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Negli ultimi tempi sono andate aumentando le pressioni sulla Svizzera, da parte di altri Stati e di organismi sovranazionali, in diversi ambiti, soprattutto economico.
In un continente, quello europeo, entrato ormai in una perniciosa fase di declino e dove vi sono nazioni i cui tracimanti debiti pubblici hanno portato a situazioni di bancarotta (dichiarata o meno), il nostro paese rappresenta indubbiamente una delle poche eccezioni di finanze pubbliche “virtuose” e di vantaggi competitivi che hanno contribuito ad una situazione di diffuso benessere.

Da qualche anno, però, anche per le sue attrattive, la Svizzera,con la sua piazza finanziaria leader mondiale nella gestione patrimoniale, è diventata il bersaglio privilegiato degli attacchi di alcuni paesi ed enti sovranazionali (UE, Stati Uniti e OCSE in primis) dagli appetiti voraci, mascherati spesso da motivi cosiddetti etici e morali, tornati oggi di gran moda (purtroppo la storia ci ha insegnato che in nome di questi valori sono state talvolta commesse nefandezze di incommensurabile grandezza).
In un interessante editoriale de “L’Agefi” di qualche giorno fa veniva messo bene in luce cosa sottenda questa “morale fiscale” nella guerra al segreto bancario.
L’offensiva messa in atto, soprattutto da parte statunitense, rientra, né più né meno, in una guerra economica, che colpisce e discredita la concorrenza e che l’editorialista indica aver avuto finora tre tappe molto chiare: lo scandalo dei fondi ebraici, la guerra al riciclaggioe ora quella all’evasione fiscale.
A chi ribatte che in un mondo globalizzato certe specificità non hanno più ragion d’essere, bisognerebbe ricordare che né gli Stati Uniti – al cui interno vi sono comunque Stati che rappresentano di fatto dei piccoli paradisi fiscali – né tanto meno la traballante UE potrebbero mai permettersi di fare la voce grossa oltre misura con importanti piazze finanziarie come Hong Kong o Singapore. E infatti non la fanno. Altro che morale fiscale!

Prendendo spunto da quanto sta avvenendo in ambito di fiscalità bilaterale e valutando soprattutto come hanno reagito, o non reagito, i nostri governanti – confrontati indubbiamente con problemi nuovi e per certi versi eccezionali – non c’è davvero da stare allegri.
Ultimamente, oltre agli ambiti citati poc’anzi, le specificità elvetiche sono state scalfite o rimesse in discussione, con il tentativo di omologare elementi della nostra legislazione a quella, per esempio, dell’UE.
Tutto questo rischia di toccare anche la sovranità di uno Stato, un tema non politicamente corretto (chi mai oserebbe oggidì parlare di “sovranità”?), rilanciato recentemente – e fortunatamente – in una pubblicazione del diplomatico svizzero Johannes Kunz, che mette in luce i rischi per l’autonomia e il potere decisionale, generati dagli interventi e dalle pressioni delle organizzazioni internazionali, dell’UE, delle ONG e via discorrendo.

Non viviamo isolati in un’isola felice, questo lo sanno tutti, e la cooperazione con gli altri paesi è necessaria e indispensabile.
Abbiamo dimostrato di essere un paese aperto in più ambiti e solidale, nei fatti e non solo nelle declamate parole di qualche alto funzionario, ma vogliamo però mantenere e difendere il nostro sistema federale, le nostre prerogative e quanto il popolo sovrano (ci risiamo – e ben contenti – ancora una volta con la sovranità!) ha sancito.
Il commercio con l’estero è indubbiamente un tassello portante della nostra economia,che ha saputo aprirsi ad aree ben più estese di quelle del Vecchio continente europeo. Nell’ambito dei rapporti bilaterali con l’UE, oltre alla delicata questione fiscale, vi sono altri dossier importanti sul tappeto, quali quello dell’elettricità e dell’energia.
Su alcuni temi delicati, l’impressione generale è che la nostra classe politica abbia finora fatto poco o nulla per contrastare certe pressioni. Ha infatti spesso ottemperato alle richieste che venivano dall’estero, sdoganandole talvolta come inappuntabili .
Già, la nostra classe politica e il nostro Consiglio Federale!
Sulla recente elezione di quest’ultimo c’è semplicemente da rabbrividire, e non solo per le attuali basse temperature stagionali, poiché quello uscito dal voto delle Camere federali non rappresenta la volontà popolare espressa a chiare lettere dalle urne.
C’è dunque una crisi di rappresentanza, che rischia di trasformarsi in una crisi di funzionamento istituzionale.
Tutto questo potrà continuare a lungo? Difficile rispondere, in un momento come quello attuale in cui, invece di certe figure messe in ruoli chiave da pastette e fronde partitiche, avremmo davvero bisogno di una vera leadership in grado di far fronte alle sfide che provengono da più parti.

Iris Canonica