Nata il 13 agosto 1903 nel villaggio di Galati Mamertino, in provincia di Messina, Francesca Serio venne così descritta dallo scrittore Carlo Levi, allorchè la vide a uno dei processi per l’omicidio del figlio Salvatore, ucciso dalla mafia il 16 maggio 1955 : “È una donna di cinquant’anni, ancora giovanile nel corpo snello e nell’aspetto, ancora bella nei neri occhi acuti, nel bianco-bruno colore della pelle, nei neri capelli, nelle bianche labbra sottili, nei denti minuti e taglienti, nelle lunghe mani espressive e parlanti: di una bellezza dura, asciugata, violenta, opaca come una pietra, spietata, apparentemente disumana”.
Per il coraggio che aveva dimostrato sfidando i mafiosi di Sciara, accusandoli pubblicamente di averle ucciso il figlio Salvatore, attivo sindacalista, e denunciando la complice passività delle forze dell’ordine e della magistratura, Francesca veniva assai rispettata dai militanti del movimento contadino e da quelli dei partiti della sinistra. La chiamavano “mamma Carnevale”.
Contrariamente a ogni previsione, al processo per l’omicidio di Salvatore gli imputati erano stati condannati all’ergastolo in primo grado.
Poi però erano stati tutti assolti al processo d’appello “per insufficienza di prove”. Questa assoluzione incontrava invece appieno ogni previsione.
A Sciara, Francesca si era trasferita dopo essere rimasta vedova. Lì lavorava nei campi per guadagnare di che assicurare un futuro al piccolo Salvatore.
“Andavo a lavorare per campare questo figlio piccolo, poi crebbe, andò a scuola ma era ancora piccolino, così tutti i mestieri facevo per mantenerlo.
Andavo a raccogliere le olive, finite le olive cominciavano i piselli, finiti i piselli cominciavano le mandorle, finite le mandorle ricominciavano le olive e mietere, mietere l’erba perché si fa foraggio per gli animali e si usa il grano per noi e mi toccava di zappare perché c’era il bambino e non volevo farlo patire e non volevo che nessuno lo disprezzasse, neanche nella mia stessa famiglia.
Io dovevo lavorare tutto il giorno e lasciavo il bambino a mia sorella. Padre non ne aveva, se lo prese mio cognato qualche anno a impratichirsi dei lavori di campagna.”
Quando alle elezioni del 1951 Salvatore disse a sua madre di votare per il movimento Garibaldi, Francesca promise ma davanti al simbolo della Democrazia cristiana non potè mantenere la promessa : “Quando andai a votare e vidi quel Dio benedetto di Croce, pensai “Questo Dio lo conosco. Come posso tradirlo per uno che non conosco?” e misi il segno sulla Croce.”
Dopo il voto, a Sciara “il socialista” Salvatore divenne un nemico. Presagendo il pericolo in quell’ambiente a forte connotazione mafiosa, Francesca guardava con timore alla sua attività di segretario della sezione socialista : “La sera che firmò e si mise a capo come segretario, io feci una seratina di pianto.
‘Figlio, mi stai dando l’ultimo colpo di coltello, non ti ci mettere alla testa. Il voto daglielo, ma non ti ci mettere alla testa, lo vedi che Sciara è disgraziata, è un pugno di delinquenti, vedi che sei ridotto senza padre e dobbiamo lavorare’.
Ma lui rispose che erano tanti compagni e che non avessi paura. Io non volevo; ma ormai madre di socialista ero, che dovevo fare?”
Dopo la morte del figlio e l’assoluzione in appello di tutti gli imputati, Carlo Levi scrisse di lei, che morì a 89 anni e che è considerata l’emblema delle donne siciliane : “Niente altro esiste di lei e per lei se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto: il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato.
Essa stessa si identifica totalmente con il suo processo e ha le sue qualità: acuta, attenta, diffidente, astuta, abile, imperiosa, implacabile. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre.
Parla con la durezza e la precisione di un processo verbale, con una profonda assoluta sicurezza, come chi ha raggiunto d’improvviso un punto fermo su cui può poggiare, una certezza: questa certezza che le asciuga il pianto e la fa spietata, è la Giustizia.”
(Tratto da “Le parole sono pietre”, di Carlo Levi e Internet)