Migliaia di persone d’origine turca, provenienti in prevalenza dalla Francia, dal Belgio, dai Paesi Bassi e dal Lussemburgo, hanno manifestato sabato 21 gennaio a Parigi contro il voto previsto lunedì al Senato francese di una legge che penalizza la negazione del genocidio armeno del 1915.
“Manifestiamo per denunciare questa persecuzione. Sta succedendo qualcosa di molto grave – ha spiegato Ahmet Ogras, uno degli organizzatori della protesta – Gli armeni esercitano un lobbismo presso i senatori, sulla cui testa pende una spada di Damocle, sia che si pronuncino a favore o contro questa legge.”
La proposta di legge ha provocato una seria crisi diplomatca tra Parigi e Ankara; il suo testo prevede di punire con un anno di carcere e 45’000 euro di multa chi nega un genocidio riconosciuto dalla legge francese, come appunto il genocidio armeno.
All’inizio del 20esimo secolo, nell’Impero ottomano si contavano circa 2 milioni di armeni in maggioranza cristiano-ortodossi. Erano sostenuti dalla Russia nella loro lotta per l’indipendenza, poiché la Russia aspirava ad indebolire l’Impero ottomano per annetterne dei territori.
Nel 1915 migliaia e migliaia di armeni vennero deportati verso i campi di concentramento nell’interno dell’Anatolia (l’odierna Turchia asiatica). Queste cosidette marce della morte, organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco in collegamento con l’esercito turco, coinvolsero oltre un milione di persone e centinaia di migliaia di deportati morirono per fame, malattia o sfinimento.
A questo si fa riferimento quando si parla di “secondo genocidio armeno.”
Il “primo genocidio armeno” ebbe luogo fra il 1894 e il 1896, quando migliaia di armeni vennero uccisi a seguito di una ribellione contro l’autorità ottomana.
A tutt’oggi sono 20 gli Stati che hanno ufficialmente riconosciuto il genocidio armeno (il primo e il secondo): Argentina, Armenia, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Città del Vaticano e Venezuela.
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