Ticinolive è onorato di ospitare questo interessante contributo del grande finanziere ticinese, riconosciuto maître à penser della destra liberale. L’articolo, come sempre controcorrente, di un amico del nostro portale.


La sconcertante affermazione della consigliera federale Widmer-Schlumpf – che ci ha abituato a vertiginosi equilibrismi per non dispiacere a deputati e Partito socialista ai quali deve la sua presenza e permanenza nel Governo del Paese – ha suscitato un coro di critiche e riattivato il dibattito sullo scambio di informazioni fiscali.

L’intervento critico di maggior spessore è forse quello dell’autorevole presidente della frazione liberale radicale alle camere Gabi Huber. Ha deprecato questo continuo riflettere in modo cacofonico ad alta voce, ciò che indebolisce la posizione della Svizzera nella guerra economica in atto. Ma si è spinta più in là, sottolineando il problema di fondo, vale a dire l’alto senso di responsabilità e civico che ancora esiste nelle cittadine e nei cittadini svizzeri. La contropartita deve essere un atteggia-mento di fiducia da parte delle autorità e non il controllo acribico di ogni mossa e di ogni passo. La maggioranza degli svizzeri non vuole il cittadino messo in vetrina, privato di spazi di «privacy».

Ovvio che quando parliamo di limiti alla trasparenza e di sfera privata ci urtiamo subito con le prese di posizione ideologiche (partiti di sinistra) e con la schiera degli onesti e puri (alcuni in buona fede, altri meno) che vedono la salvificazione solo in uno Stato «orwelliano» che ci impedisca di peccare. Non ci rendiamo conto purtroppo che con il computer la macchina statale ha un potere che sfuggiva al sovrano assoluto di un tempo il quale non era in grado di controllare di fatto i dettagli della vita di ogni suddito.

Ma a proposito dello scambio di informazioni abbiamo la possibilità – abbandonando le guerre di religione e gli isterismi moralisti – di controllare empiricamente il risultato ottenuto dalle due scuole di pensiero.

Dal 2005 è in vigore nell’UE la Direttiva sull’imposizione dei risparmi. Gli Stati dell’UE, semplificando, sono tenuti ad informare il Paese di origine di ogni incasso di reddito su risparmi realizzato nel proprio Paese da una persona straniera. Per un certo periodo Austria e Lussemburgo (inizialmente anche Belgio) hanno ottenuto di poter sostituire all’informazione l’imposizione alla fonte (cedolare) trasmettendo anonimamente e direttamente al Paese di origine del beneficiario l’importo prelevato. Lo stesso regime di imposizione alla fonte vale per numerosi Paesi terzi, come la Svizzera, che vi hanno aderito.

Nel novembre dello scorso anno l’European Policy Forum di Londra ha pubblicato uno studio estremamente interessante sui risultati della direttiva. Innanzitutto si è constatata una grave inefficienza nel passaggio di informazioni tra gli Stati e si presume che ciò comporti una perdita di in-cassi stimabile a 4 miliardi di euro per anno. Le informazioni trasmesse superano i 4 milioni all’anno e spesso si accatastano nello Stato ricevente senza nessun utilizzo. I sistemi informatici sovente non sono compatibili. L’Inghilterra conferma ad esempio che i dati ricevuti dall’UE non possono venir usati automaticamente per la tassazione, anche per la differenza dei principi fiscali. Praticamente l’utilità dell’informazione è estremamente limitata. Per l’Estonia, poi, le informazioni fiscali dell’UE concernono entrate che in Estonia non vengono tassate. Quindi lavoro inutile. Il Portogallo può permettersi solo controlli manuali. La serie delle inefficienze continua nei dettagli del rapporto.

Per contro, funziona in modo efficace la tassazione alla fonte. Nel 2009 Austria e Lussemburgo hanno trasferito agli altri Stati 172 milioni di euro (l’anno prima 241). La Svizzera 265 milioni di euro (nel 2008 350 milioni di euro). La Commissione dell’UE si è resa conto dell’insuccesso della misura e del sistema adottato.

Che conclusione tirare? Persone ragionevoli direbbero «passiamo tutti all’imposizione alla fonte, più pratica, meno costosa e macchinosa, più efficiente e redditizia». Illusione. La Commissione sta pensando come cambiare e irrigidire il sistema di scambio di informazioni e come dare ad ogni potenziale contribuente in Europa un numero di identificazione per le tasse. Il ragionamento è logico. Alla burocrazia di Bruxelles interessano sì i soldi, ma ancor più il controllo asfissiante di ogni cittadino di ogni Paese che faccia parte dell’UE.

Quando verranno aboliti tutti gli spazi di autonomia, quando in barba al principio di sussidiarietà ogni informazione verrà centralizzata, allora sarà ancora più facile trovare nuovi balzelli e tasse da imporre. Le soluzioni pragmatiche, efficienti, con meno burocrazia non interessano. Interessa non lasciare alcuno spazio per poter permettere al potere guardone di vederci in mutande, sperando che almeno quelle ce le lascino.

Tito Tettamanti, finanziere
(pubblicato nel CdT del 10.I.2013)