Perché ho detto sì all’insegnamento del Salmo svizzero

Pubblichiamo con piacere questo bell’articolo della giovane granconsigliera luganese (che ha anche conseguito un eccellente risultato nella recente elezione del Consiglio comunale). A coloro – forse Liberi Pensatori? – che hanno protestato per il linguaggio e i contenuti religiosi dell’inno vorremmo far notare che, dopo questa piccola e non troppo drammatica sconfitta, resta loro una concreta possibilità di rivincita. Come? Battendosi contro la croce bianca in campo rosso.


La discussione parlamentare sulla mozione presentata dall’UDC che chiedeva di rendere obbligatorio l’insegnamento del Salmo svizzero nelle scuole ticinesi è stata lunga. Preso da solo il tema non concerne sicuramente una delle questioni più importanti e urgenti con le quali si trova confrontato il Ticino, ma il tema secondo me merita una certa attenzione, poiché s’inserisce in un contesto ben più ampio e molto importante: la nostra storia, la nostra cultura, i nostri valori, le nostre radici.

L’inno nazionale è una delle radici del sentimento nazionale, che a mio avviso dobbiamo oggi recuperare e valorizzare, soprattutto nelle giovani generazioni. L’educazione non tanto al rispetto del concetto di “Patria” – che potrebbe suonare antiquato -, ma alla consapevolezza di essere parte di una Nazione. Non bisogna vergognarsi di essere svizzeri, anzi, bisogna esserne fieri, soprattutto di fronte a un mondo sempre più globalizzato dove l’identità nazionale e il senso di appartenenza alle comunità va via via perdendosi. E poco importa se l’Inno svizzero è tale solo dal 1961… È stato scritto a metà dell’800 ed è sempre stato un canto importante in Svizzera. E conoscerne il testo è, a mio parere, importante per la formazione di ogni cittadino, abitante di uno Stato.

Durante il dibattito e dopo l’approvazione della mozione sono state avanzate le tesi più disparate da parte dei contrari; tra queste in particolare il fatto che l’obbligo dell’insegnamento del nostro inno è da respingere poiché esso ha troppi riferimenti religiosi, incompatibili con l’idea di uno Stato laico. Mi permetto di non concordare con questa tesi.

Certo, il nostro è uno Stato laico e in cui la libertà di religione è garantita costituzionalmente, ma non dimentichiamo che le nostre radici sono cristiane. Inoltre, è vero, il testo parla di Dio, ma un Dio d’amore, di libertà e concordia, non si tratta di un Credo con concreti riferimenti ai dogmi della Chiesa. Gli inni nazionali sono stati scritti in determinati periodi storici e portano con sé il retaggio di quei tempi e degli avvenimenti da cui hanno tratto ispirazioni. Dovremmo allora dire che ai giovani francesi non bisogna insegnare la Marsigliese perché incita alla vendetta e richiama il popolo alle armi? E che dire dell’Inno italiano, dove oltre al richiamo alla resistenza armata ci sono anche chiari riferimenti a Dio? O dell’Inno inglese, costruito sui valori della fede e della monarchia? E se vogliamo varcare l’oceano, che dire del verso “il nostro motto è: abbiamo fede in Dio” che troviamo nell’Inno degli Stati Uniti? Mi pare quindi pretestuoso e provinciale sollevare obiezioni “religiose” all’insegnamento del Salmo svizzero e simbolo di un atteggiamento ottuso e anti storico. Secondo me non dobbiamo avere paura delle nostre radici e non dobbiamo negare la nostra tradizione e la nostra cultura cristiana in nome di una laicità dello Stato che mi pare assolutamente garantita e che nessuno intende mettere in discussione.

Inoltre, chi paragona questa decisione a quella che potrebbe prendere un paese totalitario o ai canti fascisti insegnati a scuola ai giovani “Balilla”, ha perso decisamente il senso delle proporzioni. Qui non stiamo parlando di “Faccetta nera” o di “Giovinezza”; non stiamo parlando di canzonette di regime, ma di un canto che è storicamente patrimonio comune di una Nazione e non di un partito o di uno schieramento politico. Andando avanti di questo passo continueremo a dividere il mondo in buoni e cattivi, in un dualismo sterile che mina l’unità e il sentimento nazionali. Concetto, quest’ultimo, che non ha nulla che vedere con il nazionalismo bieco delle varie destre o sinistre che si sono succedute al potere in passato in diversi paesi europei e che ancora trovano, purtroppo, adepti tra schiere di nostalgici “neri” e “rossi”.

Comunque l’insegnamento dell’Inno non “ruberà” più di un paio di ore per anno scolastico. Nell’ambito delle lezioni di musica si può cantarlo, nell’ambito delle lezioni di storia (e non di religione!) si può impararne la storia e il contesto in cui si è sviluppato. Nessuno ha chiesto che gli allievi vengano chiamati a mettersi sull’attenti ogni mattina nel cortile della scuola e cantino in coro “Quando bionda aurora…”.

Quella sull’inno è una discussione si situa all’interno di una tema molto più ampio, che riguarda l’esigenza di rivalorizzare nelle nostre scuole l’insegnamento della nostra storia, della nostra geografia e delle nostre tradizioni. Ed è anche un tassello di una giusta educazione civica. E che la problematica legata all’insegnamento della civica e all’educazione alla cittadinanza sia una preoccupazione costante nella scuola è palese. Circa un decennio fa GLRT aveva lanciato un’iniziativa popolare, in seguito ritirata poiché raggiunto un compromesso con il DECS e le lezioni di civica hanno trovato collocazione all’interno delle ore di storia. Ma che l’insegnamento della civica oggi non sia sufficientemente considerato nelle scuole ticinesi mi pare palese: lo dimostrano rapporti scientifici come lo studio pubblicato dalla SUPSI nel febbraio del 2012 “Cittadini a scuola per esserlo nella società” ed è comprovato anche dalle 8000 firme che l’iniziativa popolare “educhiamo i giovani alla cittadinanza” ha raccolto in solo una decina di giorni.

Conoscere i fondamenti del nostro Stato, l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni, la struttura politica nazionale, cantonale e comunale, conoscere a fondo quei preziosi gioielli che sono il federalismo e la democrazia diretta, confrontandoli anche con i modelli di altri paesi è fondamentale se vogliamo un popolo composto di cittadini e non di semplici individui senza radici. Giusto conoscere le capitali dell’America latina, ma è altrettanto sapere dove si trovi Preonzo o conoscere la struttura politica ticinese. Forse, una conoscenza più consolidata delle strutture del nostro Paese, un’educazione alla civica e alla cittadinanza più incisiva, potrebbe aiutare i giovani a una maggiore consapevolezza, quindi stimolare anche a partecipare attivamente al processo democratico.

Amanda Rückert, deputata della Lega in Gran Consiglio