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Il burqa non sarà vietato in Svizzera

L’interdizione del burqa è considerata una misura eccessiva, che inoltre potrebbe avere conseguenze negative sull’opinione dei turisti provenienti dai paesi musulmani.

Portare il burqa nei luoghi pubblici in Svizzera non sarà proibito. Lo ha deciso venerdì il Consiglio Nazionale a stretta misura, con 93 voti contro 87. Viene così respinta l’iniziativa avanzata dal canton Argovia.
Il testo era già stato respinto dal Consiglio degli Stati. In Svizzera il burqa non è un problema, ha argomentato il deputato del PLR di Ginevra Hugues Hiltpold a nome della maggioranza della commissione.
Un divieto sarebbe una misura eccessiva e potrebbe inoltre avere conseguenze negative sull’opinione dei turisti provenienti dai paesi musulmani.

Il burqa, solitamente di colore nero o blu, copre sia la testa sia il corpo della donna. All’altezza degli occhi può essere posta una retina che permette di vedere parzialmente senza scoprire gli occhi di chi lo indossa.

Redazione

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  • Il Signor HiltPROT, potrà argomentare fregnacce fin quando vuole, tanto prima o poi, ci sarà una votazione a livello federale su questo vergognoso simbolo di sottomissione della donna.
    E la votazione sarà la replica del legnone riguardo ai minareti, non c'é da dubitarne minimamente.
    Ma evidentemente, i fuchi bernesi devono avere provare gusto a prendere masnate di legan verde in votazioni popolari che mirano a far rispettare la nostra civiltà e i nostri usi e costumi.
    Peggio per loro.
    Facciano pure gli spocchiosi multi kulti. Poi ci penserà il Popolo come sempre a "rolai".

    E per quanto riguarda l'iniziativa in Ticino, anti burka, copio incollo questo interessante contributo, tratto dal sito di Lorenzo Quadri. Per la serie: NON POTETE DI CERTO FARE GLI GNORRI ALL'INFINITO. Fatevene una ragione e soprattutto, fate già fin d'ora scorta di KAMILLOSAN :mrgreen:

    //Hanno imboscato l'iniziativa anti-burqa?
    La trattazione parlamentare delle iniziative popolari segue binari e tempistiche molto diversi a dipendenza dell’indice di gradimento che le iniziative incontrano negli ambienti istituzionali.

    E’ quindi evidente che, se i promotori sono sgraditi (esempio classico: Lega dei Ticinesi o Udc) o se il tema proposto non è all’insegna del politikamente korretto (spesso, anche se non necessariamente, le due cose vanno di pari passo), la tempistica si dilata ad oltranza; ben al di là dei tempi legali di due anni tra consegna delle firme e votazione popolare.

    Due pesi e due misure

    A livello nazionale la questione si pone al momento in tutta evidenza con l’iniziativa contro le residenze secondarie e contro i rustici da un lato, e con quella per l’espulsione degli stranieri che delinquono o che abusano del nostro stato sociale, dall’altro.

    Mentre i balivi bernesi vorrebbero mettere in atto subito la prima iniziativa - e qualche funzionario, più furbo di altri, ha perfino proposto di denunciare penalmente (!) i Comuni che, nell’attesa della concretizzazione dell’iniziativa, continuano a rilasciare licenze edilizie per case di vacanza pur avendo superato il “quorum” - sull’espulsione degli stranieri delinquenti si glissa, si temporeggia, si fa melina.

    Per non parlare poi dell’esempio più eclatante, ossia l’iniziativa popolare della Lega – recentemente ritirata in quanto snaturata dal rapporto tendenzioso approvato dal Gran Consiglio –: in quel caso, il tempo massimo di due anni che per legge dovrebbe trascorrere tra la consegna delle firme e la messa in votazione si è trasformato in due decenni.

    Politikamente scorretti

    C’è poi un’iniziativa su cui è calata una cappa di “assordante silenzio” e non è difficile capirne il motivo: la violazione del sacro dogma del politikamente korretto.

    L’iniziativa in questione è quella per il divieto del burqa, presentata da un comitato partiticamente trasversale presieduto da Giorgio Ghiringhelli e consegnata ormai da un anno. Cos’è successo da allora? Lo scorso ottobre due rappresentanti del comitato d’iniziativa sono stati audizionati dalla preposta commissione del Gran Consiglio. Sul clima all’interno della commissione meglio stendere un velo pietoso. Del resto, entrare nello specifico di penosi commenti fatti dall’uno o dall’altro commissario (del livello: ma d’inverno quando fa freddo non potrei più indossare una sciarpa perché mi nasconderebbe in parte il volto?) equivarrebbe ad una violazione della confidenzialità dei dibattiti commissionali.

    Il precedente dei minareti

    Il silenzio calato sull’iniziativa anti-burqa fa però nascere il sospetto che in effetti la commissione parlamentare abbia semplicemente infilato lo scomodo dossier in un cassetto. Dossier scomodo perché non politikamente korretto. La sola idea di andare a dire ad un immigrato che in casa nostra certe cose che al suo paese sono usuali non si possono fare (perché le leggi svizzere valgono per tutti e non si fanno eccezioni in base alla religione o, peggio ancora, ad una particolare interpretazione di un precetto religioso) per i fautori della fallita multikulturalità è al livello di un’eresia. Guai a lasciar solo intendere che chi viene a stare in Svizzera deve adattarsi alle nostre regole e non può pensare di importare le sue.

    Ma soprattutto, il dossier è scomodo perché con tutta probabilità l’iniziativa contro il porto del burqa, se sottoposta al voto popolare, passerebbe alla grande: vedi il precedente del divieto di costruire minareti, richiesta respinta con le solite dosi di sdegno e spocchia dalla maggioranza del Gran Consiglio, e poi plebiscitata in sede popolare. Il divieto di burqa passerebbe “come una lettera alla posta”, costituendo un’ulteriore batosta – l’ennesima – per fautori della fallita multkulturalità e del politikamente korretto.

    Quindi meglio evitare, procrastinare, imboscare.

    Ma se qualcuno in Gran Consiglio crede che i promotori dell’iniziativa si siano dimenticati della loro “creatura”, o che non intendano impegnarsi fino in fondo per una proposta in cui credono, questo qualcuno ha sbagliato i calcoli.

    Lorenzo Quadri

    Membro del comitato promotore

    //

  • Ci penserà il Popolo svizzero a far vedere da che parte nasce il sole ai multi kulti 90°.

    ///

    Iniziativa cantonale di Argovia al voto il 28 settembre in Consiglio nazionale
    Il divieto di burqa arriva a Berna

    Nell’ultima giornata della sessione parlamentare delle Camere federali attualmente in corso, vale a dire il 28 settembre, il Consiglio nazionale voterà anche su un’iniziativa cantonale presentata dal Canton Argovia nel settembre 2010, che chiede di vietare il burqa nei luoghi pubblici.
    Il gesto del Canton Argovia è senza dubbio coraggioso. E deve far riflettere. Perché viene da un legislativo cantonale.
    In Ticino, un’iniziativa popolare costituzionale dai contenuti analoghi è stata presentata da un comitato presieduto dal Guastafeste Giorgio Ghiringhelli (in cui la Lega era ben rappresentata) ed ha raccolto ben 12mila sottoscrizioni. Ne sarebbero bastate 10mila. Le firme sono state consegnate nell’aprile dello scorso anno.
    L’iniziativa non è ancora approdata davanti al Parlamento. La Commissione delle Petizioni del Gran Consiglio ha audizionato, qualche mese dopo, alcuni rappresentanti del Comitato promotore. Dopodiché è calato un velo (integrale) di silenzio. Inutile dire che, nel corso dell’audizione, alcuni commissari della solita parte politica si sono segnalati per le imbecillità politikamente korrette profferite a sbalzo.

    Il precedente
    Si ricorderà che la maggioranza del Gran Consiglio ticinese respinse a larga maggioranza un’iniziativa volta a vietare la costruzione di minareti in Ticino. Gli iniziativisti vennero come di consueto trattati da razzisti e delinquenti. Qualche mese dopo il popolo votò sul tema, e approvò il divieto a larga maggioranza: sconfessando così nella maniera più clamorosa possibile i parlamentari politikamente korretti, sostenitori della multikulturalità «completamente fallita» (Merkel dixit) nonché spalancatori di frontiere. Tutto lascia supporre che il copione si ripeterà per l’iniziativa contro il porto del burqa nei luoghi pubblici. Con i parlamentari che strilleranno al razzismo ed il popolo che, invece, approverà la proposta.

    Il “clic”
    Nel Canton Argovia, invece, a chiedere l’introduzione del “divieto di burqa” un parlamento cantonale. Un parlamento ben più realista della maggioranza di quello ticinese, succube del sacro dogma del politikamente korretto. Il Legislativo argoviese si è accorto che non si può tollerare che cittadini islamici residenti in Svizzera vi importino delle usanze, che nemmeno sono precetti religiosi (ma se anche lo fossero, non cambierebbe nulla) che fanno a pugni con i principi più elementari del nostro stato di diritto; a partire dal tanto decantato principio della parità tra uomo e donna. Perché il burqa è molto più di un pezzo di stoffa. Forse qualcuno non si rende conto che si comincia col burqa e poi si finisce con la creazione di leggi speciali, in casa nostra, per i musulmani. E questo stesso qualcuno, non si rende nemmeno conto che se il problema burqa non viene bloccato subito sul nascere, tra qualche decennio, visto l’aumento esponenziale dei musulmani in Svizzera, anche le donne elvetiche saranno costrette a portare il burqa nel proprio paese se non vorranno venire trattate da svergognate ed aggredite, magari non solo verbalmente, per strada.
    Nel Canton Argovia il “clic” è scattato. Su quello che deciderà la Camera del popolo il prossimo 28 settembre, non ci si possono fare troppe illusioni. Ma qualcuna, piccola piccola, magari sì. Proprio un anno fa, nel settembre 2011, il Consiglio nazionale approvò a maggioranza – contro il parere del Consiglio federale; ma che strano! - una mozione dell’udc vallesano Oskar Freysinger che chiedeva l’introduzione di un divieto di burqa “parziale”, limitato agli sportelli pubblici. Chissà che magari non cominci a farsi strada, anche nei deputati federali, una qualche illuminazione?
    Lorenzo Quadri
    Consigliere nazionale
    Lega dei Ticinesi

    Fonte: lorenzoquadri.ch

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