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“Swiss made” e marchio Ticino – Cleto Ferrari

In questi giorni è tornato sui banchi del Consiglio Nazionale il progetto “Swissness” col quale si vogliono fissare le modalità con cui un prodotto può essere definito svizzero, il cosiddetto “Swiss made”.

Per il settore agricolo, per i consumatori, per la filiera agroalimentare, il dibattito è in corso da tempo e i toni si sono accesi a tal punto che la nostra associazione cappello nazionale ha minacciato il referendum nel caso un prodotto alimentare potesse fregiarsi della provenienza svizzera anche se il contenuto in materie prime fosse inferiore all’80%.

Ha fatto sicuramente piacere la decisione del Nazionale che si è allineato a quella dei contadini e ha rincuorato i consumatori disorientati dagli effetti della costante apertura dei mercati internazionali.
In futuro potrà fregiarsi della provenienza svizzera un prodotto alimentare con almeno l’80% di materia prima elvetica.
Le eccezioni concesse a questo principio sono messe in riferimento al tasso di auto-approvvigionamento. Per le materie prime che l’agricoltura non è in grado o non può produrre sufficientemente sono previste delle deroghe.
In particolare per un tasso ti auto-approvvigionamento inferiore al 20% queste materie non sono conteggiate nel calcolo complessivo e conteggiate solo per la metà nel caso di un approvvigionamento inferiore al 50%.

Il marchio di garanzia Ticino, depositato presso l’Istituto della proprietà intellettuale a Berna nel 1998 dall’Unione contadini ticinesi con l’accordo del Consiglio di Stato ticinese, in quanto sono utilizzati i colori della nostra bandiera, rientra da tempo in questi parametri in discussione a livello federale ed offre ulteriori garanzie al consumatore.
Il marchio Ticino è maggiormente restrittivo a livello di deroghe in quanto promuove esclusivamente il prodotto di prossimità, il prodotto regionale il cui comprensorio è ben definito e contenuto corrispondendo al territorio cantonale.

Se pensiamo agli intrecci, ai ping pong internazionali a cui abbiamo assistito in queste settimane per i tragitti sicuramente poco sostenibili fatti dalla carne da cavallo, cambiando poi addirittura nome per finire nei prodotti alimentari come manzo, non possiamo che renderci conto della complessità e della quasi impossibilità di controllare il sistema agroalimentare internazionale.
Un sistema basato principalmente sui trasporti, sulle differenze di prezzo tra i paesi e quindi sulle differenze dei salari, sul profitto e poco su di una logica di sostenibilità ed efficienza nell’utilizzo delle risorse. Sistema che apre le porte anche all’inganno del consumatore.

Torniamo alla nostra semplicità e trasparenza, al nostro piccolo. Dietro al marchio Ticino cerchiamo di offrirvi il visibile paesaggio curato dalle nostre famiglie contadine, la tipicità e tradizione dei nostri prodotti ma anche l’innovazione e sicuramente delle filiere agroalimentari che non possono essere totalmente competitive ma sicuramente molto più corte, ricostruibili, trasparenti e sostenibili di quelle internazionali e con una lunga tradizione.

Cleto Ferrari
Presidente della commissione del Marchio Ticino

Redazione

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