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Paolo Camillo Minotti sull’abolizione dei livelli nella scuola media

Paolo Camillo Minotti – “Millo” per gli amici – è uno dei commentatori più amati dal popolo di Ticinolive. Egli ci presenta oggi un articolo di grande attualità sull’abolizione dei “famigerati” livelli nella scuola media ticinese. Il pezzo è tratto dalle Cronache dell’ALS di giugno 2012.


A proposito di livelli nella scuola media

I Verdi, alla affannosa ricerca di profilarsi in un modo o nell’altro, hanno proposto recentemente l’abolizione dei “livelli” nella scuola media. Il tema è ovviamente sentito nelle famiglie con figli che frequentano le scuole medie (o che le hanno frequentate di recente), perché il problema esiste: più precisamente il problema della demotivazione e degli insuccessi scolastici di chi frequenta i livelli B, con ricadute pure sulle prospettive professionali dei ragazzi interessati. È però molto dubbio che la proposta dei Verdi sia la soluzione adeguata a questo problema, perché assomiglia un po’ a quella di colui che, di fronte alla febbre alta, proponesse di sopprimere il termometro.

Abolire i livelli nella scuola media? Tutti penso sapranno cosa siano i livelli: si tratta di una differenziazione di livello di insegnamento, all’interno di una stessa classe di scuola media, per alcune materie oggettivamente difficili e dove si constata una grossa disparità nella capacità (e nella velocità) di apprendimento fra gli allievi della classe. Le materie soggette ai livelli sono la matematica e il tedesco. Di principio nei due livelli si fa lo stesso programma, con la sola differenza che nel primo livello il programma viene assimilato più facilmente che nel secondo livello, mentre nel secondo livello si indugia un po’ di più nello spiegare certi concetti, si ripete un po’ di più, e alla fine forse ci si porta avanti un po’ meno ma quel che si è fatto però dovrebbe restare comunque.

I livelli furono un compromesso, forse non molto soddisfacente ma non se ne è trovato finora un altro migliore, tra la volontà di tenere fermo al principio della scuola media unica da un lato e , dall’altro lato, l’esigenza generalmente sentita di permettere a chi è in grado di farlo di assimilare certi concetti basilari e di portarsi avanti, soprattutto in vista della continuazione degli studi liceali ma non necessariamente solo per questo. Il divario che sussiste nelle classi è infatti talvolta abissale e la rinuncia ai livelli (e la conseguente applicazione in tutte le materie di una classe rigorosamente unica) significherebbe un pauroso livellamento verso il basso dell’insegnamento. E va considerato che il livello attuale di apprendimento già non è eccellente con la situazione attuale, se è vero che chi intraprende il liceo si trova spesso confrontato a grosse difficoltà e nelle prime liceo vi è notoriamente una grossa percentuale di bocciature.

Ho ascoltato recentemente su questo tema un dibattito su “Teleticino” a cui partecipavano Sergio Savoia, il direttore del DECS Manuele Bertoli, il giornalista Andrea Leoni (favorevoli alla soppressione dei livelli), e dall’altra parte Maurizio Agustoni, il direttore di scuola Franco Lazzarotto e la granconsigliera leghista Amanda Rückert (tendenzialmente contrari, quest’ultima a dire il vero in modo molto blando). Sergio Savoia dominava indiscutibilmente, come si può immaginare, il dibattito con la sua innegabile dialettica. Ciò non vuol dire che egli abbia ragione o che non sia mai incorso in contraddizioni, ma semplicemente che i suoi contradditori non erano capaci di evidenziarle e di tenergli testa. Pure Bertoli, sia pure in modo più prudente perché la carica che ricopre glielo impone, si è detto favorevole all’abolizione a medio termine dei livelli, che dovrebbero essere compensati (udite, udite!) dalla diminuzione degli allievi per classe e da un potenziamento del sostegno pedagogico. Bertoli ha affermato che andrà fatta una “verifica” in tal senso. A quanti allievi per classe si vuole andare: a 10 allievi per classe? Perché è chiaro che se si passa da 22 a 20 non cambierà nulla. Noi auspichiamo solo che vengano considerate nella “verifica” anche le implicazioni finanziarie dell’operazione…

Non ricordo più se sia Savoia oppure Bertoli che, a un certo punto, ne ha detto una piuttosto grossa, una vera e propria “perla rara” delle sciocchezze: “In Cina sì che hanno riconosciuto il valore della cultura e della formazione di base, talché negli ultimi anni hanno allocato maggiori risorse finanziarie per questi settori che sono il futuro del Paese; non come da noi, o nei Paesi occidentali in generale, dove si tende a risparmiare sulla scuola e sull’università”. Io non ho molti contatti con la realtà cinese, però a lume di naso mi sento di rispondere nel seguente modo: sicuramente la Cina avrà aumentato le risorse per la scuola e la formazione universitaria, ma da quanto ne so la “filosofia” confuciano-capitalista-nazional-comunista applicata alla scuola cinese non è certo la stessa prediletta da Bertoli e Savoia e non è sicuramente la “filosofia della facilità” sessantottina, del “tutti uguali e volemose bene”, dell’ “aboliamo i livelli perché tanto quello che conta è l’integrazione nella classe e un po’ di cultura per tutti e non la scuola funzionale alla competizione economicistica”.

La Cina degli eredi di Deng Xiao Ping è agli antipodi di questo laisser aller postsessantottino che affligge (chi più chi meno) un po’ tutti i Paesi occidentali. Nella cultura orientale (lo stesso discorso vale anche per il Giappone e la Corea) c’è sicuramente una forte componente comunitaria, un senso di appartenenza al gruppo (alla famiglia, al clan, alla ditta, alla nazione) molto più forte che nell’odierno Occidente, ma questo convive con uno spiccato senso della competizione, una competizione che può essere (per occhi occidentali un po’ “rammolliti”) anche abbastanza dura. Questo in specie nella scuola e nell’educazione dei giovani, dove vigono in genere regole ferree, che sono imposte forse più dalle famiglie che dallo Stato, ma anche quest’ultimo ne prende atto e non sta quindi a correre dietro ai ragazzi che restano indietro; i ragazzi che restano indietro saranno operai poco qualificati e poco pagati e non ci si cura più di tanto del loro destino; per contro grande attenzione viene data al miglioramento del livello delle università, della ricerca e del progresso tecnologico e scientifico. Insomma, la Cina comunista punta sulla scuola d’élite e la vuole di prima qualità; questo è visto come un compito nel supremo interesse nazionale. Altro che vagheggiamenti sessantottini ritardati sulla necessità di portare tutti a un certo livello (N.B.: tendenzialmente basso) eccetera eccetera.

Quindi, è vero forse che dovremmo imparare qualcosa dalla mentalità orientale (e anche dal modo orientale di educare i figli). Ma ciò non porterebbe certo nel senso di combattere i livelli, la meritocrazia, lo sforzo e la competizione; semmai porterebbe proprio all’opposto: restaurare un po’ d’autorità (nelle famiglie e nella scuola), ripristinare un po’ di disciplina nella scuola, promuovere maggiore applicazione allo studio, anche attraverso una selezione puntuale (che non è beninteso un fine in sé stesso, ma un mezzo per favorire l’applicazione e la riuscita scolastica). Quanto postulato da Savoia, Bertoli e Leoni è dunque ideologia stantìa e marcescente, fuffa di nessun valore e buona sola per abbindolare gli sciocchi.

Il signor Leoni faceva un discorso particolarmente sconclusionato, portando la sua biografia personale a dimostrazione che i livelli e la selezione nella scuola media non sono efficaci. A parte il fatto che non si può valutare la bontà di una prassi o di una norma basandosi solo sulla propria esperienza soggettiva, ma il discorso di Leoni comunque non regge: in sostanza egli diceva: io avevo difficoltà a seguire nella scuola media, ma non ero stupido perché nel seguito mi sono arrangiato non male, facendomi strada come giornalista eccetera. E allora? Non sarà mica l’unico che stentava a scuola e poi nella vita ha recuperato: ma questo non prova che bisogna rendere meno esigente la scuola! Leoni dice: a quell’età non ha senso fare selezione, perché non si è maturi; bisogna farla semmai più tardi. E io rispondo: quando più tardi? Quando si è nonni? Proprio l’esempio cinese e l’odierna competizione globale dimostrano che non c’è tempo da perdere, non si può impiegare quindici anni a imparare ciò che altrove viene appreso in 10. Eppoi, il dramma vero è che la scuola media in cui Leoni dice di avere avuto difficoltà, non era per nulla selettiva…

Certo che i livelli non sono il toccasana, ma ci vorrebbe ben altro. Personalmente su questo giornale ho già detto la mia opinione su quella che sarebbe una opportuna riforma della griglia oraria e delle modalità di insegnamento delle lingue straniere (in particolare del tedesco). E mi ha fatto piacere che l’on. Bertoli ultimamente abbia detto, sia pure timidamente e con prudenza, qualcosa di analogo: egli ha infatti auspicato un alleggerimento della griglia oraria e ha pure deciso (se abbiamo ben capito) di diminuire di un’ora l’inglese in terza media. Una timida, modestissima misura, ma che va nella giusta direzione: non ha senso infatti caricare l’allievo di due o tre o quattro lingue, ma non dargli solide basi in nessuna di esse! Occorrerà un bel giorno arrivare a una riforma radicale di questo settore. In conclusione: i livelli non sono il nec plus ultra, ma abolirli sarebbe una sciocchezza. Sarebbe come, a un malato sofferente in ospedale che i medici non sono in grado di guarire del tutto, se gli si togliesse pure le cure palliative che gli attenuano i dolori…

Relatore

View Comments

  • Discutiamo in gran parte su impressioni, più o meno ragionate. Da ciò il semplicismo di certe diagnosi, il prevalere delle formule ideologiche senza sforzo di analisi, l'immediatismo politico ingenuamente fiducioso nella possibilità di facile soluzione dei problemi: la povertà del dibattito, la sua accentuata ideologizzazione. Per ipotesi: è corretto concepire l'insegnante come uno che non sia più servo d'un sistema, ma sia servo d'un altro? Il che vale a dire: si deve arrivare a una scuola critica, o per rinnovare la scuola basta sostituire un tipo di dogmatismo con un altro? Non mi riferisco soltanto all'elemento ideologico: idealismo/marxismo/liberalismo, per esempio. Ma se sia soddisfacente (per avere un insegnamento nuovo) che all’ormai remoto predominio dell'idealismo si dia rilevanza all'egemonia delle discipline umanistiche oppure alle discipline linguistiche, economiche o che il tutto venga sostituito con quelle scientifiche. Anche i termini "primario/superiore/professionale/scientifico" sono carichi di significati discriminatori. La stessa professione dell'insegnante è troppo gerarchizzata, come se il suo livello dovesse essere misurato in base all'età e al livello degli allievi. Chi insegna materie classiche ai giovani di diciotto anni è più considerato di chi istruisce in una scuola professionale ragazzi di quindici. Insegnare matematica in un liceo dà più prestigio che insegnare a leggere e a scrivere a marmocchi di sei anni. Puntuali, purtroppo, sono le banalità ricorrenti nei discorsi e l'inconsistenza dei rimedi che solitamente si propongono, spesso in disquisizioni narcisistiche. Ciò spiega la superficialità delle diagnosi compiute da uomini politici e talvolta la loro stupefacente insensibilità ai significati basilari. Quand'anche fosse vero che i contestatori della Scuola pubblica rappresentano, in un modo o nell'altro, la richiesta della libertà d'insegnamento, che cosa rappresentano i non contestatori? Semplicemente il momento della supina, acquiescenza al « sistema» al suo perdurante formalismo? Risposta troppo vaga questa, che comunque non ci dà la possibilità di comprendere cos'è la realtà della scuola, attualmente. E' senza dubbio difficilissimo imporre oggi, in modo chiaro e distinto il problema dell'insegnamento. Ci si riesce solo in modo parziale. La crisi di questa complessa realtà risiede nel fatto che la scuola non si lascia afferrare in due parole e neppure in ventimila. Del resto, manca tuttora una descrizione imparziale e integra della situazione, cosi come manca una soddisfacente ricostruzione del passato della nostra scuola. In questo campo, come in qualsiasi altro, indietro non si può tornare: ma la questione è: cosa si deve fare per andare avanti? E' davvero giusto che si vada avanti insistendo nel giudicare centrali certi elementi pedagogici mentre potrebbero essere storicamente superati? Chi studiava le "lingue morte" e la lingua colta sentiva allora di affermarsi entrando in una élite: processo che dà sempre una forte gratificazione e una sicura coscienza di corretto rapporto con la realtà. Questa funzione sociale conservatrice del liceo è oggi venuta meno. In passato si chiedeva all'insegnante di servire da serbatoio di nozioni manualistiche ed enciclopediche. Far passare insomma proprio quelle nozioni "utili", dunque, che costituivano, se prese in sé e considerate valore assoluto, la caratteristica tipica d'una scuola e d'una cultura categoriche e indiscutibili. Il compito era chiaro e forse anche più semplice. Che il problema fosse di chiedere poi all'insegnante d'assolvere il suo compito naturale, cioè di trovare un equilibrio formale per costruire su basi ammodernate un sistema d'insegnamento e d'apprendimento ordinato sia culturalmente ricco e socialmente utile, se ne parlò molto più tardi. Le gerarchie, attuali o sopravvissute, si riflettono sull, strutture scolastiche. Questo non sono che alcuni esempi rivelatori però di quante trappole il travagliato cammino dell'insegnamento abbia incontrato (e incontri) di fronte a sé. Quot capita, tot sententiae. E mi ci metto anch'io.

    • Se tu non sei un docente, sono disposto a mangiarmi
      un intero mazzo di carte da bridge, plastificate.

      Ciò che scrivi è interessante, anche se
      - in un ragionevole tempo di lettura del tuo pezzo -
      Federer riesce a giocare quattro o cinque set.

      • Grazie per l'accostamento iperbolico con Federer. Lì siamo a... livelli :wink: irraggiungibili. Poi le carte plastificate sono immangiabili, perfino indigeste, dicono. Meglio un risottino alla Locanda del Boschetto. :)

        • Ci vado abbastanza spesso. A Lady Ripper piace,
          e anche a me.

          Buon pesce al naturale, senza troppi intingoli.
          Spaghetti alle vongole.

        • magari dicevano: "Mach doch nicht den Querulant"; fortuna che me la bulleggio anche con il mio tedesco.

          • Era riferito al tuo commento: "Ciò che scrivi è interessante, anche se
            - in un ragionevole tempo di lettura del tuo pezzo -
            Federer riesce a giocare quattro o cinque set.". Il Querulant non sei certo tu :wink:

  • 8-O 8-O

    Ma sì dai, ul dialett e un po' de taglian*** i basta e i vanza.

    L'inglees? Chi se ne frega!

    *** anca con denta eruur, basta che us capis ul concett.

    8-O 8-O

    ... vetero-"boarismo" :mrgreen:

  • "Pure Bertoli, ..., si è detto favorevole all’abolizione a medio termine dei livelli, che dovrebbero essere compensati (udite, udite!) dalla diminuzione degli allievi per classe e da un potenziamento del sostegno pedagogico..."

    È ancora un mistero per qualcuno che i livelli in alcune sedi vengono usati come spartiacque per togliere gli allievi "che disturbano" (tra i quali anche molti allievi dotati - annoiati - e quindi con il tempo per disturbare...) dalle classi di livello A? Ecco la conferma ...

    • Non semplifichiamo troppo la questione; una sana assunzione di responsabilità da parte dell'allievo è auspicabile. I casi a cui ti riferisci (svogliato, ma estremamente dotato) sono una minoranza e mi dispiace, ma è giusto che la meritocrazia giochi un ruolo e all'interno dei livelli A e all'interno dei livelli B.

      • Che poi Bertoli voglia introdurre gli emoticon al posto delle note o dei livelli... Mah; finiremo per fare ancora più pena nel confronto intercantonale. Tutti mediocri = tutti più felici? Ho i miei seri dubbi.

      • "Non semplifichiamo troppo la questione" ???
        "I casi a cui ti riferisci (svogliato, ma estremamente dotato) sono una minoranza" ???

        Vai a chieder ai genitori, magari? Peccato che onsigli di classe non siano pubblici... forse allora qualcuno si sveglierebbe.

        Tengo a precisare che sono per la differenziazione dell'insegnamento, per una corretta valutazione delle capacità e per la responsabilizzazione dell'allievo.
        E dato che so di quello che parlo perché ho insegnato e ho figli passati di lì, ti posso dire che un conto è il bla-bla-bla e un conto è quello che veramente succede nelle sedi.
        1) lo stesso allievo in una sede riceve la licenza , in un'altra no a dipendenza dell'aria che tira tra i docenti
        2) lo stesso allievo in una sede avrebbe una media del 3 a tedesco e in un'altra avrebbe quella del 5 , a dipendenza del docente!
        3) lo stesso allievo si trovrebbe nei livelli A o B in questa o quella sede a dipendenza di quanti altri sono in A o B (perché le classi si devono pur fare... e i docenti occupare...)
        4) lo stesso allievo in sedi diverse a pochi km di distanza uscirebbe preparato in tedesco oppure no

        Questi sono i problemi veri che fanno dei livelli un sistema teoricamente valido, ma che viene applicato in maniera aberrante! Ecco dove è il problema, ma guai ad andare a vedere cosa succede realmente, perché tutti si guardano bene da fare monitoraggi e comparazionei del genere...

        COnclusione: i livelli A e B sono un falso problema. È tutto l'inquadramento dei docenti e delle sedi che balla nel manico...

  • E ha senso (e eccome!) puntare sulle lingue; altrimenti saremo solo degli altri svizzero tedeschi, senza nessuna peculiarità. L'inglese lo parlano ormai tutti: teniamoci stretti il nostro italiano, il nostro francese e il nostro tedesco... ma soprattutto l'italiano (e qua mi permetto di parlare per esperienza personale).

    Meglio un'infarinatura di più lingue, che non puntare su una o due in particolare; non facciamo lo stesso errore che sta commettendo il resto della Svizzera. Le lingue sono tutto. TUTTO.

    • Le lingue sono tutto. TUTTO. Sei un entusiasta!

      Non esageriamo. C'è la matematica, il bosone di Higgs,
      gli scacchi, il bridge,
      i pasticcini del Grand Café al Porto,
      gli spaghetti alle vongole della Locanda del Boschetto.

      E l'amore.

      • Sono realista: con quattro lingue e basta puoi fare una miriade di lavori; con la matematica e una lingua molti di meno.
        E poi mi stavo limitando all'ambito professionale; altrimenti avrei detto che Panton, le case study houses, i libri, i giornali e il buon pesce sono tutto, TUTTO.

        • Io sono FAVOREVOLE alle lingue.

          Alle lingue, moderne e antiche, alla letteratura,
          alla poesia, al teatro, eccetera.

          Ho frequentato quest'anno i corsi
          di Ebraico 2 e Greco antico 2.
          Naturalmente avevo dieci o quindici anni in più
          degli studenti "normali"
          ma mi hanno accettato lo stesso.

  • Studi datati di qualche decennio hanno dimostrato, per quanto attiene alla cosiddetta lingua madre, che i codici di utilizzo della stessa possono influenzare la costruzione dello "stile ragionativo" di un individuo. Questi studi ipotizzano che il ritardo educativo osservato negli scolari appartenenti a ambienti popolari con stimoli culturali limitati, sono anche trasmessi e sostenuti attraverso gli effetti dell'elaborazione linguistica. Anche se non vengono descritte tecniche educative specifiche (eccetto la drastica riduzione delle dimensioni delle classi scolastiche) per permettere a un utente di un codice ristretto di aver successo a scuola, si suggerisce che quali che siano i metodi usati non si deve sottovalutare il linguaggio appreso dalla nascita unisce il suo utente alla propria famiglia e al proprio gruppo sociale. Questo linguaggio tende ad essere verbalmente limitato, ristretto alla comunicazione con coloro che condividono la stessa cerchia di vita quotidiana. E' caratterizzato da rigidità di sintassi e da ristrette possibilità formali per l'organizzazione verbale. Anche se questa forma espressiva conserva la « potente schiettezza e vitalità » di un codice personale, nell'uso quotidiano di questa forma linguistica il bambino è progressivamente orientato verso un livello relativamente basso di concettualizzazione. Viceversa il linguaggio della scuola è un linguaggio formale che utilizza un codice elaborato ed è variato nella sua struttura sintattica, permette la comunicazione di sequenze logiche ed organizzate, offre un' ampia gamma di possibilità di scelta soprattutto (esclusivamente) agli utenti già abituati alla sua utilizzazione. La scuola chiede all'allievo di usare il linguaggio in maniera diversa, qualificare verbalmente la sua esperienza individuale, allargare il suo vocabolario, aumentare la lunghezza della sua funzione di pianificazione. Senza dimenticare che i tentativi di cambiare il sistema di linguaggio parlato dei bambini provenienti da ambienti linguisticamente fragili, incontreranno grande resistenza, passiva e attiva. La scuola si trova così confrontata col tentativo di cambiare uno schema di apprendimento, un sistema di orientamento, che il linguaggio ha sollecitato originariamente e rinforzato progressivamente. Con queste argomentazioni, piuttosto difficili, ho tentato (spero) di spiegare come può essere condizionato l'apprendimento (in condizioni di “normalità”) anche solo dal possesso o meno di un codice linguistico elaborato/ristretto, spesso cardine incognito del successo/insuccesso scolastico.

    Se questo vale per la lingua madre, possiamo immaginare tutto il resto.

    Quindi,se ho capito bene, per questa volta potrei trovarmi d'accordo con EagleOwl.

      • Io desidero "dare qualcosa di me" al mio prossimo.
        È un impulso perfettamente normale.

        E penso di avere qualcosa da dare.

        • leggere è un requisito necessario per scrivere in maniera grammaticalmente corretta, dal punto di vista del contenuto interessante e stilisticamente piacevole.

          • Leggo Tacito TUTTE LE SERE (nell'originale)
            prima di addormentarmi

            SOPRATTUTTO I CRIMINI DI NERONE!

          • e giusto per precisare: non è che legga chissà quali tomi di chissà quali autori degni di citazione a un congresso di partito; basta un libro qualsiasi, magari scelto per la grafica in copertina o per il titolo accattivante. se uno è un minimo curioso, troverà in un libro da autogrill almeno una decina di spunti interessanti per dare un'occhiata a temi, oggetti, luoghi o personaggi di cui magari ignorava l'esistenza.

  • Il tuo sfogo "Scallop" non credo porti a soluzioni. Visto che hai insegnato, ci si attenderebbe (da un insegnante :!: ) di leggere delle proposte concrete. Bla bla bla è anche il criticare per distruggere.

    Il mio bla bla bla, tenta almeno di proporre dei chiarimenti, valutare alcuni fatti e cercare delle alternative. Senza essere... insegnante.

    In fondo ogni politica educativa riflette le opzioni di una comunità e l'idea che essa si fa del suo futuro. E altrettanto ovvio che una politica della scuola non si esaurisce nell'enunciare alcuni grandi principi direttivi. Essa deve individuare un insieme di obiettivi specifici tra loro concatenati:

    obiettivi di ordine filosofico e culturale, che riflettano una certa concezione dell'uomo;

    obiettivi politici che corrispondano alle grandi opzioni della comunità nazionale/internazionale;

    obiettivi socio economici che fissino le mete da raggiungere in funzione di un certo concetto della società;

    obiettivi di educazione in senso lato che definiscano i grandi orientamenti da dare al sistema scolastico perché la società nel suo insieme possa conseguire i fini educativi che la concernono;

    obiettivi scolastici veri e propri che traducano gli orientamenti specifici per i diversi tipi e livelli di istituzione e procedure del sistema scolastico.

    Determinati i fini, non basta catalogarli: occorre distribuirli con criteri condivisi e inserirli in un tutto articolato che solo allora merita il nome di politica dell'educazione. Questo per quanto attiene alla Scuola pubblica. Orientamenti che, con ovvie difficoltà, la Scuola ticinese statale tenta dichiarire e cerca di rispettare.

    Adesso veniamo alle alternative. Molti blogger di ticinolive sono per la scuola privata.

    Per quanto attiene alle Scuole private operanti nel Cantone, che qualcuno vorrebbe definire con un ossimoro “Scuole-pubbliche-private” non conosciamo ancora (sarebbe interessante conoscerli) gli obiettivi globali di cui sopra, se non quelli immediati di ottenere sussidi statali. Il suggerimento che mi sento di proporre è questo: in una sana logica di mercato (sbandierata dai fautori privatisti ultraliberali) la scuola privata dovrebbe (invece di insistere sul mono(tono)tema del finanziamento statale... "Querulantemente" mi verrebbe da dire) a) divulgare in modo chiaro e trasparente gli obiettivi sopra-elencati, b) riuscire a dare risposte migliori di quella pubblica, c) essere in grado di rilasciare diplomi che diano potenzialità maggiori in confronto a quelli della scuola pubblica, quindi d)diventare concretamente attrattiva al fine di convincere della sua effettiva superiorità.

    A quel punto la Scuola pubblica statale non avrà altra possibilità che adeguarsi alla formula vincente...oppure chiudere...

    • Non c'era neanche bisogno di sottolineare che non sei o sei stato insegnante. Si capisce lo stesso. Forse un paio di annetti alle Medie ti farebbero ritornare sulla terra e forse ti chiarirebbero come funzionano le cose. Poi torni a bloggare e mi racconti.

      • Che bello tutto 'sto affollamento di insegnanti sul blog.
        Anch'io sono un insegnante.

        Mi sembra di essere ritornato a Lugano 1 !

  • Caro insegnante "scallop",
    sono profondamente convinto che una delle componenti fondamentali della personalità di un insegnante sia la motivazione. Se insegnare alle Medie lo ritieni così frustrante, cambia mestiere.

    Farà bene a te e soprattutto farà bene agli allievi. E farà bene pure al contribuente, ai genitori, alla Scuola pubblica, ai tuoi colleghi che si battono ogni giorno per migliorare il loro ruolo, alla disciplina che insegni, a un incaricato che possa prendere il tuo posto, al tuo Consiglio di classe che si libera di un collega demotivato.

    La tua presenza viceversa aiuta i nemici della Scuola pubblica, i fautori del privato, gli allergici a tutto quello che “profuma” Stato (compresi stipendi e pensioni), i disfattisti di professione, pure quelli che dallo Stato hanno ricevuto molto, ma hanno solo preteso e oggi gli sono avversari.

    • Openside, non hai proprio capito nulla. Che io insegni o che ritenga frustrante insegnare l'hai detto tu, non io. Ma da grande esperto che sei, sputi senzenze su tutti e tutto. I fatti sono i fatti, e chi sta nelle sedi i problemi li vive di propria persona, così come i genitori che non riescono a capire da che parte girarsi. Purtroppo molti problemi sono causati, ripeto, da un'inquadramento inestistente del corpo docente, il ché permette l'interpretazione a largo raggio (interpretazione personale, interpretazione di sede, interpretazione di una nota piuttosto che un'altra). Come vengono interpretati e usati certi "attrezzi" dell'organizzazione scolastica, vedi livelli, è il grosso problema, con tutte le conseguenze. Il problema non è stare in classe, dove almeno la motivazione viene ripagata! È tutto il contorno che ammazza il lavoro e irisultati ottenuti dagli insegnanti migliori!

      • Caro "scallop" mi fa piacere sentire che tu abbia capito tutto.(6-) Buon per te.(6) Tuttavia il concetto di frustrazione cioé il significato etimologico di "frustrazione" potrebbe essere di "delusione per il mancato appagamento di un'aspettativa; sensazione di inutilità". Mi sembra di "intuire" che i tuoi post vadano appunto in questa direzione.(4-) Ti lamenti dell'impossibilità di agire perché "gli attrezzi del mestiere" vengono usati utilizzando logiche non coincidenti.(4+) Tu li vorresti più scientifici (5++) più omogenei.(4-) Anche se devo comunque ammettere che c'è un miglioramento di analisi nella sequenza dei tuoi post (5+) mi viene spontaneo suggerirti che dopo le diagnosi bisognerebbe indicare le terapie. Forza! :wink:

        Cambiamo discorso, ma non troppo...

        Anni fa, gli uomini di cultura godevano ancora di un certo rispetto. Anche i docenti, indirettamente, ne fruivano. Lentamente e inesorabilmente quel rispetto venne sottoposto a un processo di lenta erosione di cui si raccolgono oggi - anche nella scuola - i frutti più maturi. Ad avviarlo fu in primo luogo (seppure non esclusivamente) il nuovo corso politico populista. L'arroganza, l'insulto, la derisione, 1'attacco personale, divennero il trofeo da esibire per il militante impegnato a distruggere. Ragionevolezza e fair play cominciavano ad essere considerati segni di debolezza. Nel giro di pochi anni l'intellettuale divenne - agli occhi del grande pubblico una figura patetica, sorpassata e insopportabile. Chi perde il proprio tempo a leggere libri è una persona un po' sospetta , che non sa fare i conti con la realtà! Ti sembrava di leggere nello sguardo dei più. Un clima del genere non poteva non avere conseguenze sull'atteggiamento dei ragazzi nei confronti del sapere, e di riflesso sulla quotidianità degli insegnanti.

        • "Lentamente e inesorabilmente quel rispetto venne sottoposto a un processo di lenta erosione di cui si raccolgono oggi (...)"

          Scrivi bene, la sai lunga ma...
          non sei sufficientemente lucido.

          LA PRIMA COSA DA DIRE (poi seguiranno la seconda e la terza)
          è che I DOCENTI STESSI
          hanno una grave responsabilità
          nella perdita di prestigio della loro categoria.

        • ... i nemici della Scuola pubblica...
          ... Ad avviarlo fu in primo luogo (seppure non esclusivamente) il nuovo corso politico populista...
          Ora è chiaro dove vogliamo arrivare... :wink:

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