Lo scorso 2 aprile l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato il primo trattato sul commercio internazionale delle armi convenzionali.
L’ONU vuole moralizzare il mercato delle armi convenzionali, ossia non chimiche o nucleari.
Questo mercato rappresenta 80 miliardi di dollari l’anno. Ogni paese deve assicurarsi che le armi vendute non vengano usate per dirottare un embargo internazionale o a scopi terroristici.
L’industria degli armamenti è valutata a 1’300 miliardi di dollari e in qualsiasi paese è la più redditizia.
Nei paesi “produttori di morte” non conosce crisi, rimane discreta, inventando armi sempre più sofisticate con la regola di non vendere mai a paesi deboli, soprattutto non ai paesi arabi, le ultime novità in materia di armamenti.
Ora, se all’Arabia Saudita si vendono degli F17, è evidente che gli americani terranno per sè gli F22, mettendoli eventualmente a disposizione di Israele in cambio di armi equivalenti, come ad esempio sofisticatissimi droni, nella cui tecnologia Israele è all’avanguardia.
Negli Stati Uniti le spese militari equivalgono a 1’604 dollari per abitante; in Israele si attestano a 1’430 dollari per abitante. Le guerre scatenate dagli Stati Uniti in Afghanistan e in Irak dovrebbero essere costate attorno a 6’000 miliardi di dollari, ossia 75’000 dollari per ogni economia domestica americana.
“Un rapporto redatto dalla professoressa di Harvard Linda Bilmes attribuisce la maggior parte di queste migliaia di miliardi a costi che continuano ad accumularsi per curare e indennizzare centinaia di migliaia di soldati feriti fisicamente e psicologicamente.
“La maggior parte della fattura – si legge nel rapporto – deve ancora essere pagata (…) Il governo Bush affermava che la guerra in Irak si sarebbe auto-finanziata con gli introiti del petrolio iracheno. (…) Vaste risorse sono letteralmente andate in fumo in Irak e in Afghanistan, decine di miliardi di dollari sono state sprecate in pretestuosi e programmi di aiuto e ricostruzione, caratterizzati da corruzione, incompetenza e inefficacia, che nulla hanno portato per migliorare le condizioni di vita della popolazione di quei paesi.”
Manlio Dinucci, del giornale “il Manifesto” commenta : “Le cento più grandi industrie di guerra al mondo, di cui 78 sono negli Stati Uniti, potranno continuare ad accrescere le loro vendite, il cui valore annuo si aggira sui 500 miliardi di dollari.
(…) Il trattato delle Nazioni Unite non sarà vincolante (…). La norma fondamentale è che le armi non debbano essere fornite a paesi che minano la pace e la sicurezza e commettono violazione del diritto umanitario internazionale.
In altri termini, il trattato autorizza la fornitura di armi ai “buoni” e ordina di non rifornire i “cattivi” ma chi difende il trattato sottolineando che può contribuire a ridurre la tragedia della guerra in Siria, dimentica il crescente flusso di armamenti venduti ai ribelli siriani attraverso una rete internazionale organizzata dalla CIA e che implica Turchia, Giordania e Croazia.
(Fonte : mondialisation.ca)