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di Beat Kappeler, economista

Risparmiare significherà: assicurazioni collettive per anziani, disoccupati, madri, invalidi, malattia, bisognosi di cura, finanziati direttamente dai cittadini. Ciò significa che possono essere assicurate solo prestazioni minime. Ciò a sua volta significa formule correttive automatiche per le prestazioni sociali quando gli introiti vengono a mancare.
Significa che queste assicurazioni possono essere anche private, senza scopo di lucro e di propria scelta, come le Casse malati o le Casse pensione in Svizzera, o del tutto private.
È grave? Nemmeno per sogno. Visto il chiaro fallimento delle istanze politiche che hanno creato «insicurezza sociale» per 400 milioni d’europei, si tratta piuttosto di una prospettiva liberatrice.

Risparmiare significa la fine della compensazione d’ogni fluttuazione economica con sempre nuovi disavanzi statali. Negli anni buoni i disavanzi non sono mai stati ammortizzati, cosicché gli Stati occidentali con ogni fase debole della congiuntura si sono indebitati di più.
Ora il conto degli interessi composti li spinge nell’abisso. Da ciò risulta chiaramente che gli incentivi della domanda, nelle economie nazionali liberali non sono efficaci, poiché sostengono solo vecchie industrie esistenti; inoltre se le spese correnti coprono già la metà del prodotto interno, devono risultare ancora più ingenti, per ottenere almeno un risultato visibile, cosa che aggrava ancora di più i problemi esistenti.

In futuro la domanda non potrà più essere sostenuta da progetti d’infrastruttura statali e da occupazione pubblica. Si dovrà piuttosto incoraggiare gli imprenditori, piccoli e grandi, a creare posti di lavoro – con tasse esigue, poche prescrizioni, con la possibilità di disdetta del personale, con debole inflazione e con ciò anche con tassi d’interesse bassi. In poche parole si promuove l’offerta degli imprenditori invece della domanda amorfa dei consumatori passivi. Così, cedendo anche la costosa ridistribuzione statale dei diritti commerciali dei proprietari e degli imprenditori a favore degli «Stakeholder» [gruppi interessati al decorso o al risultato di un processo], si è giunti al punto di non ritorno.

Il mercato del lavoro degli Stati europei è un campo d’applicazione speciale. I severi divieti di disdetta, il capovolgimento degli oneri di prova in caso d’assunzioni e discriminazioni, le attribuzioni di quote per donne, invalidi, apprendisti, la livellazione dei salari tra personale qualificato e non, tutto questo ha ridotto il numero di assunzioni e ha costretto molti impiegati a lavorare sotto forme precarie come lavoro temporaneo, stage o contratti a tempo determinato. Anche per questo la disoccupazione è aumentata e aumenta ancora – in contrasto con lo sviluppo in paesi liberi come la Svizzera, la Danimarca, il Giappone, e l’area asiatica.
Dove però il tasso di disoccupazione è ridotto, dove cioè le ditte devono far propaganda per trovare forze lavorative, ai lavoratori non serve una protezione politica con leggi che regolano la disdetta, la partecipazione alla gestione, le cause di mobbing, il posto di lavoro, la burocrazia e i controlli. Anche i sindacati sono efficienti senza sostegni statali. Solo nel caso di disoccupazione d’origine politica servono di continuo nuove prescrizioni di protezione. Inoltre bisogna dire che molte prescrizioni limitano i diritti dei lavoratori invece di promuoverli.
Restrizioni degli orari lavorativi, divieti di prestare ore supplementari, permessi di lavoro, richiesta di diplomi, non sono in ultima analisi altro che barriere d’accesso al mercato del lavoro in nome dell’umanità e della sicurezza.

In confronto con i nuovi paesi industriali e con i pochi mercati del lavoro più o meno flessibili (Svizzera, Danimarca), le economie nazionali occidentali sono colpite da una paralisi mortale.
Bisogna vedere come gli osservatori asiatici scuotono la testa di fronte al nostro pretenzioso atteggiamento generale nei confronti dello Stato e della società, per poter realizzare il grado di decadenza che nel frattempo contraddistingue l’Europa.
I cinesi e in generale gli asiatici immigrati negli USA, in Italia, Indonesia, Canada, Ungheria, Africa sono il pendant della società sociologica e psicologica occidentale. Essi chiudono i ranghi. Gli emigrati, sono una volta impiegati, una volta indipendenti, talora tornano in Asia, talora vanno altrove.
Vogliono lavorare, aver successo, diventare ricchi. Cercano l’istruzione, promuovono i loro figli; sono attaccati alla famiglia, non divorziano per un capriccio, ma sanno che restando assieme per motivi d’utilità si ottengono migliori famiglie e società che non con le visioni romantiche d’autorealizzazione su modello occidentale.

(Fonte: Discorso libero, 2/2011 – www.zeit-fragen.ch)

(continua)