La battaglia di Legnano sarà il tema centrale della Grande Festa Medievale, che avrà luogo a Lugano l’8-9 settembre 2012.
XI
“Vi sovvien” dice Alberto di Giussano
“la domenica triste de gli ulivi?
Ahi passion di Cristo e di Milano!
Da i quattro Corpi santi ad una ad una
crosciar vedemmo le trecento torri
de la cerchia; ed al fin per la ruina
polverosa ci apparvero le case
spezzate, smozzicate, sgretolate:
parean file di scheltri in cimitero.
Di sotto, l’ossa ardean de’ nostri morti.”
XII
Così dicendo Alberto di Giussano
con tutt’e due le man copriasi gli occhi,
e singhiozzava: in mezzo al parlamento
singhiozzava e piangea come un fanciullo.
Ed allora per tutto il parlamento
trascorse quasi un fremito di belve.
Da le porte le donne e dai veroni,
pallide, scarmigliate, con le braccia
tese e gli occhi sbarati al parlamento,
urlavano — Uccidete il Barbarossa! —.
XIII
“Or ecco,” dice Alberto di Giussano,
“ecco, io non piango più. Venne il dì nostro,
o milanesi, e vincere bisogna.
Ecco: io m’asciugo gli occhi, e a te guardando,
o bel sole di Dio, fo sacramento:
diman da sera i nostri morti avranno
una dolce novella in purgatorio:
e la rechi pur io!” Ma il popol dice:
“Fia meglio i messi imperïali. Il sole
ridea calando dietro al Resegone.
[dalla “Canzone di Legnano” di Giosuè Carducci]
La dura punizione di Milano, ribelle all’Imperatore, è del marzo 1162. Quattordici anni più tardi Milano, risorta dalla distruzione, con l’aiuto di forze lombarde a lei fedeli lo affronterà in campo aperto nella celebre battaglia di Legnano (29 maggio 1176). Il Barbarossa fu sconfitto e salvò a stento la vita.
Prima ancora che l’esercito della Lega Lombarda fosse radunato per intero i contingenti di Lodi, Vercelli, Piacenza, Brescia e Novara al comando di Milano mossero contro l’esercito imperiale. Il Barbarossa, pur in manifesta inferiorità numerica, non volle arretrare di fronte al nemico – attestato sull’Olona a nord ovest di MIlano – e attaccò. Ottone di san Biagio parla di 100.000 combattenti lombardi ma tale cifra è enormemente esagerata.
Un’avanguardia di 300 cavalieri tedeschi s’imbattè in un reparto di 700 lombardi. I tedeschi si lanciarono contro il nemico, che fuggendo in disordine travolse le sue stesse linee e cercò riparo entro le mura di Milano. Ma la battaglia non era perduta. Stretti intorno al Carroccio i fanti del “primo gonfalone” e lo “squadrone della morte” riuscirono a spezzare l’impeto della cavalleria imperiale. Alla testa di tutti giganteggiava l’eroe Alberto da Giussano. I milanesi, confortati dal suo esempio e dalla sua forza, ripresero coraggio e contrattaccarono. L’alfiere dell’Imperatore cadde trafitto.
E avvenne l’incredibile. All’improvviso cadde anche l’Imperatore stesso, fu schiacciato dal suo cavallo e creduto morto. I cavalieri tedeschi e i soldati, sconvolti dalla perdita del loro Re, si sbandarono terribilmente. Molti annegarono nel fiume Ticino, molti furono massacrati. Uomini di rango altissimo caddero prigionieri: Filippo principe arcivescovo di Colonia, il duca Bertoldo di Zähringen, il conte di Fiandra. Largo fu il bottino di guerra. Lo scudo dell’Imperatore, la sua lancia e la sua croce; il suo oro e il suo argento.
Ma l’Imperatore? Dov’era l’Imperatore? Era morto? Era vivo? L’Imperatore era svanito.
Per tre giorni interi nulla si seppe di lui. La sua augusta consorte Beatrice, riparata a Pavia, prese il lutto. Una bellissima vedova di poco più di trent’anni.
All’improvviso, come per miracolo, nell’incredula esultanza dei suoi sudditi e compagni d’arme, egli ricomparve – duramente sconfitto ma illeso – nella fedele città di Pavia.
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