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Intervento armato in Libia. I limiti di una strategia

L’attacco di martedì notte contro l’ambasciata americana di Bengasi, in Libia, mostra – un anno dopo la caduta del regime dittatoriale di Muammar Gheddafi – come la situazione politica libica sia più che mai incerta.

La campagna militare delle forze di coalizione del 2011, limitata ai raid aerei senza soldati al suolo, ha privato dei mezzi per il controllo del territorio, scrive oggi il quotidiano francese Le Figaro : “Su richiesta di Parigi e Londra, con il sostegno di Washington, l’intervento militare in Libia è spesso stato presentato come un modello per le future operazioni dell’esercito francese.
Dopo anni di stagnazione a Kabul, la formula usata per Tripoli e Bengasi – una campagna aerea senza truppe armate al suolo – aveva il vantaggio di essere breve, efficace e compatibile con il nuovo formato di un esercito oppresso da tagli al bilancio della Difesa.

Per molti, il modello d’intervento libico rimane pertinente, fosse anche solo perchè ha, per la prima volta, trasformato il concetto di “guerra zero morti” in realtà.
Ma l’attacco del 11 settembre contro la sede diplomatica di Bengasi svela comunque i suoi punti deboli.
Diversi esperti avevano previsto all’inizio del conflitto che rinunciando a inviare truppe terrestri la coalizione occidentale si privava dei mezzi per controllare il terreno e per esercitare la sua influenza.

Un anno dopo la fine delle operazioni militari, la situazione politica in Libia rimane nel caos. Ingenti quantità di armi rubate dagli arsenali di Gheddafi, inclusi missili terra-aria, circolano nella regione del Sahel, nuovo santuario di al Qaeda.
Va detto che in Afghanistan le forze internazionali sono rimaste 11 anni sul terreno senza peraltro essere riuscite a vincere la guerra contro i talebani. Se nemmeno questo modello ha funzionato, ritengono gli esperti, è perchè la contro-insurrezione esige un impegno più duraturo, più truppe e, in questo caso preciso, un vero regolamento politico regionale.
Ma è anche perchè il conflitto afghano è indubbiamente durato troppo tempo, per i paesi che vi sono stati coinvolti.

Che sia stato o meno ordinato da al Qaeda, l’attacco di Bengasi è già sin d’ora una cattiva notizia per quanto sta accadendo in Siria.
Cattiva sia per i siriani che combattono contro le truppe lealiste per far cadere il regime di Damasco e cattiva anche per chi difende i diritti dell’uomo e spera in un’azione internazionale contro l’esercito del presidente Bachar el-Assad.”

Redazione

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