L’intervento militare occidentale in Libia sta mostrando i suoi limiti. Sul terreno i rivoltosi non riescono ad avere la meglio dei soldati fedeli a Muammar Gheddafi. La strada verso Syrte, che diverse agenzie di stampa dichiaravano già spianata per gli insorti è il realtà inaccessibile per un’opposizione debole sul piano tattico.

Mentre i ribelli arretrano le loro postazioni e continuano a farsi ammazzare dalle truppe del regime e mentre la Nato non riesce a compiere quella grande operazione “a scopo umanitario” per la quale si è messa a bombardare il territorio libico, ecco che a Tripoli tutte le opzioni restano aperte.
L’Unione africana sta cercando di proporre un dialogo ed offre a Gheddafi diverse opzioni per una dignitosa uscita di scena. Le Nazioni Unite e la Nato non approvano, in quanto prediligono la via delle armi, che sinora non ha però condotto ai risultati sperati.


In un momento in cui i diplomatici africani appaiono compatti nelle loro discussioni con il regime libico, nel campo occidentale manca unità di intenti. Gli Stati Uniti, che dall’inizio si dicevano reticenti ad intervenire in Libia, non considerano la partenza di Gheddafi una condizione per la fine dei raid aerei.
In questo si scontrano con la posizione del governo francese, che ritiene necessario continuare i bombardamenti sino all’annientamento (effettivo o politico) del colonnello libico. Washington non nasconde il suo fastidio per l’atteggiamento del presidente Sarkozy, che parla con il piglio di un generale e pare voler essere il solo a decidere la strategia militare.

L’intransigenza della Francia sembra portare i primi risultati. L’ex ministro libico degli affari esteri Moussa Koussa, che da fine marzo si trova in esilio in Gran Bretagna, era atteso ieri a Doha per incontrare il governo del Qatar e un certo numero di rappresentanti libici.
Questo è un segno chiaro: per il governo britannico – e di riflesso anche per quello statunitense – è meglio affidare la mediazione ad un ex membro del regime di Gheddafi piuttosto che a un diplomatico francese manovrato da un Sarkozy in preda a manie di grandezza bellica.