In margine all’eterno conflitto israelo-palestinese
Non sono assolutamente favorevole alla creazione di quella sedia blu con attaccata la bandiera della Palestina.Non lo sono perché è ridicolo, perché è il sancire definitivamente una sconfitta. Non credo nella soluzione dei “2 popoli 2 stati” perché non è attuabile in uno stato di occupazione militare, perché non risolve il problema principale del popolo palestinese, della sua storia di lotta, di autodeterminazione e di speranza: il diritto al ritorno dei profughi.
Il diritto al ritorno alle proprie case, ai propri aranceti, al sapore del proprio olio nella cui leggenda son cresciute generazioni su generazioni, nella polvere dei campi profughi della Cisgiordania, di Gaza e poi ancora in Giordania, Libano, Siria. Il diritto al ritorno di tutti coloro che fuggirono di corsa dalle proprie case con le chiavi in tasca, convinti, assolutamente convinti (visto che erano passati attraverso secoli di occupazioni, crociate e quant’altro) che avrebbero riaperto quella porta molto presto.
Credo che se non vogliamo prenderci in giro dopo sessant’anni, tutti quei bambini che sono invecchiati nei campi di mezzo Medio Oriente abbiano il sacrosanto diritto di respirare, finalmente, l’aria di casa loro. Riconoscere uno stato di Palestina all’interno dei confini del 1967 non vuol dire sancire il diritto di Israele ad esistere come stato (non mi sembra ci sia ulteriore bisogno di farlo) ma far passare alla storia che ciò che si occupa militarmente per 63 anni è proprio, che la pulizia etnica e la continua pianificazione dell’assassinio di un popolo sono le basi possibili per la creazione di un’entità nazionale.
E poi: i coloni? Dove li mettiamo? Soprattutto alla luce dell’ondata di violenze di questi giorni nella West Bank, che ci facciamo con i coloni e gli insediamenti? No! Non sarò mai favorevole a due popoli per due stati: lo stato deve essere uno, per tutti.
Carlo Curti, Lugano
Israeliani e Palestinesi nella Palestina storica
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Capisco le tue motivazioni, ideologicamente coerenti. Utopiche al momento. Forse un po' di realpolitik é quello che serve per sbloccare la situazione