Volevo parlare di energia, ma inevitabilmente mi sono allargato. È di questi giorni la notizia che i gestori di alcune centrali nucleari svizzere sono sotto inchiesta per importanti ammanchi negli accantonamenti dei fondi previsti per lo smantellamento.
Più semplicemente, i suddetti gestori hanno per anni allegramente sottostimato il reale costo di smaltimento così da poter offrire sul mercato energia a prezzi competitivi per giustificare e favorire il nucleare.
Se poi consideriamo che la tanto sbandierata privatizzazione del mercato dell’energia è avvenuta solo in maniera unilaterale e parziale (come tutte le altre) col piacevole effetto di scremare gli utili a favore dei privati ed affibbiando gli oneri alla partecipazione statale, non ci restano neppure le lacrime per piangere. Non c’è che dire, un capolavoro. Indovinate un po’ chi pagherà?
Un altro esempio di perfetta operazione macroeconomica è stata la privatizzazione delle telecomunicazioni. Un insulto all’intelligenza di un qualsiasi consumatore. Tutti vedono che la cosa non quadra anzi puzza alquanto, ma pochi sanno i retroscena tecnici ed economici della faccenda.
C’era una volta una regia federale chiamata PTT. Mastodontica, burocratica ma comunque efficace e più o meno efficiente.
Era nata monopolio, figlia unica di mamma Elvezia, ed assunse il ruolo che gli era più naturale. Signora dell’etere e delle comunicazioni.
Poi vennero i politici, allettati dalle facili lusinghe proferite da avidi industriali. Dapprima la smembrarono, poi la privatizzarono, in nome del capitalismo, della concorrenza e della possibilità di liberarsi di una grana.
Per farla breve ora ci ritroviamo con una Posta in ritirata i cui uffici assomigliano vieppiù ad un chiosco e le cui ambizioni prioritarie sono di diventare una banca, una Swisscom con una concorrenza di facciata che comunque fa il bello ed il brutto tempo come e più di prima.
La concorrenza nella telefonia è semplicemente patetica. A nessuno è venuta in mente, prima di privatizzare, la ragione per cui le telecomunicazioni erano un monopolio naturale.
I gestori precedenti hanno sviluppato (e mantenuto) l’infrastruttura fisica, cioè le reti. Non solo la distribuzione capillare alle utenze, ma la rete di dorsali che collegano i centri urbani.
In Svizzera ce ne sono tre: una delle ferrovie (passa accanto ai binari), una dei militari (che collega i centri di comando) ed una di Swisscom (lungo le strade).
Tutti gli altri affittano in genere un volume di traffico presso di loro. Anche Cablecom si serve delle loro reti per distribuire il proprio segnale.
Così, per ridurre il volume (in particolare delle conversazioni) utilizzato dall’utente, che gli altri operatori pagano a Swisscom, questi si riducono a limare bit dal segnale audio. Patetici, appunto, e ridicoli.
Tutta l’ondata di privatizzazioni e liberalizzazioni operata dagli anni novanta in poi non considerava alcuni difetti di fondo, tuttora irrisolti, che hanno portato all’edificante risultato attuale.
La prima e clamorosa lacuna è che effettivamente la teoria economica dice che la concorrenza dovrebbe portare un guadagno per il consumatore.
Questo è certamente vero ad alcune condizioni, prima fra tutte che si tratti di una concorrenza perfetta.
Purtroppo questa condizione non è affatto data e quindi imporre concorrenza laddove esiste un monopolio naturale non garantisce affatto (anzi!) un guadagno per i consumatori.
Infatti esiste concorrenza perfetta se si verificano le seguenti condizioni:
1. Il bene prodotto è omogeneo.
2. L’informazione è perfetta e la trasparenza totale.
3. Le imprese hanno dimensione atomica.
4. I fattori di produzione perfettamente intercambiabili.
5. C’è liberta di entrata ed uscita dal mercato, niente tasse.
6. Non c’è alcun progresso tecnologico.
Ditemi voi se vedete un mercato che risponde realmente a tutte queste condizioni. Nella realtà nessun bene è prodotto in un regime di concorrenza perfetta e per una semplicissima ragione: non c’è utile! E nessuno agisce senza la prospettiva di un utile.
Quindi in tutti i mercati gli operatori privati, sebbene si dicano in regime di concorrenza, tendono segretamente al polo opposto, cioè al monopolio.
Da qui un utile (o guadagno o vantaggio), vuoi perché gli imprenditori parlano di differenze qualitative nella produzione del loro bene (1), o perché piangono per gli elevati costi di produzione ma non li mostrano (2), o perché per ragioni di efficienza interna hanno assunto una dimensione che gli offre una posizione di predominio sul mercato (3), oppure perché quelle particolari materie prime le trovano solo loro (4), o perché sono frenati da barriere (5), o perché si lamentano per tutte queste ragioni.
Il progresso tecnologico, per fortuna, quello continua ad esistere, ma inficia di base la concorrenza.
I privati, attratti dall’utile, hanno preso ben volentieri delle competenze statali, ben sicuri che in caso di guai lo Stato che da questi servizi dipende (e non può semplicemente chiuderli) ci avrebbe messo una pezza.
Con la beffa ulteriore che anche loro tendono ad assumere una posizione di monopolio, ma se prima gli utili venivano indirettamente riversati agli utenti/consumatori/cittadini, ora questi se li accaparrano dei particolari.
Sono andati in questa maniera negli anni passati numerosi monopoli statali: comunicazioni, energia, trasporti, sicurezza, raccolta informazioni, assicurazioni sociali, sanità, eccetera, eccetera. Una fila di perle ai porci.
Beninteso lo Stato non abbandona mai totalmente un settore, ma non so se sia una fortuna. Ai concorrenti va bene come garanzia, infatti possono sempre scaricargli gli oneri quando le cose vanno male. C’è sempre richiesta di un gonzo che alla fine resti col cero in mano.
Tutti i settori sopracitati hanno dei fattori in comune, ed è appunto per questi che erano regie federali, espressione diretta di competenze statali.
1. Servono a tutti.
2. L’infrastruttura è tanto vasta e diffusa che è insensato raddoppiarla o affidarla a gestori in concorrenza.
3. Hanno enormi costi fissi di gestione e di mantenimento dell’infrastruttura e dei mezzi di produzione.
4. Hanno dei costi variabili irrisori in relazione ai costi fissi.
Già leggendo la prima ragione capiamo che era meglio lasciarli statali e pagare un forfait nelle tasse. Invece questi cercano di lucrare facendoci pagare a volume di consumo, quando a loro l’infrastruttura costa in ogni caso, che sia usata o meno.
La principale ragione addotta dai politici per queste regalie ai privati era stata che le regie federali erano mastodontiche ed inefficienti.
Non mi sembra che gli operatori abbiano migliorato l’efficienza, in compenso hanno certamente peggiorato la sicurezza e l’efficacia.
Dulcis in fundo, si fa per dire, è che la privatizzazione non era l’unica soluzione per snellire le regie federali e migliorarne realmente sicurezza, efficacia ed efficienza.
Sarebbero bastati dei controlli sicuri, efficaci ed efficienti. E forse un minimo di de-lottizzazione, poi comunque avvenuta, certamente poco gradita ai partiti ed agli esponenti politici.
È così difficile capirlo? Forse lo Stato non farà sempre o spesso l’interesse pubblico, ma certamente i privati faranno sempre prioritariamente il loro interesse personale.
malatempora
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No, non è difficile capirlo, ma non perché il pubblico sia meglio del privato, bensì perché qui ci troviamo di fronte a due forme di esercizio dello stesso monopolio da parte dei politici:
- quella di prima, fatta di politici che esercitavano il loro potere attraverso la loro longa manus nelle regie pubbliche
. quella di oggi, fatta di politici che esercitano il loro potere attraverso la loro longa manus in quelle società private alle quali hanno regalato pezzi di regie pubbliche (forse per rubare meglio)
Ovunque ci sia uno Stato (e quindi dei politici) ci sono società "falsamente" private (vedi Teleticino) che rimangono attaccate alla sua tetta e non la mollano più. Noi le foraggiamo, ma, vedi caso, gli azionisti sono altri e andando a grattare fino in fondo si trova sempre un politico che ha organizzato il tutto.
Quanto alla concorrenza. Non mi scandalizza che chi si confronta in un mercato, più o meno perfetto, punti al monopolio. Ma si dà il caso che difficilmente ci riesce: nel settore dell'informatica, della telefonia e dell'intrattenimento ci hanno provato Microsoft, Nokia, Apple, Sony, Samsung ecc. ma nessuno di questi colossi è riuscito ad imporsi definitivamente sugli altri. In compenso oggi, a prezzi comunque abbordabili, facciamo cose incredibili con "giocattolini" che non sarebbero mai nati in regime di monopolio pubblico.
Se qualcuno riesce ed assume la cosiddetta "posizione dominante" onore al merito suo e che gli altri si rimbocchino le maniche. A meno che non si metta qualche men che mediocre burocrate a far multe al migliore, come fa ancora e ha fatto la UE con quel pirla di Monti, quando a Bruxelles aveva un ufficio tutto suo per vessare chi dimostrava, nei fatti, di essere "troppo bravo".
MXM
Ceterum censeo BNS (BCE, FED ecc.) delendam esse
"In compenso oggi, a prezzi comunque abbordabili, facciamo cose incredibili con "giocattolini" che non sarebbero mai nati in regime di monopolio pubblico."
Il nostro dicolamia dimentica che tutto viene prodotto in un regime di monopolio privato... di schiavitù. Dicosotutto hai mai letto "No logo". Un illuminante (per te) libretto di Naomi Klein. Vuoi che ti citi qualche capoverso...
Sono almeno una decina le marche che costruiscono smartphones e tablets, in svariati paesi, con diverse condizioni sociali e condizioni di lavoro in alcuni casi obiettivamente impossibili, se confrontate con quelle alle nostre latitudini. Certo, alcuni di questi paesi vivono oggi una fase in cui le maestranze dovranno saper contrattare le loro condizioni di lavoro, come ha fatto chi, dei nostri antenati occidentali, ci ha preceduto. E mi risulta che lo stiano già facendo.
Se io ti scrivo in questo momento è perché mio nonno, per mantenere mio padre (che poi ha mantenuto me fino a che non sono stato capace di mantenermi da solo), si alzava alle 4 del mattino e in bici faceva 20 km per raggiungere il suo posto di lavoro, lavorava per 10 ore, e poi faceva ancora 20 km per tornare a casa alle 10 di sera. Quando forava con la bici (a volte capitava, perché le strade allora non erano asfaltate) scendeva al Canale della Chiana per immergere la camera d'aria nell'acqua e capire dalle bollicine d'aria dov'era il buco; riparava con la toppa e la mastice la foratura e si rimetteva a pedalare. Dicosottutto non ha mai letto il libro di Naomi Klein, ma anche Naomi Klein ha mai letto il diario di mia nonna NonnadiDico.
In virtù dei sacrifici di mio nonno e di mia nonna, mio padre imparò un mestiere, e con grandi sacrifici contribuì a farmi studiare; si costruì anche una casa. Ai primi di luglio 2012 è salito al cielo. Ho pagato io l'IMU di "MUNTI per l'Italia" (è lo slogan rivisitato di MONTI per l'Italia che campeggia nel logo del burocrate di Bruxelles presentato qualche giorno fa ai mass media) e pure la quota che una cricca di monopolisti della "schiavitù democratica" gli ha imputato anche da morto per i mesi che ha potuto godere della SUA casa quand'era in vita. Vuoi che ti spedisca copia della ricevuta?
MXM
Ceterum censeo BNS (BCE, FED ecc.) delendam esse
Uella malatempora. Articolo, testo, intervento interessanti. Conferma le mie impressioni. Potrei anche accettare il concetto secondo il quale la cosiddetta riserva frazionaria espone il meccanismo economico a rischi incalcolabili. Potrei pure accettare il concetto secondo il quale il permettere a pochi enti "centralizzati" di stampar banconote con la rotativa e senza copertura potrebbe ricordare l'attività di Totò e Peppino in quel meraviglioso film di Mastrocinque, eccetera. Tuttavia il sistema attualmente corre su questi binari. {Per Dicolamia verso l'abisso. Ma a Dicolamia non replico. Posta affermazioni inammissibili... spiegherò.} Altri sono convinti che con opportuni "smistamenti" la co(r)sa possa essere ricondotta verso tragitti meno determinati. Il galoppo verso un ipotetico social-cliff non avviene esclusivamente in economia. Faccio un parallelo che farà arricciare il naso e spingerà a replicare a dovere. Comunque rischio ugualmente. E vengo a te malatempora. Penso al problema economico in termini... energetici. Il monopolio delle banche centrali e il monopolio delle energie: petrolio-gas e/o nucleare. Converrai che siamo costretti a dipendere ( con l'assenso popolare) quasi esclusivamente da "banche centrali dell'energia" che erogano a loro piacimento quantità e prezzi in un rapporto (quasi) unilaterale. Così come si rivendica l'abolizione di diritti monetari (troppo) specifici concessi alle banche centrali, diritti che si ritengono pericolosi, altrettanto si potrebbe evidenziare "le" pericolosità energetiche centralizzate e unilaterali: depauperamento, investimenti unidirezionali, pericolosità ambientale: in altre parole, senza una copertura ecologica, nel senso letterale. Cioè disequilibrio. Monetario e ambiental-frazionario.
Ed eccoci alle spiegazioni. Il veleno del dire "dicolamiano" sta nella coda e lo cito: "Eppure, se vogliamo metterla su di un piano culturale, è proprio intorno a questo Comandamento che si colloca lo spartiacque tra cristianesimo e socialisimo, o, che poi è lo stesso, tra cristianesimo e nazional-socialismo."
Il trattino che il nostro "disperato" dicolamia ha prudentemente inserito (giustamente cautelativo) ha evitato risolutivi, storici e imprescindibili chiarimenti. Socialismo e nazionalsocialismo sono entità storicamente inassimilabili. Inoltre, senza voler evidentemente "inquisire" il cristianesimo non è senza imbarazzanti ombre.
Non ho capito perché, per portare avanti un scambio di opinioni che avevamo intrapreso sul blog di Marco Patuzzi, tu debba saltare di blog in blog mischiando le lepri con i conigli. Basta che cliccavi su Reply al mio ultimo post in quel blog e potevi rispondermi lì che per te:
1) le banche centrali ci sono e dobbiamo, in un modo o nell'altro, tenercele.
2) che "qualcuno" penserà, in un modo o nell'altro, a risistemare le cose
3) che socialismo e nazional-socialismo non hanno niente a che vedere l'uno con l'altro
Vedi com'era semplice?
Quando hai tempo spiegami perché sarei "disperato", la cosa mi incuriosisce.