: la loro inco­sciente inadeguatezza la fanno pagare alle vittime.

Per sempre, ma davvero A questo punto si pone, o ripropone, il problema dell’ergastolo che sia un vero ergastolo e non un internamento a vita di 7 o 12 anni. Collateralmente si pone anche quello della pena di morte. Visto il martellamento continuo e op­primente a cui siamo sottoposti da parte degli avversari della pena di morte, persone e personalità che san­no stare nel mainstream e che sono per propria costituzione politicamente corrette ed eticamente due piani sopra di noi poveri meschini, mi sia conces­so ripetere quello che ho già scritto: contro la pena di morte siamo tutti, senza una sola eccezione sulla Terra. La differenza si fa quando si deve de­cidere di quale morte si tratti: i «ben­pensanti» sono contro la pena di mor­te agli assassini, noi contro quella per le vittime. Siamo, ne sono certo, una maggioran­za a livello planetario, ma purtroppo non siamo politicamente corretti e nel mainstream nuotiamo, con grande spreco di energie, contro corrente.

Gianfranco Soldati, presidente onorario dell’UDC Ticino


Relatore

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  • Signor presidente onorario, devo ammettere questo articolo come del buonissimo "opinionismo". Però conoscendo l'ambito scientifico ed il terreno romando, non posso che farvi notare la mancanza di fonti nelle vostre teorie. Mancanza propria ai discorsi UDC in effetti, ai quali piace parlare di "gente tarata", "geni", "cromosomi" senza aver mai parlato con un biologo, medico, psichiatra o psicologo. Parlare di potere giudiziario e carcerario senza aver mai parlato con un giurista o criminologo.

    La vostra ignoranza è patente, per il semplice fatto per il quale se vi foste posto il problema di un appoggio scientifico alle vostre illazioni - non avreste potuto scrivere questo articolo.

    Vi consiglio dunque, senza alcuna presunzione di buonismo o correttezza verso di voi, di rivedere il vostro articolo togliendo tutto il populismo infondato. Magari il titolo rimarrebbe, sarebbe un buon inizio per un analisi del nostro sistema di pene e misure. Ma per un'opinionista come voi sarebbe troppo impegnativo.

    • Consiglierei al dottor Soldati di accettare il consiglio di Guest,
      esigendo tuttavia una contropartita:
      che lo stesso Guest per ogni morte causata
      dal buonismo imperante e dalla "scienza" psicologica
      sia COSTRETTO a tracciare una croce rossa sul muro.

      • Il mio commento è lungi dall'essere una assoluzione verso il sistema giudiziario. In effetti un problema di competenza e di coordinazione c'è stato ed è stato patente - problema che è sfociato nella morte di una donna, quindi assolutamente ingiustificabile.

        Non utilizziamo però questo avvenimento per una campagna all'insegna dell'eugenismo, l'era di Cesare Lombroso (1835-1909) è passata.

        Michele - Guest

        • Problema "di competenza e coordinazione"?
          Ma no! Qualcosa di molto più SOSTANZIALE, dico io.

          • Il giudice ha una competenza decisionale. Art.62d e 75a CP, la decisione del giudice si basa su delle condizioni che il detenuto deve soddisfare - fra le quali "l'assenza di un pronostico non favorevole".

            Nella fattispecie, le autorità penitenziarie hanno messo in guardia l'autorità giudiziaria sulla pericolosità dell'individuo, ma il giudice non ha seguito questa via per mancanza di un "pronostico non favorevole".
            (http://www.lematin.ch/faits-divers/chronique-mort-annoncee/story/26150785?track)

            Il vecchio Codice Penale richiedeva un "pronostico favorevole", quindi era più stretto. In effetti la macchina legislativa si è messa in moto e cerca di ritornare - relativamente - sui suoi passi, confronta le Message di Conseil Fédéral du 4.4.2012, FF 2012 4181 ed il progetto di legge - http://www.admin.ch/opc/fr/federal-gazette/2012/4385.pdf

            Questa è una falla nel sistema, un malfunzionamento, da correggere. Un'analisi di questo tipo è corretta - condannare quindi un sistema giudiziario permissivo quando non lo deve essere. Non è essere buonisti, ma essere obiettivi e pragmatici - quello che ci si aspetta da un politico.

            Dire semplicemente che queste persone sono senza speranza (da quando sono nate, si può leggere fra le righe del dottor Soldati) non è corretto secondo la mia opinione.

          • Scusa, hai mai letto i Promessi sposi?
            Un bel personaggio minore del romanzo è l'avvocato A...

          • La mia risposta non è esaustiva, logicamente. I testi legali li ho messi solo perché se chiedo puntualità ad un dottore e presidente onorario, anche io debbo risponderne. Ed inoltre se ho un'idea, è utile che illustri da dove venga.

            Comunque nessun avvocato, ma studente di legge. I promessi sposi? Si, mi ricordano la maturità e la Professoressa Biancamaria Travi (un personaggio) - ma non ricordo i personaggi minori, désolé.

  • Un attimo Michele... ammetto che il dottor Soldati ha utilizzato dei termini propri della sua professione aprendo la porta a considerazioni collaterali ed esulando un attimo dal seminato, ma le considerazioni di Lombroso (o dei suoi nipoti) sono superflue e mi sembra fuori luogo. Tutte le conoscenze scientifiche non bastano per affermare una singola certezza. Certo un'altissima probabilità ma mai una certezza. Discutere quindi se l'agire di un individuo è deterministico o dettato da libero arbitrio è abbastanza inconcludente visto che ci si chiede (a questo punto) di scegliere.
    È il tipico trilemma di Agrippa, tra assolutismo, relativismo e realismo. Difendere uno qualsiasi dei primi due non avanza la discussione.

    Qui non ci si chiede perché un reo abbia agito in tal sorta, ma che farne ora (del reo).
    In questo senso il richiamo a Beccaria è tutt'altro che fuori luogo e l'accenno che ne ha fatto pure.
    Nel suo libro Beccaria parla molto di pena capitale e di tortura, ma ben poco di pene. Ai suoi tempi, se ti andava bene e schivavi la pena capitale, o finivi per il resto della tua breve vita in una cella buia a defecarti addosso, oppure ti mutilavano in qualche modo permanente (in relazione col tuo delitto). Anche alla berlina mica era una passeggiata.
    Chiaro che in queste condizioni di miseria imperante la pena capitale non fosse un deterrente SUFFICIENTE. Ma oggi in confronto a delle pene di tutto riposo?

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