L’attuale ristorno d’imposte ai comuni confinanti italiani, come ha confermato giovedì la ministra Eveline Widmer-Schlumpf, sono parte integrante della Convenzione bilaterale per la doppia imposizione approvata da Italia e Svizzera il 9 marzo 1976, entrata in vigore il 27 marzo 1979.
Viene spontaneo chiedersi perché l’allora Consiglio di Stato ticinese, che vedeva Ugo Sadis al DF sostenuto dal collega di partito Argante Righetti, abbia accettato queste percentuali, che oggi privano il Ticino (se paragonato a quanto riversato ad esempio all’Austria) di ben 50 milioni di franchi annui.
Per avere una risposta occorrerebbe spulciare gli archivi del passato, oppure chiedere alla figlia di Ugo Sadis, l’attuale direttrice del DFE, di portare informazioni.
L’allora Consiglio di Stato ticinese era composto oltre che da Righetti e Sadis (PLR), da Flavio Cotti e Fabio Vassalli (PPD) e da Benito Bernasconi (PS).
Un accordo che il Governo federale sottoscrisse con l’Italia e sul quale il Ticino ebbe o meno la possibilità di esprimersi? Oggi avremmo la forza politica per imporre alla Confederazione di rinegoziarlo? Cosa si nasconde dietro la paura, tutta rossocrociata, di andare a rivedere gli accordi sulla convenzione bilaterale con l’Italia?
Oggettivamente, oggi il Governo italiano, che fa i propri interessi, inserisce la Svizzera nelle varie Black List, complica la vita agli imprenditori svizzeri intenzionati a lavorare oltre confine, attraverso un suo ministro taccia i ticinesi di mafiosi, descrive la piazza finanziaria luganese come la caverna di Alì Babà e i 40 ladroni. Il tutto mentre Berna tace e i politici ticinesi si accontentano di risposte sommarie. Troppo poco!
Sono 50 i milioni di franchi in gioco (alcuni affermano siano solo 20). Un importo che, ad esempio, potrebbe risanare la Cassa pensione dei dipendenti dello Stato nei prossimi tre decenni, potrebbe meglio sostenere il finanziamento delle cliniche private o potrebbe essere impiegato laddove annualmente sono chiesti impegni sempre maggiori da parte dell’ente pubblico.
Le promesse (non solo leghiste) di sistemare questa pendenza penalizzante oltre misura per il nostro cantone era uno degli slogan della recente campagna elettorale. Gli elettori ci hanno creduto. Dunque adesso è doveroso affrontare la questione in tempi brevi, con o senza l’ambasciatore ticinese a Berna.
C.S.