Iniziata 100 giorni fa, la guerra che scuote la parte settentrionale della Libia ha da tempo perso il suo smalto mediatico. Se nelle prime settimane del conflitto i giornalisti descrivevano ogni particolare con una coscienziosità che pareva morbosa, oggi le notizie si fanno più che altro ripetitive.
Forse c’è poco da dire. I ribelli avanzano e retrocedono a dipendenza della posizione delle truppe del regime. Malgrado bombardamenti a tappeto, gli aerei della Nato non riescono a neutralizzare i soldati lealisti. Gheddafi è forse morto, forse ferito, forse fuggito all’estero, forse rintanato nel suo bunker sotto Tripoli. Le vittime sono decine ogni giorno, i feriti anche. Una novità è giunta dalla Russia, alleato storico della Libia. Venerdì il presidente Medvedev ha confermato di essersi schierato con l’Occidente e chiede le dimissioni di Gheddafi.
Nell’odierno anniversario dei 100 giorni della “rivolta benedetta” i ribelli hanno ancora una volta ripetuto che Gheddafi deve lasciare il potere, altrimenti non deporranno mai le armi. Nel frattempo a Tripoli sta giungendo il presidente del Sud Africa, il quale presenterà al colonnello una “strategia per la sua uscita di scena.”
L’arrivo di Jacob Zuma a Tripoli rafforza la convinzione che se vi sarà una soluzione alla crisi libica questa sarà a livello diplomatico. Intanto i rivoltosi guardano con soddisfazione a quanto hanno saputo smuovere a livello regionale ed internazionale e riaffermano la loro volontà di proseguire i combattimenti.
Il loro portavoce chiede un maggior coinvolgimento dei paesi esteri, un maggior sostengo internazionale in termini di denaro e armamenti bellici.
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