Paul Ryan è il 42enne deputato dello Stato del Wisconsin che Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca, ha scelto come vice-presidente in caso di vittoria.
Wall Street si rallegra dell’arrivo di Paul Ryan nel ticket repubblicano, scrive Jean Sébastien Stehli nel blog ObamaZoom del quotidiano francese Le Figaro : “Uomo d’affari, fiscalmente conservatore, Paul Ryan ama il Stock Exchange, detiene titoli di Apple, Exxon Mobil, GE, Procter & Gamble, IBM, Google, McDonald’s, Berkshire Hathaway,…
Tra i finanziatori più importanti delle sue campagne : UBS, Bank of American, Wells Fargo e Goldman Sachs. Eppure Wall Street rischia di avere qualche sorpresa nelle prossime settimane, man mano che i giornalisti si interesseranno ai voti e alle prese di posizione di Ryan alla Camera dei Rappresentanti. Wall Street potrebbe avere un risveglio difficile.
Nel 999, Ryan aveva votato per l’abolizione del Glass-Steagall Act, legge entrata in vigore dopo la crisi del 1933. Votando per la fine di questa legge Paul Ryan ha permesso l’allargamento dell’Investment Banking tra le banche dove gli investimenti non venivano praticati.
Eppure oggi Ryan milita per il controllo della grandezza degli istituti bancari per evitare il famoso “too big to fail”.
… Paul Ryan è contrario anche alla legge chiamata Dodd-Frank Act, introdotta dopo la crisi del 2008. In particolare si oppone alla clausola che permette al governo di intervenire e di smantellare una banca se il suo fallimento può danneggiare l’economia della nazione.
Ryan si oppone a questo meccanismo perchè a suo dire condurrebbe all’intervento dello Stato. Però è lo stesso Paul Ryan che si è espresso per l’intervento massiccio dello Stato votando e chiedendo di votare a favore del piano di salvataggio TARP.
Questa legge, propostata dal presidente Bush, dava allo Stato federale 700 miliardi di dollari per sostenere le banche e le istituzioni finanziarie acquistando parte dei loro titoli tossici.
Infine, Paul Ryan si è trovato opposto a Wall Street sul dossier del debito dello Stato. Aveva affermato di essere pronto a espatriare se gli Stati Uniti non fossero stati capaci di far fronte al loro dovere obbligando la Casa Bianca a accettare tagli di bilancio supplementari.
Una posizione opposta a quella di Wall Street. La questione del debito in effetti innervosiva e rendeva imprevedibili i mercati e questo alla comunità finanziaria non andava bene.
Gli americani si renderanno presto conto che Paul Ryan è un estremista e un “loose cannon”, una mina vagante. Un binomio capace di causare seri guai.”
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Se, malgrado tutte le pecche segnalate in questo articolo, Wall Street sostiene davvero questo politico, qualche buon motivo ci deve essere! :)
Dicono che Peter Ryan assomigli anche fisicamente a Ronald Reagan...
A tale proposito ricordo che per fronteggiare il crollo della borsa del 1987, partito dai mercati asiatici, Reagan (emblema dell'antistatalismo neoliberista) si vide costretto ad aumentare il debito pubblico, che passò da 700 miliardi a 3 bilioni di dollari. Quello stesso anno, fu nominati capo della Federal Riserve, la banca centrale americana, Alan Greespan che mantenne la carica fino al 2006. Il giudizio sulle politiche economiche di Reagan è ancora dibattuto. Gli economisti si dividono ma su una cosa parrebbero tutti unanimi: Reagan "amministrò" il debito che determinò l'aumento delle tasse imposto dal suo successore, Bush padre. La ricetta economica di Reagan per il secondo mandato differiva in modo sostanziale con la visione neoliberista del primo mandato. Bisogna ricordare che l’economia toccò il punto più basso, con il tasso di disoccupazione vicino al dieci per cento, nel suo secondo anno alla Casa Bianca, proprio nelle settimane in cui gli americani andavano alle urne per le elezioni di metà mandato. Il suo partito ne uscì penalizzato: i repubblicani cedettero 27 seggi alla Camera e un seggio al Senato, dove però riuscirono a conservare la maggioranza. Penalizzato dalle elezioni intermedie, Reagan non poté più portare a compimento le sue riforme più radicali promesse in campagna elettorale, apparendo più centrista ed equilibrato. Dopo quattro anni di politica "pratica" finalmente comprese che ricette miracolose non esistono.
L'economista Mike Montagne e il suo gruppo “People for a mathematical perfect economy”.
Mike Montagne era stato invitato nel 1982 dallo staff del futuro presidente Ronald Reagan per mostrargli un modo per poter abbassare le tasse e far ripartire l’economia statunitense in stallo a quei tempi. Mike Montagne, al contrario, gli mostrò che il modello matematico delle banche che prestano soldi alle industrie era fallimentare e che sarebbe matematicamento fallito entro il 2010 (se il tasso d’interesse di riferimento fosse rimasto uguale a quello del 1982) a meno di abbassare il tasso di interesse e prolungare l’agonia per ancora qualche anno.
Reagan scelse di continuare sulla stessa strada (quella del debito), aumentare il debito e rimandare il problema al 2010.
a sem scià bei... :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
Ryan non deve certamente temere di spiacere a Wall Street... L'importante è che gli americani la capiscano e lui con Romney non vengano votati.
Mi scuso per il lapsus Peter/Paul. Senza volerlo ho coinvolto i santi. Quindi, immediatamente, ritorniamo ai fanti.
"Il debito pubblico americano, più che conseguenza della crisi finanziaria del 2008, è figlio primogenito dell'ottimismo reaganiano, e dei suoi eredi. È un problema serio da un quarto di secolo e drammatico da almeno due anni. Ben prima del duro scontro di questi giorni sull'innalzamento del tetto legale. Le tre presidenze più prodighe sono state quelle di Ronald Reagan, di George W. Bush e, suo malgrado, di Barack Obama, ma cruciale è la prima per l'origine del disastro. Reagan prometteva uno stato dimagrito, ma diminuivano solo le tasse, non le spese. «La rivoluzione reaganiana arrivava presto a essere un incauto esercizio di economia del pasto gratis. E presto, il gigantesco errore di politica fiscale che veniva scatenato a spese dell'economia nazionale e mondiale diventava insanabile», scriveva nel 1986, 25 anni fa cioè, David Stockman, fino a un anno prima ministro del Bilancio, e testimone diretto di un sistema che colmava i vuoti col debito. Reagan, che a differenza di Bush figlio le tasse le alzò anche, trovò un debito (Total public debt) al 32% del Pil e lo lasciò al 53%, Bush figlio partì dal 56% per arrivare all'82% con una media di oltre 500 miliardi l'anno. Obama, causa crisi e crollo del gettito soprattutto, ha triplicato la velocità, portandola a 1.500 miliardi di debito in più all'anno, grossomodo."
/ilSole24ore, luglio 2011/
Mi permetto di aggiungere per i "sedotti nostrani" delle ricette americo-repubblicane, che in Ticino, (complice anche la stampa "indipendente") si rivelano sciaguratamente disinformati (quindi irriconoscenti), invece di chinarsi attentamente sulle origini della crisi finanziaria attuale, scegliendo fonti veramente “indipendenti”. Così da finalmente aprire gli occhi sul pilotato castello accusatorio demagogico che vuole il debito pubblico (voluto -ovviamente- dai "bolscevichi distributori di ricchezze confiscate con le tasse") quale colpevole del "conflitto" economico e sociale attuale. Propaganda finalizzata a "bruciare" tutte quelle conquiste sociali per le quali le generazioni che ci hanno preceduto, si sono battute con “classe”. Pagando di loro tasca.
Le conquiste sociali di cui tu parli sono certo meravigliose.
Ma se non ci sono i soldi per pagarle (o per pagarle TUTTE)
spiegami come si fa.
"Il debito pubblico americano, più che conseguenza della crisi finanziaria del 2008, è figlio primogenito dell'ottimismo reaganiano, e dei suoi eredi."
In effetti ho mancato di sottolineare e di specificare che NON sia (stato) esclusivamente il debito pubblico americano il colpevole della crisi attuale. In effetti il debito in questione ha giocato un ruolo fondamentale nell'innescare la ricerca di un colpevole "ideologico". Un debito nato anche dalle imponenti spese militari e dalla famigerata bolla immobiliare. Inoltre come si evince dal testo anche dalla riduzione delle tasse in favore dei ceti medio-alti. Quindi aumento delle spese e diminuzione delle entrate. In altre parole se per conquistare l'elettorato ondivago (20%, 30%?) prometto illusori milioni di posti di lavoro e attuo una scellerata e propagandistica riduzione fiscale, vinco le elezioni ma poi concretizzo una politica irresponsabile che qualcuno prima o poi dovrà pagare.
Aggiungo qui sotto e per informazione, una piccola parte dell'interessantissimo "Manifesto Krugman per il buon senso in economia". Un'analisi ragionevole e credibile. (Si trova su internet digitando ciò che sta tra "virgolette").
"Molti responsabili politici insistono sul fatto che la crisi è stata causata dalla gestione irresponsabile del debito pubblico. Con pochissime eccezioni – come la Grecia – questo è falso. Invece, le condizioni per la crisi sono state create da un eccessivo indebitamento del settore privato e dai prestiti, incluse le banche sovra-indebitate. Il crollo della bolla ha portato a massicce cadute della produzione e quindi del gettito fiscale. Così i disavanzi pubblici di grandi dimensioni che vediamo oggi sono una conseguenza della crisi, non la sua causa. La natura della crisi. Quando le bolle immobiliari su entrambi i lati dell’Atlantico sono scoppiate, molte parti del settore privato hanno tagliato la spesa nel tentativo di ripagare i debiti contratti nel passato. Questa è stata una risposta razionale da parte degli individui, ma – proprio come la risposta simile dei debitori nel 1930 – si è dimostrata collettivamente autolesionista, perché la spesa di una persona è il reddito di un’altra persona. Il risultato del crollo della spesa è stato una depressione economica che ha peggiorato il debito pubblico."
Quindi caro J.t.R. i mezzi che permetterebbero di avere i capitali per sostenere un “ragionevole” stato sociale ci sono e si trovano. Volendo. Ma chi non vuole, attualmente, ha la forza politica e i mezzi per sedurre quella fetta ondivaga di elettori utili al successo elettorale.
Per concludere:
“La nostra sofferenza non è quella di non poter parlare, ma quella di non essere ascoltati. Il nostro pubblico è pronto ad applaudire tutte le belle cose che noi diciamo, ma tutto va avanti come prima: bambini costretti a nutrirsi d’erba, la guerra e gli autoritarismi economici e culturali.” Come disse un pensatore. Più di cinquant’anni fa.
Secondo me lo "stato sociale"
non è mai SPONTANEAMENTE ragionevole!
Per che cosa "spinge" la sinistra?
--- Sempre più uffici inutili
--- Sempre più regole inutili
--- Sempre più imposte e tasse
Una polpetta AVVELENATA!
A tre sloganini ini ini antisinistra un po’ stantii, propongo in replica un testo fresco e sintetico non mio, letto stamattina.
"L’economia non è in mano ad una banda di irresponsabili che commettono errori. Il piano è voluto e consiste nel provocare una depressione tale che imponga la messa sul mercato dello stato sociale, potenzialmente foriero di profitti senza precedenti per le multinazionali che approfitteranno delle privatizzazioni. In fondo perché questa crisi è prettamente europea? Perché solo qui è presente il grande boccone dei servizi pubblici che devono essere strappati al controllo degli stati. L’arma è ovviamente quella della moneta, la cui proprietà non è più pubblica bensì privata."
Mi permetto di decifrarlo.
La crisi economica mondializzata è gestita in modo tale da "spingere" per poter cancellare il principio dello stato sociale. Principio sempre detestato e in malo modo subìto da una imponente frangia di facoltosi e dal “gregariato” ideologico popolare.
Con il debito degli Stati si è aperta una finestra promozionale agevolata per poter realizzare questo vecchio sogno consustanziale alle destre “repubblicane” mondiali.
Inoltre, qualche "grifone o gripen" che dir si voglia, ha “ravvisato” che ci si può perfino guadagnare, privatizzando i servizi congedati dal welfare soppresso.
Aggiungerei... che c’è un pubblico di salariati e pensionati che applaude. :-| Ovvero fin dove possono arrivare i disastri della manipolazione politica.
Forse é arrivato il momento di guardare a forme di finanza alternative (in particolare quella islamica) come suggerisce proprio la economista Loretta Napeoleoni che scrive spesso anche sul "Caffé".
Qui sotto riporto un articolo del "Sole 24 ore":
http //lmticino.blogspot.ch/2012/05/finanza-le-banche-islamiche-non.html
"Finanza, le banche islamiche non conoscono crisi"
"[...] Aumentano in Europa le banche rispettose dei principi coranici e, proprio nel momento in cui il mondo finanziario
occidentale è in ginocchio per gli effetti della crisi dei mutui subprime, la finanza islamica dimostra così una vitalitá senza precedenti. Tanto che, se nel 2007 sono stati emessi 206 bond per quasi 47 miliardi di dollari da questi istituti, nel 2008 la cifra si è ulteriormente incrementata di altri 10 miliardi."
[...]
"Ma quali sono le regole della finanza islamica? Gli strumenti finanziari islamico-osservanti sono prodotti che non prevedano la corresponsione di Riba (interessi) ed escludano comportamenti economici di Gharar (irragionevole incertezza), di Maisir (speculazione) e di Haram (ciò che è esplicitamente proibito dal Corano). Le regole ruotano tutte intorno al divieto della Riba, proibita perchè non può esservi guadagno deciso a priori e senza rischio: quindi si spartiscono gli utili, ma non si remunera il denaro. È anche proibita la Gharar, termine che sta ad indicare il trarre vantaggio dalla mancanza di informazioni altrui, ed è proibito tra l'altro stipulare un contratto legandolo ad eventi ignoti. nella finananza sharia-compatibile è altamente incoraggiata la Mudaraba, una sorta di venture capitalism ante litteram, dove chi fornisce il capitale corre il rischio di perdite se l'affare va male e chi partecipa con il lavoro corre il rischio di lavorare senza guadagni. Escluso invece il rischio di finire sommerso dai debiti."