Egitto. La rivoluzione tradita. E’ la frase che si legge su molti giornali, che si sente in molti servizi televisivi. Non è ripetizione di una frase ad effetto, è piuttosto l’unica maniera per commentare i disordini che da sabato scorso incendiano il centro del Cairo.

L’11 febbraio, dopo giorni di manifestazioni, il presidente egiziano Hosni Moubarak si era dimesso e il potere era passato ai militari. I manifestanti che allora esultavano urlando gioiosi “siamo liberi!” oggi sono di nuovo in Piazza Tahrir per urlare “vattene!” contro il governo militare.
Un governo che ha sì organizzato elezioni legislative e presidenziali ma che si è garantito una lunga permanenza nel potere con leggi ad hoc.
Le elezioni legislative inizieranno fra una settimana e a tappe si svolgeranno nell’arco di tre mesi. Le elezioni presidenziali inizieranno alla fine del 2012.

Ieri negli scontri sono stati uccisi 11 manifestanti, che si aggiungono ai due morti di sabato. I feriti ormai non si contano più. Gli arresti nemmeno. Domenica mattina le proteste sembravano essersi calmate ma poi sono riprese con forza.
In Piazza Tahrir migliaia di persone affrontavano la polizia militare. Molotov, sassi e barricate da una parte, gas lacrimogeni, proiettili in gomma e proiettili veri dall’altra.
Le autorità hanno lodato il lavoro delle forze dell’ordine ma nel governo vi sono le prime defezioni. Si è dimesso il ministro della Cultura per protestare contro la violenta repressione.

La candidata alle presidenziali Bothaina Kamel, giornalista e attivista 49enne, ha confermato che sabato la polizia mirava agli occhi dei manifestanti, soprattutto dei giovani.
La rivoluzione è più viva che mai e lo sarà fino a quando il potere resterà ai militari. Sino ad allora i manifestanti rimarranno in Piazza Tahrir, esattamente come fecero quando il nemico si chiamava Hosni Moubarak e la sua partenza faceva sperare in un Egitto libero e democratico.

Piazza Tahrir, al Cairo, 18 novembre