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Il sindacato di Topolino – Carlo Curti

Si sa che in tempi difficili le rivendicazioni stagnano, padroni e padroncini stringono, i lavoratori non fiatano e i sindacati bisbigliano; tutti con motivazioni plausibili. I primi per non intaccare i guadagni, i secondi per non restare a casa e gli ultimi per non tirare troppo la corda, perché, dicono convinti, siamo tutti sulla stessa barca.
Ma è proprio vero? Vediamo.

Cominciamo dalla barca che certamente è la medesima, come sempre gli stessi sono quelli al comando e coloro che la fanno muovere. Più che una barca è una trireme fenicia o romana con neanche le murate per impedire ai rematori di cadere in mare o di soccombere di fronte ai colpi del nemico.
Nemico? Ma quale nemico! Sul tema il sindacato è stato chiaro: Nessun nemico ma partner sociale o, nei casi più scabrosi, controparte.
Così quello che negli anni settanta era la “cinghia di trasmissione” fra partiti di opposizione e mondo del lavoro si è riconvertito (bel termine, alla moda!) in associazione per il promovimento dello sviluppo e condivisione sociale.

Insomma hanno tolto le murate alla barca e, da subito, ogni rematore può finire in mare (licenziato, per dirla tonda). Come interpretare altrimenti la definizione che i vertici del maggior sindacato nazionale danno di loro stessi: Importante e moderna organizzazione dei lavoratori che opera in favore di una maggiore partecipazione dei suoi membri alla concezione di un futuro mondo del lavoro.

In breve, azienda più che sindacato, con risultati sul grado di partecipazione raggiunto stabilmente sotto lo zero e parametri per un futuro migliore stimati in anni luce.
Allora? O i lavoratori decidono, democraticamente, che possono essere chiamati anche schiavi (salari ridicoli, straordinari gratuiti, diritti al lumicino e contratti collettivi aggirati) e si va avanti di questo passo, oppure si danno una mossa e (per cominciare) passano dal mugugno alla frase tuonante, aperta, decisa, come quell’operaio turco che, battendo il pugno sul bancone della sezione, intimò: ”Mi avevate detto che si poteva andare avanti; adesso muovetevi o da me non prendete più un centesimo!”.

Certo, una sfuriata non è una risoluzione strategica né un programma di lotta ma (se condiviso e diffuso) può servire a rivitalizzare l’ambiente, divenuto col tempo una vera e propria camera ardente, oltre a lanciare segnali meno concilianti alle insospettabili “gole profonde” che si annidano nelle sedi regionali, dove limano, smussano e annacquano la già flebile determinazione dei salariati.
Sì perché nel sindacato non è che manchino i “pesi massimi”, tutt’altro; è che questi concentrano tutta la loro pressione nelle poltrone girevoli dei loro uffici.

Carlo Curti, Lugano

Redazione

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